Corriere della Sera 16.7.05
Umberto Scapagnini
IL SINDACO
F. Cavallero
CATANIA - Forse Enzo Bianco non risorgerà sulla cenere dell’Etna, ma è la stessa cenere ad oscurare la vittoria di Umberto Scapagnini, il medico del Cavaliere che il 15 maggio evitò la debacle del centrodestra smentendo i sondaggi della vigilia.
Perché su quella cenere vomitata dal vulcano nell’ottobre 2002 e trasformata nella speranza di un sussidio a pioggia, lo scienziato che teorizza l’immortalità di Berlusconi avrebbe costruito un pezzo della sua rielezione a sindaco. Distribuendo «indebitamente e fraudolentemente» 3 milioni di euro agli oltre 4.000 dipendenti comunali. Assegni da 300 euro per l’impiegato appena assunto, fino ai 1.300 per i funzionari con dieci anni di servizio. Il tutto con delibera del 12 maggio, a tre giorni dall’apertura delle urne. Quanto basta per ipotizzare un produttivo scambio di voti.
Anzi, un «abuso d’ufficio», come sostiene la Procura di Catania che lo ha incriminato con 6 assessori uscenti della sua giunta, tutti accusati di essersi sostituti all’Inpdap, l’istituto di previdenza per i dipendenti della pubblica amministrazione, elargendo somme non dovute.
Già fissato il primo interrogatorio. Per martedì prossimo, quando Scapagnini con il suo avvocato, Guido Ziccone, davanti al procuratore Mario Busacca e ai sostituti Ignazio Fonzo e Francesco Puleio dovrà difendersi dall’accusa di avere agito «sul falso presupposto di una calamità naturale» al fine di «ottenere in favore dei candidati il voto elettorale».
Con circa 12mila voti di distacco da Enzo Bianco, il sindaco più elegante d’Italia assicura che quei contributi «non possono avere avuto peso nella bilancia elettorale». Ma sarà inevitabile la polemica politica sia perché con figli, parenti ed amici nel ventre di Catania può essere scattata la moltiplicazione dei consensi, sia perché le «provvidenze» si basavano comunque su un errore o su bugie. E chi ha ricevuto dovrà adesso restituire le somme. Con prevedibili contenziosi conditi di rancore visto che proprio un decreto del governo Berlusconi ha definitivamente chiarito che quei contributi a Catania non spettano. Ma l’ha varato il 10 giugno, a cose fatte.
Tutto comincia con un provvedimento della Protezione civile emesso nel 2002, quando sotto l’Etna si respirava cenere, sulle macchine piovevano sassolini neri e per le strade si spalava sabbia fangosa. Allora il governo Berlusconi sospese il pagamento di imposte e contributi previdenziali in 13 Comuni sotto il vulcano, senza alcun cenno per la città di Catania. Una nota interpretativa estese poi i benefici a tutti i Comuni della provincia. Una scelta generica. Perché, teoricamente, avrebbe compreso perfino paesi estranei al fenomeno come quelli confinanti con Ragusa.
Notabili, burocrati e spicciafaccende della politica si mobilitarono affannati. Ottenendo un prolungamento del decreto al marzo 2004 e sancendo che i contributi versati dai dipendenti pubblici a partire dall’ottobre 2002 andavano restituiti agli interessati.
Ogni lavoratore finiva così per maturare via via somme dai 3mila agli 8mila euro. Dai medici delle Asl ai netturbini, dai poliziotti ai magistrati. Un terremoto per Inps, Inpdap ed altri enti ignari sul da farsi, preoccupati di una bancarotta.
Paradossalmente ad aggravare la vicenda fu l’anno scorso un gruppo di carabinieri in servizio a Catania che, con un avvocato e una sfilza di decreti ingiuntivi, ottenne dall’Arma l’elargizione di quelle somme da restituire in 129 rate mensili senza interessi. Di qui le pressioni di tutte le categorie sugli enti pubblici per un replay generalizzato. Un pasticcio poi bloccato lo scorso 10 giugno col decreto che limita la misura ai 13 Comuni già individuati nel 2002: Belpasso, Castiglione, Linguaglossa, Nicolosi, Ragalna, Acireale, Milo, Piedimonte Etneo, Santa Venerina, Zafferana Etnea, Giarre, S. Alfio, Acicatena.
Ma frattanto Scapagnini s’era lasciato andare. Pensando ai 56 milioni di euro versati in tre anni all’Inpdap come ritenute dei dipendenti comunali e agli interessi maturati dall’ente su quella cifra, circa 10 milioni di euro, decise di usarne una parte, appunto 3 milioni, per la distribuzione del 12 maggio. «Somme da sottrarre all’Inpdap sui futuri versamenti», scrissero in delibera. Una scelta adesso ritenuta dai magistrati «un regalo a 2 giorni dalle elezioni». Elargito «senza nemmeno far firmare l’impegno a restituire le somme qualora risultassero non dovute».
Una acrobazia senza rete, anche perché in Procura è arrivata la nota dell’Ufficio Personale del municipio, datata 6 aprile 2005: «Soltanto l’Inpdap può essere chiamata alla restituzione delle rate e l’amministrazione non può in alcun modo "anticipare" i rimborsi con fondi propri». Come sapeva Scapagnini, stando all’accusa che parla di una bugia, di «una decisione pretestuosamente fondata sul presupposto che il Comune fosse stato diffidato e convenuto dai propri dipendenti davanti al giudice del lavoro». Ma la causa era stata rinviata al 7 giugno. E il regalo fu ancor più apprezzato.
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