venerdì 1 luglio 2005

come ce lo racconta Il Cittadino
«il legame fra criminalità e follia»

Il Cittadino 1.7.05
Continua la pubblicazione dello studio di carattere storico per capire il legame tra comportamento criminale e follia
Le radici della scienza criminologica moderna Il solco tra spiritualismo e naturalismo si amplia nel corso del XIX secolo


Criminalità e follia: pubblichiamo il secondo dei sette brevi saggi per tracciare le radici positiviste che permangono nella criminologia del XXI secolo.

Spiritualismo e Naturalismo
Nell’epoca che vide la trasformazione degli istituti di internamento in penitenziari e manicomi, il dibattito psichiatrico e criminologico era dominato da due antitetiche correnti di pensiero: la dottrina spiritualista, che attribuiva la follia a cause psichiche e morali e la dottrina naturalista o organicista, la quale invece ne cercava le cause nelle condizioni organiche e cerebrali. Queste due dottrine, che nel corso del XVIII e del XIX secolo dettero luogo ad accese controversie fra i cosiddetti “psychiker” e i rivali “somatiker”, nel secolo successivo costituirono i riferimenti fondamentali per lo sviluppo di altre importanti prospettive, come quella fenomenologica, psicoanalitica e sociologica: orientamenti così importanti nel dibattito criminologico contemporaneo che meriterebbero un approfondimento maggiore di quello che qui si propone. Ritorneremo tuttavia su alcuni aspetti salienti quando tratteremo più in dettaglio il problema della diagnosi del “disturbo antisociale di personalità”. n SpiritualismoLa prospettiva spiritualista ha fondamento in una concezione filosofica e religiosa della follia. Alle origini di questa prospettiva, che si può ritrovare ancora oggi in alcune società “primitive” o “tradizionali”, la follia era intesa come segno di un castigo divino che riceveva colui che si era allontanato da Dio per aver commesso un peccato o perché vittima di stregoneria. Il castigo, che si manifestava come una “rottura” nello spirito del folle, per essere emendato richiedeva rimedi molto simili ai riti magici praticati nelle società tradizionali. L’esorcismo è forse il più noto, mentre la pratica della Seelsorge è meno nota, a causa della sua diffusione solo all’interno delle comunità protestanti. L’esorcismo era ancora molto praticato nel XVIII secolo. Ad esso si ricorreva in tutti i casi di circumnsessio (imitazione di una malattia naturale ad opera del demonio), obsessio (malattia dovuta ad opera di stregoneria) e possessio (vera possessione diabolica). Una delle migliori descrizioni di questa pratica si rinviene nelle biografie relative al sacerdote austriaco Johann Joseph Gassner (1727-79), esorcista così famoso per il successo delle sue cure da indurre papa Pio VI ad ordinare una inchiesta papale. Un’altra inchiesta a proposito dell’attività di Gassner venne affidata dal principe Giuseppe di Baviera ad una commissione a cui partecipò il medico naturalista Franz Anton Mesmer, nel 1775. Anche questa inchiesta si concluse con esito favorevole. Mesmer dichiarò che Gassner agiva in tutta onestà, anche se curava i suoi malati ricorrendo senza saperlo al magnetismo animale. In seguito Mesmer divenne famoso per una cura che nei modi era molto simile alla pratica esorcista, benché si rifacesse a principi naturalistici. La teoria del magnetismo animale di Mesmer è universalmente considerata opera pionieristica della Psichiatria dinamica. Da essa, attraverso i concetti di sonno magnetico e sonnambulismo artificiale (A. M. Jacques de Puysegur, 1785) si giunse alla pratica dell’ ipnosi (James Baird, 1840) e da questa, il cui più famoso esponente fu Charcot, al concetto di psicoterapia (Hyppolite Bernheim, 1886) ed infine alla psicoanalisi (Sigmund Freud 1899). Ma gli influssi dello spiritualismo furono molto forti anche fra gli alienisti romantici o “psychicher”, i quali ispirandosi alle interpretazioni scolastiche della filosofia ellenistica e romana seguitarono a vedere nella follia una malattia dell’anima, dovuta alla influenza negativa delle passioni ed alla non osservanza delle leggi morali. Questi autori, fra i quali ritroviamo gli ideatori del sistema penitenziario e gli artefici della trasformazione degli istituti di internamento in manicomi, attribuivano alla malattia mentale una causalità ancora metafisica, anziché propriamente psicologica: folle era quella persona che lasciandosi dominare dalle passioni anziché orientare la propria condotta secondo le leggi morali, aveva perso la facoltà del libero arbitrio, e quindi l’uso della ragione. Per ciò il trattamento cui andava sottoposto non poteva che essere un trattamento rieducativo, finalizzato sia al riconoscimento delle proprie colpe che alla acquisizione di quei valori la cui non osservanza aveva condotto alla follia.La concezione della follia come squilibrio delle passioni ha antichissime origini. Gli stoici e gli epicurei designavano sia la passione che la malattia con il medesimo termine: Pathos. Pathos, come movimento irrazionale dell’anima - equivalente all’affectus in Seneca e alla perturbatio in Cicerone - indica la malattia, che solo quando si fa irreversibile prende il nome di nosema. Non è un caso quindi se in molte lingue europee la radice dei termini passione (passion, passion, pasiòn, paixao) e patologia (pathologie, pathology, patologìa patologia) sia la stessa e cioè, appunto: Pathos.n NaturalismoCon l’epoca dei Lumi inizia ad affacciarsi sulla scena anche il nuovo paradigma naturalistico o organicista. Precursori di questo paradigma possono essere considerati i due autori inglesi Thomas Willis e Sydenham i quali, con le loro ricerche sulle passioni isteriche (1680) ed ipocondriache (1725), furono i primi ad associare la follia a disturbi del sistema nervoso. La patologia che si costituisce come oggetto di indagine privilegiato della psichiatria naturalista del XVIII secolo è rappresentato dalle “Neurosi”, ossia affezioni dei nervi che si manifestano con un disequilibrio delle passioni e un difetto della ragione. Nella prospettiva naturalista tuttavia, l’origine delle nevrosi non risiedeva nella mancata osservanza delle leggi morali, bensì in una alterazione degli spiriti animali circolanti nelle fibre nervose. Per tali ragioni gli alienisti naturalisti suggerivano terapie che miravano ad agire direttamente sugli spiriti animali e le fibre nervose, anche quando queste potrebbero sembrare finalizzate a produrre un effetto psicologico. Suscitare la paura era considerato da W. Cullen un buon metodo per diminuire l’eccitazione dei maniaci; ascoltare musica, passeggiare o andare a cavallo era considerato già un buon rimedio per la malinconia e la frenesia; ma oltre a queste pratiche erano più diffuse quelle che prevedevano la somministrazione di antimonio ed oppio, le trasfusioni di sangue, i salassi, le purghe, l’idroterapia ed anche la frizione del cranio rasato con aceto o l’inoculazione della rogna. Se le osservazioni di spiritualisti e naturalisti del XVIII secolo erano abbastanza simili, tanto appunto che Mesmer si considerava naturalista e non spiritualista, il solco che separa le due dottrine si fa più profondo nel corso del XIX secolo, quando le alterazioni delle fibre nervose non vengono più attribuite agli influssi degli spiriti animali, ma sono ricercate nella fisiologia delle fibre medesime. Due i concetti chiave attraverso i quali i naturalisti del XIX secolo cercheranno di spiegare le cause della malattia mentale: la degenerazione delle funzioni e degli organi e la lesione anatomica del sistema nervoso. È l’inizio del declino della dottrina spiritualista ed insieme la nascita della prospettiva naturalista moderna. Patologie troppo invischiate dagli influssi spiritualisti, come la follia estatica, l’automatismo ambulatorio, il sonnambulismo e le personalità multiple lasceranno definitivamente il posto a sindromi quali: mania, ipocondria, psicopatia, nevrastenia, demenza paralitica e praecox, oltre alle già citate nevrosi. In questa evoluzione occorre ricordare quello che diverrà un paradosso della psichiatria naturalista: essa si costituisce e si afferma come scienza che studia le neurosi, ossia le lesioni e le degenerazioni dei tessuti nervosi, tuttavia la sistematica impossibilità di trovare nei nevrotici alcuna evidenza organica porterà progressivamente i naturalisti ad abbandonare il modello delle nevrosi, per dedicarsi allo studio delle psicosi. Emil Kreapeling, primo psichiatra a proporre una classificazione delle malattie mentali sul modello della lesione organica, finirà per concentrare tutti i suoi sforzi nello studio di quella particolare forma di patologia degenerativa che è la demenza precox. A parte questo significativo paradosso e soprattutto grazie ai molti progressi realizzati nel campo della neurologia del XX secolo, il paradigma naturalista manterrà il predomino nello studio della malattia mentale, rendendo celebre l’espressione del grande pioniere della psichiatria naturalista tedesca del XIX secolo, W. Griesinger : “le malattie mentali sono malattie celebrali”.

Pierluigi Morini, psicologo clinico e criminologo, consulente delle Asl di Lodi, Milano e dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia