martedì 14 giugno 2005

Gabriel Levi sulla depressione post-partum

La Stampa 14 Giugno 2005
LA DEPRESSIONE DEL «DOPO PARTO»
MADRI ASSASSINE
VACCINO PSICOLOGICO

Gabriel Levi
Ordinario di Neuropsichiatria Infantile alla Sapienza di Roma

UNA donna uccide il proprio bambino entro poche ore dopo il parto gettandolo in un bidone di spazzatura. Non voleva avere e tenere un figlio. Ci si chiede perché non è ricorsa, nei tempi utili, all'interruzione di gravidanza. Si invoca una comprensione psicologica della sua situazione, ma non si parla di malattia mentale.Un uomo uccide il proprio bambino Si ricostruisce una storia di abusi e maltrattamenti, spesso anche verso la madre del bambino. Altre volte emerge un conflitto coniugale e l'infanticidio risulta collegato con un gesto di vendetta. Si parla di un modello maschile-padronale fallito. Non si parla di malattia mentale.
Una donna uccide il figlio entro i primi anni di vita. All'improvviso, dopo un periodo di cure che sembrano affettuose. Qualche volta si individua una situazione di solitudine. Qualche volta non si trova un bel niente. L'opinione pubblica si divide: gli innocentisti sostengono che un figlicidio senza storia è impossibile e quindi non è stata la madre; i colpevolisti sostengono che è stata la madre, anche se non se ne capiscono i motivi. In ambedue i gruppi, affiora spesso l'ipotesi della malattia mentale. Primo argomento: una madre può uccidere il figlio soltanto se non sa quello che fa. Secondo argomento: moltissime donne sono depresse dopo il parto e questa lo è stata molto di più, ma nessuno se ne è accorto.
Su quest'ultima discussione vorrei tentare un approfondimento, in una prospettiva che consenta qualche differenziazione. Altrimenti per assolvere la donna di cui si discute, demonizziamo tutti i malati di mente. Oppure spaventiamo tutte le puerpere, incupendo il significato delle loro comuni preoccupazioni.
Possibile che dopo il parto tutte le donne siano in odore di pazzia? Possibile che non esista un salto di qualità tra la crisi esistenziale del dopo parto e la caduta nell'infanticidio?
Le risposte non possono essere esaurienti, ma almeno indicative.
Il periodo del dopo parto raccoglie molte fantasie, speranze e paure delle donne: 1) il desiderio di far nascere un bambino ideale e la paura di partorire un bambino difettoso; 2) il desiderio di essere una mamma bravissima e la paura di non esserne capace, perché inesperta e stanca; 3) il desiderio di conciliare maternità, sessualità e obiettivi di vita e la paura di dover rinunciare ad una parte di se stessa.
Immediatamente dopo il parto queste speranze e queste paure si fondono con la nuova necessità di trovare rapidamente un ritmo comune con il figlio. Le preoccupazioni del dopo parto hanno una base biologica piuttosto simile a quella dell'innamoramento. E' molto difficile che una semplice accentuazione di questo quadro si ritrovi in una infanticida. Al contrario (anche quando il quadro è accentuato) l'elaborazione di queste paure può essere persino un «vaccino psicologico» contro successivi problemi.
Le situazioni molto diverse sono quelle della psicosi post partum e quella dell'infanticidio improvviso, dove esiste un cambio del nucleo problematico.
Nella psicosi post partum, che insorge nelle prime quattro - sei settimane, la donna si sente minacciata nel suo ruolo di madre. Quando allontana il bambino lo fa anche per questo motivo. Nei deliri di queste donne compare spesso la figura di una madre ideale e derubante. La donna vuole avere un figlio ma questa realtà la espone, per un breve periodo, ad un collasso di personalità. In questi casi, la fantasia dominante è che crescere un figlio porta la donna a sentirsi una figlia colpevole. La continuità tra la psicosi post partum e infanticidio è dubbia.
La situazione dell'infanticidio improvviso va confrontata con le potenzialità suicide della donna. Potenzialità suicide che sono quelle di ogni persona e che sono attivate da tutta la sua storia. Non a caso per ogni donna che uccide soltanto il figlio ce n'è un'altra che si uccide con il figlio. Nella dinamica dell'infanticidio va compreso proprio questo: come e perché la donna espelle nel bambino una parte di se stessa vissuta come negativa, forse per far nascere ed una parte di sé nuova. In questi casi il nucleo psicologico profondo sta nello specchio in cui la donna si riflette. Il bambino non esiste, in quanto tale, come figlio.
Una chiave di lettura più positiva: ogni madre per vivere e far vivere il proprio bambino deve diventare anche figlia del proprio figlio. E cioè deve riconoscerlo, da subito come un individuo. Vale anche per il padre. E questo è un argomento in più.