sabato 16 luglio 2005

libri
corpo e anima nella cultura ebraica pre-cristiana

La Stampa TuttoLibri 16.7.05
Nel tessuto della Bibbia il corpo è un vestito divino
Elena Loewenthal

LETTURE per l'anima e il corpo. Anzi, questa volta più per l'uno (e intorno all'uno) che per l'altra, anche perché non tutte le civiltà presentano una drastica opposizione fra i due. Nella tradizione ebraica, per l'appunto, l'uomo è un imprescindibile connubio di nefesh (anima, o meglio, più prosaicamente al maschile «animo») e basar, cioè «carne». O meglio, basar we-dam, intruglio di carne e sangue. Quest'ultimo, poi, non è soltanto un liquido fisico quanto lo scrigno stesso della vita, un patrimonio che appartiene solamente a Dio. Pertanto, il corpo non è affatto «basso» per definizione, preda di impulsi inferiori e per questo deprecabili: è invece, nel tessuto biblico, il vestito che il Creatore ha foggiato con le sue stesse mani. Al corpo dell'uomo come scrigno di una lunga e affascinante storia è dedicato, in fondo, l'ultimo libro di Rita Levi-Montalcini, Eva era africana (Gallucci editore, www.galluccieditore.com, pp. 90, e10, con le illustrazioni di Giuliano Ferri). Si tratta di un itinerario nelle origini dell'umanità, verso la sua «culla», cioè l'Africa, concepito per i bambini ma consigliato fino ai 99 anni (e oltre). Rita Levi-Montalcini si augura, nella chiosa, che il futuro sia donna: speriamo soprattutto che sia di quelle donne che, in Africa così come altrove, un futuro non l'hanno ancora mai avuto. Ma sul futuro (e il passato) dell'umanità si interroga anche Orlando Franceschelli nel suo saggio Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (Donzelli, pp. 150, e12,50). Questo libro capita a proposito, in controffensiva all'attacco di agguerriti neo-creazionisti. Dopo Darwin è cambiato il nostro modo di vedere il mondo, la natura, l'uomo. Nemmeno Dio, del resto, è uscito indenne dalla rivoluzione della selezione naturale. In questo senso, il corpo, dell'uomo e degli animali, è un prezioso tracciato del nostro passato: non una scoria, bensì una specie di monumento vivente alla vita. Non a caso, l'espressione più pregnante che l'ebraico ha mai trovato per dire «memoria» è yad wa-shem, cioè alla lettera «mano e nome». Sembra quasi una felice corrispondenza semantica, ma questa espressione è certo il mondo migliore per «sentire» il corpo, la fisicità nel mondo ebraico. Partendo, naturalmente, sempre dalla Bibbia. Un piccolo libro capita a proposito: si tratta de Il corpo di Luciano Manicardi, monaco di Bose e biblista. L'ha pubblicato Qiqajon. Queste breve ma intenso saggio è una libera riflessione sul rapporto fra corpo e fede. C'è molto della teologia cristiana sulla «migrazione» del corpo di Gesù verso il rito, e ci sono interessanti note a margine al testo biblico. Per nota a margine non s'intende nulla di riduttivo, anzi: è da sempre questo il modo più profondo e penetrante per fare proprio il messaggio del Libro. Manicardi ci parla del basar, il sostantivo maschile per dire carne, ma la designa solo se vivente: «È sinonimo di fragilità e caducità ma, quando il corpo muore, diviene altro, diviene “cadavere”». Ci propone un primo orientamento di antropologia biblica del corpo, esplorando cuore, lingua, mani, occhi, labbra. E i gesti: il cibarsi e l'amare, il lavoro e la parola. Offre in sostanza una acuta lessicografia della corporeità biblica, come quando commenta passi quali «tutte le mie ossa fremono» (Salmi 6,3): un'espressione quanto mai calzante per descrivere quel particolare dondolio del corpo durante la preghiera del popolo d'Israele.