lunedì 18 luglio 2005

«la libertà sessuale delle donne è la cosa più importante»

Corriere della Sera 18.7.05
Ricerca della London School of Economics realizzato dall’italiana Pezzini
«La libertà della donna conquistata con la pillola»
Studio inglese: è stato il principale fattore di emancipazione
Alessandra Mangiarotti

Macché diritti di maternità e legge sul divorzio. E’ stata la pillola a rendere la donna davvero libera. Libera di scegliere se e quando avere un bambino. E quindi libera di studiare, lavorare, fare carriera, fare soldi ed essere felice. Insomma, è il controllo delle nascite il principale fattore di emancipazione dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi. Lo dice uno studio inglese. Con tanto di numeri (e non slogan) alla mano.

LO STUDIO - I ricercatori della London School of Economics (Lse), coordinati dall’italiana Silvia Pezzini, hanno preso in considerazione i dati di 450mila donne inglesi e di 11 Paesi europei dal 1975. Quindi hanno incrociato il livello di soddisfazione delle ladies con le principali vittorie delle battaglie al femminile: leggi sull’aborto, contraccettivi, diritti di maternità e legge sul divorzio. Risultato: «Quello che ha reso davvero libere le donne è stato il controllo delle nascite. Mentre diritti di maternità e divorzio hanno avuto effetti trascurabili sul Welfare al femminile». Anzi: in alcuni casi «effetti negativi». Per intenderci: «Quello che le donne guadagnano grazie ai congedi maternità lo perdono sul piano dell’idoneità professionale», mette in guardia la Pezzini. Che va oltre: «L’obiettivo del governo Blair di portare il congedo pagato a 12 mesi difficilmente aiuterà la causa delle donne».

LIBERTÀ RAGGIUNTA - La pillola è stata introdotta in Inghilterra per le donne sposate nel 1961. E la responsabile dello studio libertà-uguale-pillola evidenzia: «Le ladies che all’epoca erano in età fertile hanno registrato un aumento del livello di benessere». Vale a dire: più donne laureate, più donne al lavoro e al lavoro con mansioni di responsabilità. E in Italia? La pillola è arrivata a fine Anni Sessanta. La legge sul divorzio nel ’70. Quella che tutela le madri sul luogo di lavoro nel ’71 e quella sull’aborto sette anni dopo. Tutti d’accordo sul fatto che lo studio inglese sancisca una sacrosanta verità. Ma guai ad incoronare la pillola regina di tutte le vittorie rosa.

IN ITALIA - E’ innegabile: «Riuscire a controllare la nascita di un bambino è fondamentale per pianificare la carriera, oggi uno dei principali metri di libertà», commenta «da economista e non da donna» Cristina Bombelli, coordinatrice del laboratorio «Armonia» alla Bocconi di Milano. «Sicuramente il divorzio ha un’incidenza minore sulla gestione della propria vita. E se in Inghilterra gli effetti del congedo maternità sono penalizzanti, nella permissiva Italia sono addirittura deleteri». Parola di imprenditore: «Soprattutto di piccolo e medio imprenditore (il 90%) che ammette senza veli di preferire assumere un uomo proprio per colpa di quei permessi rosa».

IL DIBATTITO - L’avvocato Mariagrazia Campari mette però le mani avanti: «Non facciamo sponsorizzazioni farmaceutiche: le conclusioni dello studio inglese sono sacrosante (non illuminanti). Ma tutte le battaglie hanno pari dignità». La psicoterapeuta Anna Salvo aggiunge: «E’ impossibile dire se è stata più la pillola del divorzio a dare libertà. Di sicuro il confetto rosa ha permesso alle donne di riappropriarsi del proprio corpo e del proprio tempo». E la sociologa Chiara Saraceno: «Da sola però non basta a dare libertà. Prima dei comportamenti sessuali le donne hanno cambiato la testa». Quanto ai diritti per le mamme lavoratrici: «Se i congedi maternità li possono prendere solo le donne, beh, questo le penalizza. Ma come dice un’indagine dell’Ocse proprio l’alta occupazione femminile, insieme a politiche flessibili, aiuta la fecondità». Perché va detto: «La pillola è importante così come lo sono l’accesso al lavoro (qualificato) e il riuscire a conciliare lavoro e famiglia, a essere mamma lavorando». Del resto gli effetti collaterali sono in agguato. Come quelli di cui l’attrice Jennifer Aniston è diventata l’emblema: ha rotto con il suo Brad Pitt e le malelingue giurano che la causa sia stata proprio la sua riluttanza a interrompere la carriera per diventare mamma.

Corriere della Sera 18.7.05
«No, la svolta iniziò con la lotta contro la famiglia tradizionale»
Mariolina Iossa

Scrive il Times: «Dimenticate le leggi sul divorzio e sull’aborto, è stata la pillola a rendere le donne libere». Davvero è così, davvero le battaglie delle donne, il movimento femminista, hanno contato assai meno, quasi nulla, lungo il cammino della emancipazione femminile? Davvero basta solo la contraccezione per far sentire una donna veramente libera? «Per carità - replica la storica Anna Bravo -. La pillola è stata, ed è importantissima. La pillola previene le gravidanze indesiderate e impedisce di dover ricorrere all’aborto. Ma io credo che sia solo una concausa. Forse le donne più giovani, quelle che hanno ereditato i risultati delle battaglie femministe, hanno risposto in questo modo al questionario perché guardano alla pratica. Ma chi riceve l’eredità deve comunque agire, deve mettersi in gioco, non può fermarsi lì». E allora guardiamo indietro, raccontiamo com’è andata. «Ci sono state le lotte, le battaglie di tante donne che rifiutavano un modello rigido imposto dalle famiglie. La pillola è del ’60 ma in Italia, fra l’altro, c’era una legge che vietava di propagandare i sistemi di controllo delle nascite e l’Aied, sorto già dal ’53, subì numerose denunce».
Dunque, il fermento, la voglia di riscatto parte ben prima della pillola. «Sì, certo, possiamo dire che la pillola si inserisce dentro una tendenza. Già le ragazze degli anni Cinquanta, e cito il saggio di Simonetta Piccone Stella, avevano voglia di cose nuove, lo dicevano in modo pasticciato, confuso, ma cercavano una propria strada, respingevano il modello di moglie, madre, lavoratrice perfetta. Un modello che richiedeva uno sforzo immenso». Ma che cosa volevano? «Cose diverse, viaggiare, ascoltare la musica, andare al cinema. Ma non volevano risolvere tutta la loro vita dentro la famiglia».
E dopo c’è stata la presa di coscienza, la lotta per una maggiore libertà, una lotta anche politica. «Una giovane donna non vuole crescere ossequiosa, rispettosa delle regole degli adulti. Così all’inizio litiga dentro la famiglia, nello sforzo di rompere i modelli chiusi. La pillola arriva dentro questa tendenza, e certamente contribuisce a dare maggiore sicurezza. Ma le leggi sul divorzio e sull’aborto, leggi sacrosante, sono quelle che hanno dato alle donne la possibilità di scelta. Io non penso che il divorzio e l’aborto siano qualcosa di rivoluzionario. Nell’esperienza personale significano anche lutto, dolore. Ma non si possono cancellare. Sono strumenti per creare le condizioni di libertà. Poi, nella pratica, ognuno si libera da solo. La libertà non è una cosa che si ottiene, che viene regalato, concesso o consegnato».