giovedì 7 luglio 2005

PIETRO INGRAO

Il Messaggero 6 Luglio 2005
VOCAZIONE A SINISTRA
Politica alla ricerca della passione perduta
In un dialogo epistolare con Goffredo Bettini, Pietro Ingrao rivela: «Sono un tattico»
di MARIO AJELLO

ROMA La pseudo-modernità della politica senz’anima. Il vuoto teatrino del nulla di Palazzo. L’opposto di tutto questo si chiama Pietro Ingrao. Novant’anni. Un poeta. Un leader. Un comunista del cuore, il quale ha sempre vissuto la politica - così scrive Goffredo Bettini, deputato Ds e storico dirigente della sinistra romana - in un intreccio di «incanto» e «disincanto».
Un libriccino affettuoso, intitolato «Una lettera di Pietro Ingrao», è appena apparso per le edizioni Cadmo. Contiene l’articolo che nel 1992, su «Paese Sera», Bettini scrisse a proposito dell’antico dirigente comunista e presidente della Camera, quando egli decise di non candidarsi più alle elezioni. In più ci sono la missiva che subito dopo Ingrao scrisse a Bettini e alcune pagine che quest’ultimo ha dedicato di recente a Ingrao, in occasione dei suoi 90 anni.
Praticamente, un dialogo sentimentale. Fra due politici che appartengono a generazioni diverse, ma vivono da decenni nello stesso mood. «Io sono scisso - scrive Ingrao al suo compagno più giovane - e sapessi quante volte quell’intervenire nella politica, persino sotto l’aspetto tattico, mi appare di una lontananza astrale dai miei stati d’animo più profondi». E sulla politica politicante: «Quante volte, stando ”dentro le mura”, so che vengo e sto ”fuori le mura”: sento una estraneità, persino una strana indifferenza in certi momenti. Mi chiedo: che ho a che spartire?». Ed è appunto questa percezione lucida di un limite ciò che di Ingrao ha affascinato intere generazioni di militanti politici e di persone di sinistra. E Bettini più che altri. Scrive: «C’è un nucleo sempre presente delle idee di Ingrao. La politica non riesce a rappresentare spazi dell’animo umano, che pure chiedono continuamente di essere riconosciuti». Un leader così è un leader che, del ’900, ama immensamente Kafka e Charlot, «Il processo» e «Tempi moderni»: due rappresentazioni della mutilazione spirituale dell’individuo.
E tuttavia, non c’è eticismo nè retorica nell’approccio di Ingrao alla vita e alla politica. Lo racconta lui stesso, al giovane compagno nella lettera del ’92: «Ogni tanto mi accorgo che (assai diversamente da quello che qualcuno dice di me) a me interessa nella politica anche l’aspetto ”tattico”. Mi capisci: non nel senso di furbesco...». Ancora: «Io ho sempre molte esitazioni ad adoperare il termine ”morale”. Il ”dover essere” mi sembra che contenga una astrazione; e io credo molto in una corporeità della vita; credo nelle passioni vitali che ci scuotono e ci inseguono». Dunque, Ingrao decodifica Ingrao. Anzi, lo rilegge e lo smonta. Senza autoindulgenza. «In certo senso, la politica non è un agire per gli altri. E’ un agire per me». Nel senso che «io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli o dei più offesi. Ma la sento perchè pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male».
Bettini lesse queste righe e ora risponde parlando di sè: «Non sono stati i libri di Marx, di Gramsci o di Togliatti, o un’astratta scelta ideologica o di valori, a farmi diventare a quattordici anni un comunista. E’ stata, piuttosto, la materialità di un grumo di passioni, di emozioni, di esigenze psicologiche e di spinte che potrei definire psichiche, di paure e di speranze, di reazioni alla vita e alle sue sorprese». Ecco che cos’è l’ingraismo: un’approccio senza tempo alla politica, uno sguardo sul mondo che non teme di apparire umano.