mercoledì 2 marzo 2005

si apre domani il congresso del Prc
e Bertinotti parla di sé e della sua vita

La Stampa 2.3.05
SI APRE IL CONGRESSO CHE PORTERÀ ALL’ACCORDO CON L’UNIONE
Domani Rifondazione ufficializza la «svolta»
Scontata la riconferma del segretario. Prodi sarà presente ma non parlerà

ROMA. A 24 ore dall’apertura del congresso di Rifondazione comunista l’accoglienza che sarà riservata a Romano Prodi dai delegati sembra quasi più importante di ciò che dirà Fausto Bertinotti nella sua relazione. La questione è stata posta al Professore, che se l’è cavata con una risposta diplomatica: «Non sarebbe la prima volta che mi prendo dei fischi: è un allenamento che ogni politico fa ed è un modo del tutto democratico di esprimersi». Fischi graditi, quasi cercati per scollarsi quella etichetta “sinistrorsa” che da qualche tempo aleggia attorno a Prodi? «Non arrivo a dire che i fischi sono graditi però appartengono alla fisiologia della democrazia».
Romano Prodi arriverà domani pomeriggio al Palazzo del Cinema del Lido di Venezia, in tempo per ascoltare la relazione di Fausto Bertinotti, prevista per le cinque della sera, dopodiché il Professore anziché intervenire, lascerà il congresso. Al di là delle parole, paura dei fischi? Volontà di non sovrapporsi mediaticamente a Bertinotti? Un mix di questi motivi, come informalmente riconoscono le due “parti”. Lo conferma la prudenza con la quale Prodi si accosta al congresso: «L’Unione attende con attenzione l’esito del congresso di Rifondazione» che ovviamente «non è indifferente».
Ma la conclusione politica è già scritta: Fausto Bertinotti - per quanto sfidato dal trotzkista Marco Ferrando - sarà confermato segretario, la linea dell’accordo con Prodi e l’Unione passerà a maggioranza e il governo del partito sarà il frutto dell’accordo tra bertinottiani e una parte della minoranza. Nei congressi locali che si sono svolti nelle settimane scorse Fausto Bertinotti ha rafforzato la propria posizione. Un potenziamento conferito dalla base e che fa seguito all’indebolimento che il segretario aveva invece subito nel corso dell’ultimo anno in tutti gli organismi dirigenti, a cominciare dal Comitato politico nazionale. Ma i congressi di base hanno conferito alla mozione presentata da Bertinotti il 59,2%. Molto divisa la minoranza, che pur contando su un complessivo 40,8%, risulta frazionata in quattro gruppi.
Il più consistente, raccolto attorno alla rivista “l’Ernesto” e formato dagli ex cossuttiani di Claudio Grassi e Sandro Valentini conta sul 26,2% e lancia messaggi di pace al segretario: «Chiediamo una gestione unitaria», dice Grassi. Ma difficilmente i segnali degli ex cossuttiani verranno raccolti da Bertinotti che invece potrebbe aprire il dialogo con un’altra frazione, quella trotzkista guidata dal senatore Gigi Malabarba e che conta sul 6,5%.
Ma non è sulla “cucina” interna che si gioca il congresso. Le vere partite politiche sono due. La prima riguarda la forza con la quale Bertinotti parlerà dell’eventuale partecipazione al governo e non sono casuali le indiscrezioni fatte trapelare dall’entourage del segretario: «Nella relazione Bertinotti non parlerà di governo», in una sorta di rimozione del problema. L’altra partita riguarda il futuro di Rifondazione: resterà ancora a lungo il “cognome” comunista? Bertinotti non ha fretta ma è sintomatico che una sessione del congresso sarà dedicata al “Partito della Sinistra Europea”, il contenitore post-comunista pensato e presieduto da Fausto Bertinotti.

ibidem
ALLA VIGILIA DELLE ASSISE DI VENEZIA IL SEGRETARIO SFOGLIA UN SUO «INEDITO ALBUM DI FAMIGLIA»
Bertinotti: «Io, Paolo VI e i miei veri maestri»
«Preferisco Ingrao a Togliatti, nel primo c’è il dubbio, nell’altro la politica come potenza»
«Quello della Rossanda per me è stato un magistero
È ancora oggi una delle pochissime persone alle quali dentro di me continuo a dare del lei»
Il fascino di Riccardo Lombardi che portò il Psi al governo ma non accettò di fare il ministro: «È stato un insegnamento»
ROMA. HANNO fucilato Mussolini». E’ il 29 aprile del 1945 e a viale Monza, nella periferia di Milano che guarda verso Sesto San Giovanni, la notizia si irradia dai prati e dai marciapiedi: «Hanno ammazzato il Duce!». Enrico Bertinotti, ferroviere socialista, prende per mano il figlio Fausto, di 5 anni e si incammina. Racconta 59 anni dopo Fausto Bertinotti:
«Ricordo che ad un certo punto ci fermammo. Troppo lontano? La notizia che erano stati appesi? Risparmiare ad un bambino una scena drammatica? So solo che non arrivammo in piazzale Loreto e ritornammo a casa». Papà Enrico - socialista anticlericale «che preferiva Nenni a Togliatti» - è stato «il mio primo iniziatore alla politica» ricorda Fausto Bertinotti, un comunista che nella sua vita ha sfogliato e scritto un album di famiglia diverso da quello dei dirigenti della Quercia, nati e vissuti nel Pci nella venerazione di personaggi come Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer. La Rifondazione comunista libertaria, antistalinista e (faticosamente) di governo che arriva a congresso è figlia legittima di un leader che riconosce come propri «maestri» personaggi atipici della sinistra italiana, cultori del dubbio come «Pietro Ingrao, Riccardo Lombardi, Rossana Rossanda, Vittorio Foa». E con quella sua vocazione spiazzante, Bertinotti riconosce un ruolo importante anche ad un Papa, «ma non Giovanni XXIII che su un laico dovrebbe suscitare maggior fascino», quanto piuttosto Paolo VI. «Un Papa sofferto, per quella sua interrogazione drammatica su Dio nella modernità, che espresse alla messa per Aldo Moro con quella sua dolorosa “protesta”: “Signore ti avevamo pregato perché salvassi questo nostro fratello, perché non ci hai ascoltato?”».
Racconta Bertinotti: «Mi ha iniziato alla politica mio padre che era un “uomo contro”», un ferroviere che «scaricava il carbone sui vagoni, poi diventò fuochista e alla fine macchinista» e, pur essendo «laico come i socialisti del suo tempo, non mi vietò mai di andare a messa», «un uomo colto» che «nutriva un grande rispetto per la lettura e per la scuola». L’esempio paterno non deve essere ininfluente nella scelta della prima militanza di partito: nel 1964, il ventiquattrenne Fausto - 30 anni più tardi leader comunista - si iscrive al Psi, in preda ad una fascinazione che «investiva sia chi era contro il centrosinistra - Lelio Basso, Vittorio Foa - sia chi era favorevole come Riccardo Lombardi». E proprio il rigoroso capo della sinistra socialista diventa il primo «maestro» del giovane Fausto «per quella idea di coniugare governo e rigore anticapitalistico». Quel Lombardi che «portando i socialisti al governo per una grande idea trasformazione, invece di fare il ministro preferì prendere la direzione dell’Avanti!».
Bertinotti, un esempio anche per lei? «Certo. Restare fuori dal governo, non per fuggire, ma per salvaguardare l’autonomia del partito dal governo di cui si fa parte. Nenni diceva “Entriamo nella stanza dei bottoni”, Lombardi pensava che i bottoni non fossero lì ma nella società». Bertinotti se ne ricorderà nel 2006? «Un insegnamento».
Ma colui che Bertinotti riconosce come «il maestro per eccellenza» è Pietro Ingrao, «il cui aspetto più affascinante è Ingrao stesso perché è uno di quei leader nei quali pensiero ed azione sono quasi soverchiati dalla personalità». E Bertinotti che in vista del congresso di Venezia, ha rotto con la tradizione centralista democratica del Pci («Mi basta un voto di maggioranza nel partito») ricorda: «Ingrao esercitò una grande attrazione a partire dall’undicesimo congresso del Pci quando propose due temi essenziali per la sinistra: il dissenso in un partito comunista e la tesi che la lotta all’arretratrezza non è la molla di una politica riformatrice, ma lo è invece lo scontro contro la modernizzazione capitalistica». Un episodio, uno dei tanti raccontati nel bel libro “Tutti i colori del rosso”, scritto dieci anni fa da Bertinotti assieme a Lorenzo Scheggi: «Durante i 35 giorni di occupazione della Fiat, Ingrao mi telefonò e mi chiese non come stesse procedendo la vertenza, ma solo: “Come stai tu?” e niente altro». E dunque tra Togliatti e Ingrao nessun dubbio? «Nessuno. In Ingrao c’è l’affiorare del dubbio, Togliatti apparteneva ad un’altra storia in cui la grandezza andava di pari passo all’idea della politica come potenza». Della trentennale militanza nella Cgil, Bertinotti ricorda ovviamente Vittorio Foa, Bruno Trentin, ma anche il «discorso gigantesco» pronunciato nel 1964 dal socialista Ferdinando Santi che dava l’addio alla Cgil. Dice Bertinotti: «Ho scolpita nella memoria la sua frase conclusiva: “Se dovessi dire come mi piacerebbe essere ricordato, vorrei che un operaio del Nord o un bracciante del Sud, nominandomi dicesse: Santi era uno dei nostri, di lui ci si poteva fidare”, per potergli replicare: “ti puoi fidare ancora, compagno».
E nell’album di famiglia di Fausto Bertinotti c’è pure chi, Rossana Rossanda, quella espressione l’ha coniata in un famoso articolo per il manifesto: «L’influenza di Rossana è stata molto rilevante, il suo per me è stato un magistero» ed «è una di quelle pochissime persone alle quali, dentro di me, continuo a dare del lei». Alcuni anni fa Bertinotti confidò: «Nei momenti clou ho sempre pensato: se ci fosse mio padre!». Segretario, il congresso di Venezia si preannuncia come uno di quei momenti? «Mio padre mi può venire in mente sia in un momento di successo che in un momento impegnativo. Ma per dirgli: come vedi noi siamo sempre quelli, siamo sempre dalla stessa parte».