venerdì 1 luglio 2005

contro la chiesa cattolica romana

Le Scienze luglio 2005
editoriale
Cultura laica e repubblica saggia
Enrico Bellone

Nelle scorse settimane un gruppo di studiosi europei, tra cui Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini, ha diffuso un documento che difende la libertà di ricerca nel settore delle cellule staminali adulte ed embrionali. Il documento, inoltre, si augurava che l’Italia, votando al referendum in chiave antiscientifica, non si isolasse dalle nazioni moderne e dall’obiettivo di costruire la «società della conoscenza». Solo un italiano su quattro si è espresso in modo conforme a tale augurio. Eppure, un italiano su quattro vuol dire dieci milioni di persone. Vale allora la pena di riflettere, senza cadere nelle interpretazioni più semplici: da quella che vede la vittoria di una chiesa impicciona a quella che celebra le virtù di una Italietta moderata e di buon senso. Un primo spunto di riflessione riguarda propria la chiesa cattolica romana. La quale si è apertamente battuta sul terreno dei valori e dei rapporti tra scienza e morale religiosa: non ha sottilizzato su staminali adulte o embrionali, ma ha scritto che la genetica è una patologia della ragione poiché mette in pericolo la dignità stessa dell’uomo e la sacralità della vita. Si è tranquillamente parlato di cultura della morte. Ma non credo che questa immagine negativa della conoscenza sia stata decisiva nell’esito del referendum. L’esito è stato invece favorito, in modo massiccio, da una visione laica di bassissimo profilo, e cioè fondata su due valori che dovrebbero essere criticati con maggiore asprezza. Il primo poggia su modelli di comportamento di massa ampiamente diffusi da una TV spazzatura. Il secondo fa leva su opinioni antiscientifiche che nulla hanno a che vedere con gli argomenti del cattolicesimo intransigente. I modelli di comportamento di massa che i canali televisivi prediligono sono infatti centrati su forme populiste di arrivismo spicciolo, di minuscole furberie, di incultura e pressappochismo: l’esatto contrario di ciò che un popolo dovrebbe possedere per avviarsi verso la «società della conoscenza». Questi modelli sono conformi all’atteggiamento contrario alla scienza che è ugualmente diffuso, da decenni, in parti rilevanti della politica laica: lo alimentano sia coloro che valutano la conoscenza solo come merce utile o dannosa, sia coloro che concepiscono la scienza come espressione delle multinazionali, sia coloro che semplicemente non capiscono che i fondi per la ricerca sono investimenti per il futuro, e non spese eccessive o insopportabili per i conti pubblici. Non è allora un caso se gli inviti all’astensione hanno attecchito, sommandosi all’astensionismo cronico che sta consolidandosi fra quei cittadini che, con motivazioni varie, non coltivano fiducia nella politica. Ed è per questo che non è ragionevole sostenere che hanno vinto il cardinal Ruini e una Italia moderata e ricca di buon senso. Ha vinto, invece, un laicismo debole e litigioso, incapace di raccogliere il consenso attorno a valori razionali. Ha vinto chi pensa che la salute della donna e la libertà della ricerca non siano valori. Ma una battaglia perduta non equivale a una sconfitta globale. Gli scienziati e i politici che veramente desiderano un’Italia moderna hanno imparato, con quest referendum, di poter contare su dieci milioni di cittadini che coltivano valori diversi da quelli della chiesa cattolica e del laicismo populista. Si può partire da questa solida e popolata base razionale per costruire programmi credibili, e cioè radicati sull’idea che una fiorente cultura laica è l’ingrediente più efficace del buon governo in una repubblica forte e saggia.