sabato 16 luglio 2005

sinistra
la mozione di Prodi sulla guerra adesso non è più quella concordata con Bertinotti

Corriere della Sera 16.7.05:
ROMA - Romano Prodi ci prova. (...) Il leader dell’Unione invia agli alleati una bozza di due cartelle nella quale (...) proietta il ritiro delle nostre truppe nello scenario di quella «nuova fase che si aprirà a partire dal gennaio 2006 sotto l’egida dell’Onu», al termine del periodo di transizione in Iraq (referendum sulla nuova costituzione ed elezioni parlamentari). Per farla breve: l’exit strategy prodiana prevede che (...) le nostre truppe potrebbero abbandonare il suolo iracheno nella primavera 2006, «non certo prima», come gli stessi collaboratori del Professore ammettono.

Le forze del centrosinistra si sono divise dopo aver letto il documento di Prodi. Il Prc, i Verdi e il Pdc hanno bocciato la proposta perché non contiene una data precisa del rientro e consegna a Berlusconi la gestione della exit strategy .
Bertinotti: «È una bozza insoddisfacente da tutti i punti di vista. Non ci siamo proprio»


Corriere della Sera 16.7.05

Bertinotti: è Romano che rompe. Con se stesso
«Nella sua introduzione di lunedì c’erano la condanna della guerra e il no al rifinanziamento: perché sono spariti?»
il Colloquio
Maria Latella

ROMA - La «deontologia professionale» spiega Fausto Bertinotti, gli impedisce di raccontare a un cronista che cosa proprio non va nella mozione sull’Iraq che Romano Prodi propone di presentare alla Camera. «Trovo corretto spiegarmi prima con lui». E tuttavia, il dissenso non potrebbe essere maggiore, giacché il segretario di Rifondazione comunista considerava una «buona base di discussione» l’introduzione elaborata da Prodi lunedì scorso, «mentre questa nuova non potrei certo definirla allo stesso modo». Quella, discussa pubblicamente, contemplava punti che Bertinotti considera essenziali: «Per cominciare c’era una condanna inequivocabile ed esplicita della guerra, considerata sbagliata. Si parlava, giustamente, di occupazione militare e, muovendo da questa premessa, ne derivava il no a qualunque rifinanziamento alla missione. Insomma, lunedì abbiamo discusso di uno schema preciso di ritiro delle truppe italiane, si indicavano anche le modalità di una nuova fase che dovrebbe vedere in Iraq la presenza dell’Onu o di forze che comunque non avessero finora preso parte alla guerra. Su questi elementi, lunedì scorso, mi sembrava ci fossero buone basi di partenza per una discussione». Da allora a ieri, che cosa è cambiato? Bertinotti si stringe nelle spalle:
«Non lo so. Certo, mi sembra improvvido seguire una linea per cui si rendono pubblici i documenti ancor prima che essi vengano discussi dai soggetti interessati. Sarà per via della mia lunga militanza sindacale, ma non sono abituato a certe procedure. Mai mi è capitato di vedere che il documento di un accordo tra Cgil-Cisl e Uil fosse reso noto prima di essere approfondito. Non conosco prassi di questo genere».
Dietro la bertinottiana cortesia formale, si coglie una perplessità sostanziale:
«Il nuovo testo non contiene gli elementi fondamentali per arrivare a una comune approvazione. Se poi vogliamo dare anche un giudizio sulle modalità, non mi sembra saggio addentrarsi nella tecnica della produzione di una bozza di mozione parlamentare. Ai segretari di partito tocca produrre un documento politico. Punto. La costruzione di un ordine del giorno, invece, andrebbe lasciata ai gruppi parlamentari».
Sembra una neppure troppo indiretta lezione di bon ton (e di diplomazia relazionale) inviata a chi non ha tenuto conto delle sottili opportunità offerte dalla situazione.
«Tra l’altro - aggiunge per l’appunto un Bertinotti questa volta volenteroso - tra l’altro, l’ordine del giorno del governo riguarda la sola proroga della missione in Iraq e dunque votare "no" sarebbe esaustivo. Non è richiesto altro che quel voto. Dopodiché, ci sarebbe tutto il tempo per lavorare a un documento unitario che, per quanto ci riguarda, deve partire dal ritiro delle truppe in Iraq».
Tutto sta nell’intendersi sul concetto di guerra:
«È un male, oppure pensiamo che in certe situazioni la guerra, e i suoi sviluppi, possano produrre conseguenze governabili?».
Intanto, però, si va consumando la prima, ufficiale, rottura tra Romano Prodi e Fausto Bertinotti. Quel che nel linguaggio dei cronisti politici viene sempre definito «uno strappo».
«Semmai, lo strappo è di Prodi con Prodi» ironizza il segretario di Rifondazione. Perché, insiste, non si capisce con chi l’ha elaborata, questa bozza, e se davvero si tratta di una futura mozione parlamentare, «allora va discussa con i gruppi, alla Camera».
Lui, Bertinotti, si dice
«disponibilissimo»: «Ricominciamo da lunedì scorso. Riprendiamo. Come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza».
Certo, se queste sono le premesse, un governo di centro sinistra romperebbe subito, sulla politica estera. Sbuffa:
«Non capisco perché. Il maggioritario impone larghe maggioranze e larghe maggioranze impongono di esercitare di continuo l’arte del compromesso. Abbiamo un governo Berlusconi che non è d’accordo neppure sulla moneta, c’è chi vuole l’euro e chi vuole la lira... Eppure stanno insieme dal 2001».
Non proprio un esempio di armonia, converrà.
«E allora cambiamo il sistema, torniamo al proporzionale. Ma fin quando il sistema è questo, bisogna avere la pazienza di esercitare l’arte del compromesso. Anche nel centrosinistra».