Nell’antichità c’è ma non si vede, l’inconscio arriva soltanto con Goya
Marco Vallora
DI ritorno da un pur sommario periplo entro la saggistica che pur si occupa di sogni e di rapporti con l'arte (da Lhermitte, a Caillois, da Hanna Segal a Freud a Kris) quello che si evince è che in fondo si parla assai di religioni, di filosofia, di teatro, di letteratura, ma l'arte figurativa nello sfondo un pochino langue. Perché? Non esiste forse nella pittura, nella grafica, nella scultura (qualcuno parla addirittura di onirografia) il tema del Sogno? Certo che esiste, ed è un capitolo nutrito (a partire soprattutto dal fine-secolo Simbolista) ma con tutte le ambiguità e le varianti del caso. Per esempio: le visioni antiche (di Santi e di eroi), le estasi o le preveggenze, i carri del Sole o le Scale di Giacobbe, il cosiddetto Sogno di Scipione (musicato per altro da Mozart) o il pierfrancescano Sogno di Costantino sono da considerarsi dei Sogni veri e proprio, oppure sono altra cosa: «fatti di un'altra materia» come direbbe Shakespeare? Un esempio per tutti, e frequentissimo: Giuseppe in Egitto, che racconta i suoi sogni di premonizione. Ma appunto, non è altro che una scena realistica, un resoconto: il sogno non si «vede». E' appunto questo, il problema: come poteva un artista dell'antichità, senza ancora la comprensione lucida di che fosse l'inconscio e la possibilità stilistica d'un ricorso alla molle sostanza onirica, visualizzare il Sogno? Certo, non conosciamo quasi più nulla, ormai, della pittura antica, classica greco-romana: ma anche i Plinio, gli eruditi, che con le loro ekfrasis, le parafrasi, ci raccontano così bene quei quadri antichi, non sembrano evocarci mai occasioni di sogno, tranne che nella prassi rituale dell'oniromanzia. Ma nessuno di quegli affreschi, probabilmente, materializzava quel che si manifesta nel pensiero alterato del sognatore. Appunto, come mostrare distinti, materialmente - pittoricamente (o plasticamente) - il sogno dalla realtà? Facciamo ricorso ad Omero, per esempio. Il Sogno non è «letto» come una facoltà interiore dell'uomo che dorme, ma come una personificazione, un valletto, che è inviato dalle divinità, per prevenire, sviare, aiutare, a seconda della disposizione dell'Olimpo. Com'è visiva, questa scena dell'Olimpo assopito
«...e gli eroi dai cimieri chiomatiE' la ripetizione, dello stesso comando, pedissequamente replicato, che dà alla poesia questa illusione d'una sostanza onirica, che prende i tratti antropomorfi d'una persona simulata: «Gli stette sopra la testa, simile al figlio di Neleo e a lui somigliando il Sogno cattivo parlò». Ma appunto, come può un pittore far capire che quella figura «cattiva», simulata, non è Neleo e «mostrarla» pittoricamente, immaterialmente, sopra la testa di Agamennone? E' un problema che giunge sino a Giotto, che almeno ad Assisi abbonda di «sogni»: ma ha il problema di come rappresentarli. Prendiamo il Papa Innocenzo III, che apparentemente dorme beato, nella sua stanza-baldacchino, con una posizione inclinata, da gisant funebre, come in un sepolcro scolpito. Come far capire che quella Chiesa storta, che apparentemente gli sta crollando addosso, esce da lui, è il sogno della Chiesa Romana, minacciata dai miscredenti? Non si pensi che sia storta, per simulare un fantasma, che fluisce dal suo immaginario assopito. No, è storta perché il fraticello Francesco si è posto sotto, come un provvido facchino, e la sta risollevando, con le sue fragili spalle. L'antichità non ha ancora inventato l'espediente del fumetto, che esce dalla testa del sognatore. Nell'altro sogno assisiate del Palazzo con le armi, c'è una piccola spia costruttiva: il Palazzo è leggermente gonfiato, quanto a dimensioni, e pare davvero costruito con gli arzigogoli dei mattoni della fantasia: ma non basta, è necessario che tra il sognatore, disteso nel letto con la sua aureola, che confligge con il cuscino, e la visione stessa, si ponga un Cristo segnaletico, che indichi con la mano tesa quel prodigio architettonico, tutto virtuale. Così è curioso: se si pensa alla successiva pittura fiamminga, di Bosch e di Breugel, quelli sono mondi paralleli, non fantasie oniriche. E le Tentazioni dei Santi e le Discese al Limbo e le Scalate al cielo, non hanno nulla di visionario, sono più vere del vero. Bisogna così attendere le fantasie macabre di Goya o l'Incubo di Fuessli, per avviarci verso le intuizioni di Freud e dell'inconscio surrealista. Ma anche lì, con l'Incubo di Fuessli, la fisiologia ci spiega che se uno si addormenta con un libro sulla pancia od un peso qualsivoglia, altro che le scimmie, riesce a vedere!
dormivano per tutta la notte, ma Zeus non vinceva
il sonno profondo (...)
e questa gli parve nell'animo la decisione più bella
mandare all'Atride Agamennone il Sogno cattivo.
E gli parlò, gli disse parole fuggenti:
"Muoviti e va, sogno cattivo, alle navi degli Achei
entrato nella tenda d'Agamennone Atride
tutto, con grande esattezza, annunciagli, come comando"».
Poi, radicale, dopo il Romanticismo, il salto nell'al di là, a pié pari: non c'è più un qui e un là, in Odilon Redon, in Ensor, il Klinger o in Kubin, si è già, appunto, nel paese al di là dello specchio, nell'Altra Parte, per dirla con Kubin stesso. Non c'è che l'onirico. I paesaggi molli di Dalì, le foreste impenetrabili di Ernst, le visioni mescaliniche di Michaux, le passeggiate sottomarine di Tanguy. Anzi, forse il Surrealismo ha talmente tematizzato questo viaggio nell'al di là, che ne è derivata un po' di nausea. E l'arte di oggi ha completamente derattizzato il discorso sul Sogno.