lunedì 14 marzo 2005

psicologia in tavola

La Stampa 14 Marzo 2005
Psicologia in tavola
Per ogni carattere c’è il piatto giusto

Un cuoco e un terapeuta hanno analizzato nove diversi caratteri
e forniscono in un libro la correlazione con le scelte gastronomiche
Raffaella Silipo

Al tipo protettivo si addicono gli gnocchi di bottarga e patate, mentre lo spirito condottiero sceglie il vitello al forno, che si mastica bene e in fretta, dopo di che si può tornare a comandare. Dimmi chi sei e ti dirò che mangi, è la filosofia di Marco Miglio, proprietario del ristorante «Alle grazie» di Monza con lunga esperienza nella catena «Bice» da Melbourne a New York. Da tempo, insieme allo psicologo Roberto Provana, Miglio esplora la correlazione tra tipi psicologici e gusti gastronomici, per spiegare come di fronte a uno stesso cibo ognuno reagisca in modo diverso. «Ristorare - sostiene Miglio - vuol dire regalare un’emozione culinaria che duri nel tempo. Per questo ho deciso di puntare sulla gratificazione personale: non è il cliente che si deve adattare al menu ma è il menu che si adatta al cliente. In un'epoca di globalizzazione, un riconoscimento così marcato delle esigenze individuali crea sicurezza, favorisce l'identità ed è anche una buona strategia imprenditoriale».
Miglio e Provana hanno raccolto il loro metodo, con tanto di ricette, nel libro La cucina delle identità (Lupetti). Punto di partenza è l’osservazione attenta dei clienti di un ristorante, perché «la tavola è un luogo ideale e strategico per capire le persone». «C’è il tipo ”antilope stanca” - scrivono - che esprime un istinto vitale depresso: per lui mangiare sembra una condanna, tranne quando si rianima alla vista di un alimento che rappresenta un’attrazione fatale, come certi dessert. C’è il ”formichiere” che prima di mangiare sfiora l’alimento con la lingua come per saggiarlo. O la ”giraffa”, con il corpo immobile e il collo sempre in movimento, ponte somatico che separa la bocca dalla zona cardiaca delle emozioni».
Per sistematizzare le loro osservazioni, i due autori hanno poi incominciato a raggruppare i clienti secondo il metodo dell’«enneagramma», che identifica nove tipi fondamentali di caratteri. Il «riformatore»? «Insegue un ideale di perfezione, è moralista, ipercritico, tenace e nel suo menu c’è posto solo per le cose ben fatte». Per il «protettivo» il cibo è «qualcosa di rassicurante, che rimanda alla mamma. Ama cucinare per sé e per gli altri». L’«autorealizzatore sociale» tende a mettersi in vista, è attento agli effetti del cibo sul rendimento professionale. «Anche la tavola per lui è una sfida: controlla, calcola, sospetta». L’«artista», solitario, vulnerabile e instabile, «va pazzo per i dolci, in particolare il cioccolato. Preferisce i primi piatti ai secondi, ed è interessato più alla persona che cucina che al cibo in sé».
C’è poi quello «capace di consultare per ore un menu e poi chiedere qualcosa che non c’è»: è il «pensatore», uno che teorizza, intellettualizza il cibo, sovente polemico se viene contraddetto. Il «fedele» è il tipo più tradizionale: ricerca sempre nei piatti il sapore del passato e delle cose che gli preparava mamma. Avete presente George W. Bush alla disperata ricerca di un cuoco che ci sappia fare con il tex-mex della sua giovinezza? Completamente diverso il «generalista», uno che può bere un vino a occhi chiusi e dire subito che cos’è (genere «Michele intenditore di whisky» in uno spot di tanti anni fa...): ama tutto ciò che non conosce, è un grande sperimentatore, un po’ farfallone. Cosa si mangia importa poco per il «capo»: basta essere serviti, che si rispettino i suoi tempi, che non ci si debba adattare alle preferenze degli altri. «E’ lui a tagliare la testa al toro, ma poi mangerà un filetto». Infine il «pacificatore», quello che non si accorge mai quando la vita gli mette in serbo un bel boccone, «low profile» e fatalista. Ha grande capacità di adattamento e ama la cucina etnica.
Per chi non si riconosce in nessuno di questi caratteri, c’è anche la classificazione secondo il gruppo sanguigno. Il gruppo 0 è «il cacciatore», più vicino all’uomo primitivo: preferisce le proteine animali e un’attività fisica intensa. Il gruppo A è l’«agricoltore» e ottiene maggiori benefici da una dieta vegetariana con cibi naturali e freschi. Il gruppo B è il «nomade», quello che meglio si adatta alle nuove culture e ha quindi un’alimentazione variata. Infine il gruppo AB, l’«enigmatico»: è il più difficile da accontentare, più raro e biologicamente complesso. Se neanche con i gruppi sanguigni si trova il profilo, e il cibo, ideale, Miglio e Provana non sdegnano il ricorso ai test da fare ai clienti o alle teorie omeopatiche del dottor Bach. Sempre alla ricerca della «ricetta della felicità», quella promessa fin dagli albori del mondo nel dialogo tra una donna e un serpente con il menu più semplice e delizioso. Una mela.