giovedì 7 aprile 2005

i risultati del prc

Liberazione 6.4.05
Un bilancio del voto di Rifondazione comunista
e il suo significato politico rispetto al risultato nazionale
Perché il Prc non aumenta i voti?
Rina Gagliardi

Riassumendo: alle regionali del 2005 Rifondazione comunista ha ottenuto 1.366.467 voti, pari alla media del 5,6%. In totale, fanno 42 consiglieri, un presidente di giunta, più un numero ancora da precisare di assessori: il Prc farà comunque parte di 10 giunte regionali (tutte le regioni nelle quali l'Unione ha vinto, tranne, per ora, la Toscana).
Fin qui, le nude cifre, e un bilancio, quantitativamente e politicamente, in sé e per sé tutt'altro che mediocre: nello schieramento antiberlusconiano, il Prc si conferma come la "terza forza", dopo Ds e Margherita. Da qui in poi, invece, cominciano i raffronti con il passato, l'analisi comparata dei risultati elettorali, il vero e proprio giudizio politico d'insieme sul voto.
Com'è andata, insomma, per il nostro partito? La risposta, onesta e spassionata, è che - fermo restando il carattere abbastanza articolato e diversificato del nostro voto - non è andata benissimo: siamo, insomma, ad una performance non brillante, anche e soprattutto rispetto alle (legittime) aspettative di molti compagni, nonché alle "previsioni" di molti analisti.
Ciò non significa affatto, va detto subito, che è andata male o, peggio, che è lecito parlare di una sconfitta: né le cifre né l'esito politico autorizzano giudizi così tranchant, in un quadro comunque illuminato dal successo di Nichi Vendola e dalla sua essenziale verità politica. E' lecito, invece, parlare di una crescita elettorale mancata. Una crescita che "era nell'aria" e che, questa volta, non si è realizzata, specie nel centro e nel Sud. Perché?
Ci sarà molto da analizzare, riflettere e discutere. E molto da indagare, zona per zona. Intanto, l'analisi deve partire da un dato tanto essenziale quanto trascurato: questo voto è stato sì, nel suo senso di fondo e nel suo andamento effettivo, un voto molto politico, mosso dalla volontà di liberarsi della destra - e di affermare con grande nettezza la necessità di un cambio. Ma è stato pur sempre un voto rgionale, dotato di proprie e significative specificità, sia politiche che territoriali: una consultazione nella quale la scelta di voto degli elettori è stata guidata - come sempre accade nei test amministrativi - anche da fattori diversi da quelli politici generali.
Qui, in un contesto d'insieme sostanzialmente bipolare, per un partito come Rifondazione comunista vengono al pettine i nodi di un radicamento insufficiente, comunque diseguale, e anche i limiti nobili di un partito che certo non abbonda in poteri istituzionali o gestionali.
In termini comparativi, il Prc va comunque avanti rispetto alle regionali del 2000 - mezzo punto percentuale e quasi duecentomila voti. Non ripete invece l'affermazione delle europee del 2004 (molto disomogenee rispetto alle regionali di domenica scorsa, sia per tipo di consultazione, sia per territorio coinvolto sia per partecipazione degli elettori, molto più alta), rispetto alle quali va indietro dello 0,7 per cento. Proprio quest'ultimo parallelo, però, conforta la nostra tesi di fondo: per l'Europa la scelta di voto è stata ed è rigorosamente politica, molto più libera dal punto di vista soggettivo, ovvero non condizionata da quel fenomeno - il "controllo di massa" del voto - ben percepibile in queste elezioni.
Se andiamo a vedere più da vicino il voto di Rifondazione nelle diverse aree d'Italia, scopriamo in effetti che i risultati meno soddisfacenti - al di sotto della media nazionale - sono quelli del Mezzogiorno: Campania (4,1), Abruzzo (4,9), Puglia (5,1), Calabria (5,1). Tutte regioni nelle quali, nel pur lieve avanzamento rispetto alle precedenti regionali, lo scarto rispetto al 2004 è più sensibile. Tutte regioni nelle quali il famoso «voto di scambio» si è confermato con l'inesorabilità di una legge - basti pensare agli exploit centristi o neocentristi della Margherita (primo partito in Campania), dell'Udeur, dello Sdi.
Già, ma perché non è scattato nessun "effetto Vendola" sulle nostre liste? Perché il leader dell'alleanza non è percepito oggi come l'esponente di un partito, ed è premiato per l'idea generale di politica che incarna: così è stato per Vendola, così per Bassolino, che si è confermato "imperatore" campano, ma non ha trascinato il trionfo del suo partito, i Ds. Viceversa, nel Nord le liste del Prc sono andate meglio: 6,6 in Liguria, 6,4 in Piemonte, 5,7 in Lombardia. Risultati che, in ogni caso, registrano avanzamenti significativi rispetto a tutte le precedenti elezioni e - in circostanze significative come quella lombarda - una crescita rilevante di rapporto con i movimenti e il mondo del lavoro, visibile nei candidati eletti.
Quanto alle regioni centrali, il discorso è più complesso. In Toscana, l'unica regione dove Rifondazione si presentava da sola, il Prc è approdato ad un 8,2 di lista (7 e mezzo al candidato Ciabatti) che parla di un partito forte, radicato, che è andato assai avanti rispetto al 2000 e ha retto bene, alla fin fine, al dilagare del governatore Martini. Molto buona anche la tenuta dell'Umbria che, con il suo 9,3, mantiene il suo primato regionale (nel Prc), mentre, nelle altre regioni rosse (Emilia e Marche), il 2005 è lievemente inferiore al 2000. Abbastanza buono anche il risultato del Lazio, che sfiora il 6 per cento.
Che cosa possiamo dire, alla fine, dal punto di vista politico? Primo: la polarizzazione dello scontro, tra destra e sinistra, ha concentrato il voto di opposizione, anche a sinistra, sulle forze maggiori, Ds e Margherita - che coincidono anche con quelle più potenti e radicate. Secondo: questo dato prevalente si è riflettuto anche nei consensi alle forze della sinistra alternativa, dove sono andati relativamente bene Verdi e Pdci, cioè due partiti interni al centrosinistra, percepiti dall'elettorato come variante di sinistra interna alla coalizione, quindi più rassicurante e più "unitaria". Terzo: in questo quadro, Rifondazione comunista mantiene intatte le sue potenzialità, ma, proprio in ragione delle sue accresciute responsabilità e ambizioni, sconta oggi la difficoltà a diventare, anche elettoralmente, quella «forza maggiore» che già riesce ad essere dal punto di vista politico - "competitiva" con i riformisti, prima che con le altre componenti della sinistra antagonista.
Uno scarto che può derivare anche dai noti limiti soggettivi del Prc, ma che non può essere identificato solo con essi. Sorge qui un problema che va molto al di là dei risultati di un pur decisivo test regionale: il problema europeo dello spazio elettorale della sinistra radicale, quella che considera i movimenti come il proprio interlocutore privilegiato e l'altro mondo possibile come il proprio orizzonte naturale. Fino a che punto si tratta o no di un limite fisiologico, in qualche modo difficilissimo da valicare? La riflessione, s'intende, comincia solo adesso.