domenica 1 maggio 2005

Giaime Pintor

l'Unità 1 Maggio 2005
Giaime Pintor, dalla crisi europea all’antifascismo
L’itinerario di un intellettuale simbolo e controverso in un volume del Manifestolibri
Gian Carlo Ferretti

Un giovane di straordinario ingegno e grande fascino personale, amatissimo dalle donne e ammirato da tutti, caduto a soli ventiquattro anni mentre all'alba del 1° dicembre 1943 con alcuni compagni cercava di unirsi alle prime formazioni partigiane, dopo avere scritto al fratello Luigi una lettera che diventava il testamento della sua generazione. Nella vita e nella morte di Giaime Pintor ci sono tutte le premesse di una mitizzazione che lo hanno anche assimilato ai grandi nomi della martirologia patriottica o antifascista, da Serra a Gobetti. Una mitizzazione in gran parte fondata. Ma l'esperienza intellettuale, politica, umana di Giaime Pintor è stata troppo complessa per non lasciare ancor oggi aperti non pochi interrogativi. Ai quali cerca di fornire risposte una raccolta di importanti contributi, costruita da Giovanni Falaschi con le relazioni di un convegno del 2003 a Perugia e con altri testi, fino a farne un vero organico libro (Giaime Pintor e la sua generazione, manifestolibri, pagg. 365, euro 26).
Ed è proprio Falaschi che stringe in un pregnante nesso problematico, i tratti fondamentali di quella esperienza in piena guerra. Centrale è la dichiarata contrapposizione del «senso tragico» al « senso scolastico della vita», dell'immagine-verità del soldato combattente al «nominalismo» di una intelligencija che va dalla decadenza borghese e francese alla vacuità e stupidità nazista e fascista. C'è in tutto questo da parte di Pintor l'esigenza costante e ancora una volta dichiarata, di una «presa di possesso del concreto» come bisogno esistenziale della sua generazione. Il suo antistoricismo, più ancora che sul progressivo superamento del magistero crociano e sulla parziale utilizzazione della lezione di Nietzsche, si fonda sulla convinzione della rottura insanabile determinata dalla guerra nei confronti di ogni mediazione e continuità con il passato. Da cui deriva l'analoga convinzione di appartenere a una generazione senza maestri, quasi costretta a sottoporre ogni passata esperienza alla prova della contemporaneità. Fino al celebre testo del 1941: «l'ultima generazione (quella nata fra il '10 e il '20) non ha tempo di costruirsi il dramma interiore: ha trovato un dramma esteriore perfettamente costruito».
Falaschi inoltre, accanto alla ben nota figura del traduttore e dell'intellettuale einaudiano (al quale sono dedicate anche le testimonianze di Bobbio e Giolitti), valorizza con efficacia il Pintor critico letterario, che salvo rare eccezioni (in primis Luigi Baldacci) non ha avuto i riconoscimenti dovuti alla sua complessiva genialità, alla vastità della sua cultura, alla coerenza della sua militanza etica e civile, alla sicurezza delle sue predilezioni: Ungaretti e Montale, Palazzeschi e Gadda, Conversazione in Sicilia e Americana di Vittorini.
Ma è l'antifascismo di Pintor che rimane il tema più discusso, anche in questo libro. Dove si considera sostanzialmente inadeguato per lui lo schema del «lungo viaggio» del lento e lineare processo di maturazione politica attraverso il fascismo fino all'impegno di combattente. Uno schema che ha avuto non poca fortuna, soprattutto nella variante comunista. Mentre risulta priva di vero fondamento e rigore la tesi opposta del «breve viaggio», ripresa qui da Angelo d'Orsi, secondo cui l'antifascismo di Pintor si collocherebbe «nel periodo successivo all'otto settembre, con qualche antiveggenza nei mesi precedenti». Viene soprattutto da Maria Cecilia Calabri e da Hermann Dorowin, la riproposta in termini nuovi e documentati di un itinerario contraddittorio e conflittuale di Pintor, tutto interno alle istituzioni e alle culture dell'Italia fascista e della Germania nazista. Questa tesi ha le sue premesse nella condizione oggettiva e soggettiva di una generazione, che deve cercare le sue ragioni nella realtà in cui è cresciuta e di cui ha perciò esperienza diretta, «mescolandosi (…)nella vita contemporanea per" coglierne i frutti»: con il consapevole rischio di "confondervisi ", ma anche con la possibilità di capirne i meccanismi e i processi.
Maria Cecilia Calabri porta qui una ricca anticipazione della monumentale biografia di Pintor, di imminente pubblicazione presso Aragno. Con la riscoperta e valorizzazione di materiali editi e inediti (dal Sangue d'Europa ai carteggi), di una fitta rete di relazioni, e delle autocensure e censure nei confronti di affermazioni antifasciste e antinaziste. La giovane studiosa ricostruisce in modo esemplare il percorso che vede Pintor utilizzare i privilegi intellettuali, economici e politici dell'appartenenza familiare altoborghese, sfruttare gli spazi concessi dai Littoriali o dalla rivista di Bottai Primato, partecipare a convegni nazisti come quello di Weimar, maturando un dissenso di matrice illuminista e gobettiana. Una «presa di possesso del concreto» dunque, che ha la sua conclusione naturale nella decisione di entrare in una organizzazione di combattimento. Dal canto suo Dorowin illumina con intelligenza l'altro percorso critico-conoscitivo di Pintor: dalle traduzioni dell'amatissimo Rilke alla recensione ironico-critica di un'antologia di poeti del Terzo Reich, dalla penetrante analisi dell'ambivalenza della tradizione romantica alla variegata gamma delle proposte per Casa Einaudi, che vanno da Weber a Löwith, da Jaspers a Sartre, ma che comprendono anche l'autoritario Jünger o il decisionista Schmitt. Per i quali del resto, come per Nietzsche, rimane valido il classico giudizio di Calvino: «l'esempio di Pintor (…)ci testimonia come i libri possano essere buoni o cattivi a seconda di come li leggiamo». La Germania finisce per segnare anche il destino personale di Pintor: tedesca è la bellissima Ilse Bessell grande amore della sua vita, e tedesca è la mina che lo dilanierà a Castelnuovo al Volturno.
Ma è il saggio di Luca La Rovere (oltre a quello di Gianpasquale Santomassimo), che affronta con lucidità critico-problematica il nodo più cruciale dell'antifascismo di Pintor. La Rovere parte dalla sua presa di coscienza di un presente ineludibile del regime fascista, che ha corroso profondamente le fibre della nazione e che ha perciò irrimediabilmente compromesso ogni passata esperienza antifascista. Per Pintor dunque «uscire dall'antitesi fascismo-antifascismo» (al di là di ogni interpretazione strumentale e interessata), significa anzitutto contrapporre alla «restaurazione di un prefascismo tradizionale sconfitto e inutilizzabile, il postfascismo come vera rivoluzione», totale rigenerazione morale e civile. La scelta che porta Pintor alla morte allora, non sarebbe più la logica conclusione di un personale processo di maturazione, ma il concreto inizio di una difficile ricerca collettiva, di un cammino originale della nuova generazione verso la democrazia. Un superamento perciò delle stesse ambiguità e compromessi scontati da tanti giovani intellettuali durante il fascismo.
Quasi tutti i contributi di questo libro tuttavia, si arrestano a una riserva conclusiva: la difficoltà di chiarire fino in fondo una vicenda intellettuale così intensamente e rapidamente vissuta. Fino a ritenere pertinente, come scrive Maria Cecilia Calabri, la formula romanzesca o retorica : «davvero (…) Giaime Pintor si è portato nella tomba il suo segreto».