lunedì 11 aprile 2005

parla la figlia di Ernesto De Martino

Il Mattino 10.4.05
INCONTRO CON LIA DE MARTINO ALLA GIORNATA DI STUDI IN ONORE DEL GRANDE ANTROPOLOGO
Padre e figlia nella terra del rimorso e del rimosso
Donatella Trotta

Un padre «che doveva fare il padre nel momento stesso in cui cercava egli stesso risposte, consapevolezza e riscatto». E una figlia dalla sensibilità vibratile e vulnerabile, sublimata nella scrittura poetico-narrativa da lei stessa considerata come una «catarsi», un modo per superare lo strazio (o la nostalgia), come un orizzonte che libera, ovvero una «chiave che può risolvere un disagio interiore insopportabile», che è poi il disagio stesso della civiltà: capace di accomunare uomini e donne ben oltre le proprie piccole storie individuali. Lia de Martino è una donna minuta che nei tratti e nei colori - caschetto biondo, occhi azzurro cielo - ricorda quelli del padre Ernesto, il grande antropologo napoletano (1908-1965) da lei «conosciuto in profondità solo molto tardi, a causa della sua separazione da mia madre che portò me e mia sorella, allora bambine, a vivere con lei», ricorda Lia, oggi 68enne, in margine alla giornata di studi sul pensiero di de Martino promossa ieri dal Dipartimento di Salute Mentale di Napoli diretto dallo psichiatra Fausto Rossano, appuntamento della rassegna culturale «Passaggi e confini», stimolato anche dalla pubblicazione del libro a più mani Dell’Apocalisse. Antropologia e psicopatologia in Ernesto de Martino (Guida), e organizzato in collaborazione con l’Associazione italiana di psicologia analitica (Aipa) e la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università della Basilicata, presieduta da Rita Enrica Alibrandi che ha coordinato l’incontro, dall’evocativo titolo «Il ritorno del rimorso». Dove il «rimorso» non rinvia però solo a quello della ”terra” che dà il titolo all’ultima opera dell’antropologo sul tarantismo del Salento, né allude, magari, all’implicito rimorso provato dall’Occidente che non a caso «ha prodotto tanti etnografi, quasi per espiare le proprie colpe nei confronti del mondo dei vinti» (secondo la lettura di Lévi-Strauss ripresa da Luigi M. Lombardi Satriani a proposito di una spedizione demartiniana in Basilicata, ripercorsa ieri da un intenso documentario di Giuseppe Rocca); ma, semmai, è il sentimento che difetta alla cultura italiana, per molti versi in debito con le intuizioni demartiniane, «per aver costantemente rimosso Ernesto de Martino e la sua opera scomoda (che si occupava di ciò che si andava negando, e che occorreva nascondere), epperò essenziale per la cifra di una ricerca che tenta tra l’altro, attraverso voci e sguardi molteplici, di riflettere sulla crisi del nostro essere nel mondo», sottolinea Stefano de Matteis, intervenuto all’incontro con Iain Chambers, Stefano Carta, Mauro Maldonato, Sergio Mellina, Rossano e Librandi. Gli fa eco Lia de Martino, chiudendo l’incontro con una intensa performance di frammenti poetici personali, autobiografici ma anche etnografici, rituali della memoria in contrappunto con la voce e il violino di Aldo Jonata: «Mai come oggi - sottolinea con fervore la de Martino - occorre far capire e far incontrare il pensiero di mio padre con i giovani, divulgare ciò che egli aveva da dirci e ci ha detto anche prima di morire, con il suo saggio sulle apocalissi culturali; sono riflessioni straordinarie, finalmente sdoganate da un lungo e tirannico monopolio che che per trent’anni ha tenuto nascosti i suoi inediti. Ora sono a disposizione di tutti, e ne sono orgogliosa, per far esercitare un diritto-dovere che ritengo essenziale: parlare del pensiero di de Martino, riscoprire le sue provocazioni, sia pure per criticarle. Utilizzando, magari, anche linguaggi diversi da quelli, pur importanti, degli addetti ai lavori. Per questo sono venuta a Napoli - da Matera dove ho deciso di trasferirmi cinque anni fa -, mettendo in gioco la mia relazione filiale, dolorosa e conflittuale, di incontro/scontro con un uomo per me contraddittorio e umano, confidenziale se pure severo, che porto dentro (e non me ne vorrò mai liberare)». Il suo ricordo più bello? Lia de Martino cita e recita una sua poesia del 6 aprile 1956, che segnò l’inizio del suo tardivo rapporto col padre, segnato da assenze e presenze ingombranti, morsi dei rimorsi e scoperte reciproche (si trova nel libro Rituali della memoria, Argo 1997, a pag. 31). E poi una lettera, che Ernesto de Martino le scrisse il 26 dicembre 1960, cinque anni prima della propria morte prematura: «Nel tuo caso, mi disse, ”queste esperienze ti aiuteranno ad acquistare un maggiore senso di responsabilità e soprattutto a sostituire i progetti astratti intorno alla tua persona con progetti concreti intorno agli altri”. Un insegnamento indimenticabile».