giovedì 7 luglio 2005

storia
il razzismo di Mussolini

Corriere della Sera 7.7.05
Sarfatti: «Aperta una nuova strada di ricerca». Sabbatucci: «Sbagliato applicare la nostra sensibilità ai pregiudizi degli inizi del ’900»
Mussolini antisemita, un peccato di gioventù
di DINO MESSINA

«Nel 1981 De Felice ha scritto che Mussolini fino agli anni Trenta "non era stato mai razzista e nemmeno antisemita". E ci si permetta di sottolineare quel "mai". A De Felice si è poi allineato uno studioso di grande peso, George Mosse, che su varie questioni ha visto giustissimo ma, sembrerebbe, non su questa, o non del tutto». Giorgio Fabre, storico e giornalista di Panorama , noto per la capacità di trovare materiale inedito negli archivi (si veda il suo libro più recente, Il contratto, sul ruolo avuto da Mussolini nella pubblicazione del Mein Kampf in Italia) pubblica la sua opera più ambiziosa. E questa citazione ne è la dimostrazione. Il libro, Mussolini razzista (Garzanti, pagine 508, 25) fin dal sottotitolo, «Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita», annuncia di voler ribaltare la tesi del massimo biografo del Duce. Un compito da far tremare i polsi. Oggetto della ricerca è il periodo precedente la promulgazione delle leggi razziali, nella seconda metà del 1938. L’autore sostiene la sua tesi, che cioè l’antisemitismo di Mussolini non solo è precedente agli anni Trenta, ma addirittura risale alla fase socialista, con radici riscontrabili nel periodo della formazione, utilizzando materiale d’archivio, anche inedito, ma soprattutto attraverso una lettura mirata degli scritti mussoliniani.
I primi segni, secondo Fabre, si possono trovare nel breve saggio scritto nel 1908, a 25 anni, a commento di una conferenza tenuta da Claudio Treves a Forlì sulla «filosofia della forza». Ribaltando l’interpretazione fatta dallo studioso e politico socialista di alcuni passi di Nietzsche, il giovane Benito arrivava a scrivere frasi come questa: «I deboli trionfano sui forti e i pallidi giudei sfasciano Roma. Ciò che era buono diventa cattivo». Sicuramente, avverte Fabre, in questo, come in altri scritti del periodo di formazione, Mussolini ancora non ha un’opinione netta su molte questioni, a cominciare da quella razziale, ma certe posizioni risultano facili a un uomo che, come scrisse De Felice, aveva «un fondo di antisemitismo tradizionale». A sostegno di questo antisemitismo «di strada», l’autore ricorda il clima che il futuro capo del fascismo aveva respirato in casa. Il padre di Benito, Alessandro, era stato molto influenzato dagli scritti dell’anarchico Bakunin, che detestava Marx in quanto «tedesco, comunista, ebreo».
Il lungo saggio di Fabre non è soltanto dedicato all’antisemitismo, ma è questo l’aspetto del razzismo di Mussolini che viene maggiormente analizzato. Fabre non omette nessun particolare, anche gli episodi più controversi: i rapporti con Margherita Sarfatti, la scrittrice ebrea che tanta influenza ebbe sul capo del fascismo anche per quanto riguarda il razzismo antinero; i finanziamenti al Popolo d’Italia da parte della Banca commerciale italiana guidata dall’ebreo Giuseppe Toeplitz; la partecipazione di numerosi ebrei al fascismo.
Nulla secondo l’autore interrompe tuttavia la formazione di un pensiero antisemita che coesisterà con il credo socialista e che si farà via via più esplicito. Quando per esempio, nel marzo 1915, ormai lontano dal giovanile timore reverenziale, da direttore del Popolo d’Italia Mussolini attacca il vecchio Claudio Treves: «palancagreca», «ruba il linguaggio agli straccioni del ghetto»; oppure si scaglia contro «un Modigliani che è grande soltanto nell’onore del mento e della fronte». Con il passare degli anni gli insulti antiebraici diventano sempre più pesanti. Quando nel dicembre 1917 scrive un articolo sul nuovo commissario bolscevico della guerra Krylenko, Mussolini chiosa: «Si chiama Abram. Altro impasto di lettere che puzza di tedesco e di sinagoga».
Per Fabre, che si tratti di politica internazionale o di politica interna, l’antisemitismo è una costante del pensiero mussoliniano. Un pensiero che si manifesta in atti concreti già nel 1929. All’inizio del libro viene raccontato un episodio inedito che secondo l’autore lascia intravedere le vere future intenzioni di Mussolini. Questi «il 12 febbraio 1929 scrisse al governatore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher: "Esigo l’immediato esonero del direttore della filiale di Genova della Banca d’Italia"». Il funzionario in questione, Ugo Del Vecchio, non era soltanto accusato di «disfattismo e antifascismo», ma era sotto inchiesta in quanto ebreo. Il 1° marzo il capo del governo telegrafò personalmente al prefetto di Genova: «Mi accerti se sia vero che ultimo figlio direttore locale Banca d’Italia commendatore Del Vecchio sia stato battezzato et in quale chiesa cattolica». Siamo sicuri che si tratti soltanto di un episodio minore? E davvero appartiene solo alla storia privata il mancato matrimonio tra Edda Mussolini e il giovane ebreo Dino Mondolfi? Edda raccontò che donna Rachele aveva cercato di far mangiare al giovane pretendente del prosciutto, e che il padre le aveva detto «inferocito»: «Gli ebrei sono i miei peggiori nemici».
Il saggio di Giorgio Fabre è uno di quei libri che fanno discutere. Dice Michele Sarfatti, direttore a Milano del Centro di documentazione ebraica: «Il libro di Fabre apre una strada di ricerca che va ben al di là del fascismo. Intanto si parla di un razzismo italiano. Una questione che non è mai stata affrontata volentieri. Ma il vero aspetto nuovo è che Fabre ripropone nella biografia di Mussolini un itinerario con varie fasi alla luce della costante razzista. Un lavoro che nemmeno De Felice ha fatto».
A differenza di Michele Sarfatti, lo storico Giovanni Sabbatucci, pur non avendo ancora affrontato in profondità il saggio di Fabre, non è affatto d’accordo sulla tesi di fondo: «Non è vero innanzitutto che De Felice non ha letto le opere di Mussolini alla luce dell’antisemitismo. De Felice di Mussolini conosceva tutto, è semplicemente arrivato a conclusioni diverse». Sul tema dell’antisemitismo d’inizio secolo Sabbatucci ha un’idea precisa: «E’ sbagliato applicare a quei tempi il nostro metro di giudizio. Come ha dimostrato anche una recente discussione su De Gasperi, agli inizi del secolo scorso i sentimenti antiebraici erano molto diffusi. Espressioni antigiudaiche si trovano in personaggi insospettabili come Gaetano Salvemini che usò frasi oggi impronunciabili».