martedì 14 ottobre 2003

citati al Lunedì

(...oltre alla bella trasmissione "Ritratto d'Autore" con Marco Bellocchio, di venerdì 10.10 su Skay - adesso disponibile, oltre che in visione presso la libreria AMORE E PSICHE di Roma, anche sul web all'indirizzo http://www.mawivideo.it -, e al pessimo inserto su "Buongiorno, notte" pubblicato sul supplemento (Alias) del manifesto dell'11.10)

Repubblica sabato 11.10.03
L' orribile commedia dell' affare Moro
FRANCO CORDERO


L' affare Moro, evocato da "Buongiorno, notte", ha riacceso vecchie dispute, placate le quali, mi permetterei di fissare qualche punto. Cominciando da uno incontrovertibile: la colpa dello Stato nell' avvenimento che insanguina via Fani, angolo Stresa, giovedì mattina 16 marzo 1978, ore 9.15, quando nove brigatisti l' aspettano al varco: eccolo sulla solita 130 blu, seguito dall' Alfetta bianca; una 128 le supera, converge a destra, frena; gli otto appostati sparano sulle vetture imbottigliate ammazzando l' intera scorta con ragguardevole precisione, visto che lui esce incolume; se ne impadroniscono; lo portano via in barba alle polizie che accorrono inutilmente sul luogo, anziché sciamare sui possibili percorsi della fuga. Gli uccisi erano bersaglio d' un tiro a segno, sagome inerti. Quanto al rapito, sarebbe stato meno pericoloso andare in taxi o sull' autobus. Le Brigate rosse appartengono al bestiario italiano: uccidono da qualche anno; Aldo Moro costituiva la massima preda, fautore d' intese larghe fino alla graduale inclusione del Pci nell' area governativa, quindi odiato dagli estremisti hinc inde, 10 anni prima che cada il Muro; e non dimentichiamolo, presidente in pectore della Repubblica. Insomma, era molto esposto; bisognava difenderlo; quanto male vi provvedessero i responsabili, consta dall' assurda strage. Altrettanto ovvia la seconda conclusione: non l' hanno protetto; sta in mano ai sequestratori; lo salvino. L' indomani nasce un comitato interministeriale, le cui 7 riunioni pesano meno d' una giaculatoria. Nel Viminale un' équipe presieduta dal ministro tiene riunioni quotidiane, poi trisettimanali, senza verbali né appunti: anziché agire, gli apparati inscenano le frenesie d' un corpo senza cervello; spiegamenti pour épater le bourgeois; viene il dubbio che non lo cerchino. Esce una fotografia dalla "prigione del popolo". Terzo capitolo. Nella prima lettera, giovedì 29, il recluso ventila negoziati. No, esclamano i virtuosi: lo Stato non siede al tavolo dei terroristi assassini, e commettono una cosiddetta "ignorantia elenchi": vizio piuttosto diffuso, consiste nell' evadere dai termini della causa; "prouver autre chose que ce qui est question" (Arnauld e Nicole, Logique de Port-Royal, III.19.1). L' argomento varrebbe se, trattando, l' autorità abdicasse: ad esempio, quel telegramma 28 ottobre 1922 dal Quirinale a Benito Mussolini; ma le Brigate rosse non la riconoscono né chiedono riconoscimenti. Nel loro universo fantasmagorico l' unico rapporto possibile con le diaboliche sovrastrutture borghesi è guerra senza quartiere: avendo sequestrato un nemico importante, intendono scambiarlo con dei detenuti, uomini loro; altrimenti morrà. Dal punto di vista dello Stato, classica estorsione: può resistere o subirla, riservandosi il rendiconto; vince il più forte; sono partite tra ordinamenti incompatibili. Il giovane Cesare ne sbriga una, anno 75 a.C.: navigando verso Rodi, alla scuola del retore-grammatico Molone (rectius Apollonio), cade in mano ai pirati; la sua vita vale 50 talenti; li paga sull' unghia; riparte, arma una piccola flotta, insegue i rapitori, li cattura e impicca. A parte il supplizio, così agiscono gli Stati rispettabili, dove manchino alternative. Inutile dire quale sia l' auspicabile, irrompere nel covo. Se al Viminale sedesse Giolitti (s' era sempre tenuto gl' Interni), non vi penserebbe due volte. In spregio alle norme? Nossignori, nel codice penale esiste l' art. 54: fatti previsti come reato (a esempio, aprire le porte ai detenuti fuori dei casi legittimi) diventano leciti ("scriminati") ogniqualvolta l' autore vi sia "costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale d' un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile". Come minimo, i negoziati mangiano tempo, guadagno netto dove esistano organi efficienti. Qui non lo sono. Dura 55 giorni la bancarotta poliziesca. L' ex-oratoriano Fouché, ministro napoleonico, risolveva casi simili in poche ore. Siamo al quarto punto, orribile commedia. Moro penalista era scrittore nebuloso. L' uomo politico coltivava un lessico ermetico in frasi lunghe, sinuose, a taglio multiplo, sul filo del nonsense (le famose "convergenze parallele"). Nella "prigione del popolo" cambia stile. Sono chiarissime le 8 lettere edite, l' ultima all' allora presidente della Repubblica, 4 maggio, quando gli restano solo più 5 mattine. Sciolti i sottintesi, il discorso suona così: "Possibile che nessuno scovi la mia prigione?; allora riscattatemi; il mio sangue non giova a nessuno; lo espiereste". Non è più lui, rispondono i santoni: l' autentico Aldo Moro era uno statista; i verbi all' imperfetto mandano rintocchi funebri; e quanto più disperatamente ragiona, tanto meno l' ascoltano; lo seppelliscono vivo. Hieronymus Bosch ha dipinto tali maschere nella salita al Calvario. Mentre i Tartufi fingono compassione, dei rigoristi gliela negano: non piagnucoli come un povero diavolo qualunque; gli uomini al potere hanno privilegi e responsabilità. Massima romana, ma diversamente da Attilio Regolo, costoro fanno gli eroi sulla pelle altrui. Fioriscono vari teoremi. A esempio, deve morire perché sono morti i cinque: "le mort saisit le vif"; discorsi degni delle Erinni, spiriti infernali incombenti su Oreste prima che Atena l' addomestichi. «Il contrappasso non c' entra», direbbe la dea protoilluminista: «avevano un compito, difenderlo dalle aggressioni; non era comoda sinecura; sia colpa loro o dei superiori, non l' hanno adempiuto; riposino in pace; salvate lui piuttosto». Nella primavera italiana 1978 rombano retoriche funeree sorde all' intelligenza illuministica. Poi, articolo quinto, vengono i brigatisti. Il colpo in via Fani era una quaterna al lotto. Hanno l' occasione irripetibile: l' establishment svela miserie, infamie, stupidità; che colpo sarebbe dire al prigioniero «sei libero», gratis. Paolo VI li esorta nell' appello 21 aprile: "Restituite l'onorevole Aldo Moro; liberatelo semplicemente". Anche Sua Santità avalla la linea dura? Sarebbe un avallo incongruo e l' espertissimo curialista non commette gaffes simili. Se vuol persuadere i brigatisti, l' appello va letto così: sinora hanno tenuto lo Stato in scacco; non buttino via la vittoria. L' enorme prestigio acquisito con una mossa da signori benevoli vale più d' ogni riscatto. Dicono d' essere in guerra con gl' imperialismi: liberando Moro, scatenano pandemoni nei santuari del potere; l' atto omicida serve solo a chi, avendo giocato la carta mortuaria, sbiancherebbe vedendoselo davanti, altro che Lazzaro. Discorso molto persuasivo se i destinatari capissero. Che teste abbiano, lo dicono i 32 capitoli della "Risoluzione strategica" annessa al comunicato n. 4, 4 aprile, asfissiante logorrea sulla guerra civile antimperialista. Nessun dubbio sull' anamnesi: discendono dal chiericato marx-leninista, un filone eretico, onniscienti come ogni chierico; senonché l' infallibile dottrina non spiega come gestire Moro, né possono insistere nel sequestro; faute de mieux, l' ammazzano. Stupidità macabra. L' ultimo capitolo tocca l' attuale teatro italiano dell' assurdo. L' allora ministro degli Interni era irremovibile sulla linea ferma, uno dei due nella Dc (lo ricorda senza pentimenti: intervista al Corriere, Sette, 18 settembre). Cosa v'aspettereste? Che esca umilmente dal giro, e altrove succede. Qui no: l' enorme défaillance lo lancia alle stelle; nei 7 anni seguenti presiede il consiglio, poi la Camera alta, infine sale al Quirinale, eletto trionfalmente. Svanisce l' equivoco "compromesso storico": Spadolini, Craxi, ancora gabinetti democristiani, equilibrio instabile, finché il sistema consociativo implode, consumato dal malaffare (i processi sono effetto, non causa); e dal rimescolìo salta fuori l' affarista plutocrate, creatura della defunta consorteria. L' Italia riaffonda, stavolta sotto un regime personale la cui bancarotta politica appare prossima, ma la ronda seguiterà se non cambia qualcosa nei cromosomi.

Repubblica sabato 11.10.03
Il regista esplora i meandri dell' amicizia e dell' erotismo negli anni della contestazione
Bertolucci, il Sessantotto dedicato a chi non c' era
Tre ragazzi scoprono l' amore, mentre in strada scoppiano le prime molotov
di PAOLO D' AGOSTINI


L' ha fatto per sé e per chi era giovane nel ' 68, oppure per i ragazzi di oggi? Non importa tanto rispondere a questa domanda (ma l' autore vuole interessare la gioventù odierna, stimolarne la curiosità: e ci riuscirà, perché il tema universale è quello dell' essere giovanissimi), quanto dire che Bernardo Bertolucci ha fatto un film importante. Denso, profondo, poetico: come, così compattamente, non gli accadeva da un pezzo. I sognatori racconta il "prima" di ciò che ha portato a quel "dopo" le cui estreme conseguenze stanno dentro il film fratello Buongiorno, notte del regista fratello Marco Bellocchio che dal 4 settembre raccoglie allori in giro per l' Italia e il mondo. Neanche quest' accostamento - quello tra le prime molotov e le Brigate rosse - piace a Bertolucci. Ma non racconta né mostra, se non al minimo indispensabile, cortei né bandiere, slogan né sassaiole. Ha scelto, per questo suo prima della rivoluzione 39 anni dopo il film giovanile così intitolato, una chiave intimista, ossessivamente "chiusa" all' esterno (alla strada: lo slogan che alla fine gridano i manifestanti del Maggio sorgente è "dans la route") e claustrofobica. Torna in mente Ultimo tango? Non a torto: i due appartamenti si somigliano, ma non c' è ombra di cinica ricerca di rilancio dello scandalo di allora. Nella primavera parigina dell' anno che nessuno sapeva ancora destinato a diventare "il ' 68" si conoscono lo studente americano che più americano di provincia non si può Mathew, e la coppia di fratello e sorella parigini Theo e Isabelle. Li unisce la passione viscerale per il cinema, la frequentazione - primissime file, come si conviene a un cinéphile doc - della mitica Cinématèque diretta dal mitico Langlois. Che proprio sotto i loro occhi, e furono i prodromi del "Maggio", viene rimosso dall' incarico provocando un imponente schieramento di solidarietà da Godard a Carné. I due ragazzi borghesi, legati da un amore morboso ma anche da un' intelligenza vivida, una sensibilità speciale, un vitalismo incoercibile, coinvolgono lo yankee in una convivenza scioccante e rivelatrice. L' esplorazione dei meandri dell' amicizia e dell' erotismo farà di lui un' altra persona, spregiudicata e più matura. Ma, quando alle ultimissime battute la "strada" non potrà non richiamarli, sarà lui a capire subito, e non i due sofisticati intellettuali (e, ahinoi, quanti come loro), che le barricate e le bottiglie incendiarie non promettono nulla di buono, a sapere che il rifiuto dell' autoritarismo e la non violenza si fanno ottima compagnia.

Repubblica mercoledì 8.10.03
"Contro i revisionisti racconto il meglio del '68"
Il regista parla di "The Dreamers" che uscirà venerdì in 350 sale
compromessi Ideologia oggi è una parolaccia, riformismo da insulto è diventato il target da raggiungere
L'atmosfera Allora la politica si legava al sesso, al cinema, al rock'n'roll e ai primi spinelli
di Paolo D'Agostini


(già citato anche al Mercoledì)

ROMA - Si poteva coltivare un pregiudizio negativo su I sognatori, si poteva pensare a un film preoccupato soprattutto di rinnovare il sapore della provocazione e dello scandalo di Ultimo tango, una brutta copia, invece la nuova opera di Bertolucci è molto bella, densa, poetica. «E autonoma. Mi fa piacere di aver deluso questo pregiudizio. Non c'è niente di vicino se non il fascino che hanno per me gli interni delle case haussmaniane a Parigi. Lì come qui sono importanti: i muri fanno parte del racconto».
Il '68 del film è la scoperta del sesso e del cinema, della libertà nei comportamenti. Molto meno della politica.
«La politica accade fuori da loro, per le strade. In quelle poche uscite dalla claustrofobia sentiamo che qualcosa sta nascendo ed esploderà. Non potevo immaginare di fare un film sul '68 con le assemblee e gli slogan. A me interessava l'atmosfera che io sentii allora. La politica era una delle cose insieme a cinema, rock, sesso, le prime "canne". Nel mio '68 non c´era il predominio della politica».
È l'aspetto che è sopravvissuto meno, il resto ha lasciato il segno.
«Quando qualcuno dei protagonisti di allora deluso parla del fallimento del '68 si riferisce al sogno della rivoluzione. Mentre tutti questi revisionisti che vogliono buttare il '68 nell´immondizia non ricordano che tutto il mondo che viviamo oggi è stato immaginato nel '68. Dove è cominciata la trasformazione totale dei rapporti tra le persone? Io ero già adulto e ricordo bene un'Italia di piccole autorità, dovunque c'era qualcuno che ti diceva "silenzio, torna a posto"».
Un messaggio da trasmettere ai ragazzi di oggi, a chi non c'era?
«Assolutamente sì. Proprio perché dal momento in cui è caduto il Muro di Berlino si è cominciato a disprezzare la parola ideologia, c'è stata anche la caduta di interesse per la politica. Se la politica viene privata dell'ideologia diventa una disciplina per tecnici, e interessa molto meno. Oggi ideologia è una parolaccia. Mentre quello che era l'insulto del '68 è diventato il target da raggiungere, il riformismo. Madonna mia, quanti compromessi».
Come in Prima della rivoluzione anche qui si racconta una vigilia. Un "prima" il cui "dopo" ha condotto a ciò che racconta Bellocchio.
«Non mi sembra giusta l'equazione molotov-terrorismo. Non identificherei la molotov del finale del film con le Br. Marco non lo dice ma è tutto ancora terribilmente oscuro quello che è accaduto in quei giorni del rapimento, del processo, dell'esecuzione di Moro, io sento tremenda la presenza di servizi segreti. Qualcuno tra i brigatisti ha preso una strada molto losca. Io ero a Valle Giulia. Abitavo al Babuino, guardo giù e vedo il corteo avviato ad Architettura, scendo e mi unisco. Ho visto bruciare i pullman della Celere, ho visto i "cari studenti vi odio cari studenti" di Pier Paolo, ho preso una sassata da un poliziotto. Sarebbe come dire che non si può usare il fornello a gas perché è stato usato per l'Olocausto. Quelli che di più demonizzano il '68 lo fanno per ragioni strumentali legate al presente politico».
Quale dei suoi film più ha espresso lo spirito di quel momento?
«Credo proprio Prima della rivoluzione, che è del ´64. Per questo io nel '68, avendo vissuto quel tipo di emozione qualche anno prima, non potevo partecipare come hanno fatto amici e colleghi, quel tipo di estremismo era già consumato. Questo mi ha portato a momenti di tensione con Godard e con Bellocchio che erano procinesi militanti - La chinoise, La Cina è vicina - ed ero così irritato dal loro anticomunismo da sinistra che mi sono iscritto al Pci».
Quanto è significativo che alla fine quello dei tre personaggi che fa proprio il più autentico spirito del '68 sia proprio l'americano, in partenza è il più distante ed estraneo?
«Perché la sua non violenza era quella degli hippies ed era tipicamente americana. I loro falò dove bruciare le cartoline di richiamo per il Vietnam. Sorprende perché oggi gli americani appena possono dichiarano guerra a un paese, i francesi invece si tirano fuori. Io credo che questo sia anche un film sul presente. Tenevo molto che questi tre ragazzi, gli attori, restassero loro stessi. Un giovanissimo giornalista mi ha detto: questo è un film su di noi, io con Internet sto sempre in casa, come vorrei anch'io vivere quelle emozioni. Mi piace se i giovani lo sentono così».
Quindi il film soddisfa il desiderio che a varie riprese aveva espresso di tornare al presente: a partire dal suo giudizio sull'Italia politica di oggi, e sui movimenti di dissenso del presente?
«Io avevo molto desiderato di chiudere Novecento con un terzo atto sull'Italia dalla fine della guerra alla fine del secolo. Ma mi sembrava un falso. Novecento era nato in un momento speciale, di tensione ideale, che sarebbe stato stroncato dalla morte di Berlinguer e dal delitto Moro. Ho deciso di lasciar perdere. Quando ho letto questo libro di Gilbert Adair mi sembrava che contenesse una visione poetica così affascinante di quegli anni, quasi a riempire in me un buco lasciato dalla rinuncia a Novecento. Ho una specie di frenesia di fare un film sul presente, anche se il prossimo sarà quello su Gesualdo, finalmente. Ma anche lì giocherò molto sul presente-passato. C'è Stravinsky nel '51 a Napoli con sua moglie Vera che va a visitare i luoghi di Gesualdo, la casa di Napoli e il castello a Venosa. Per lui ascoltare Gesualdo nel contesto della musica del '500 è come, dice, vedere Picasso sulle mura della Sistina. Più sono attratto da storie che avvengono tanto tempo fa e più sento che devo arrivare a quel tanto tempo fa attraverso un cordone ombelicale legato all'oggi. Mi sono completamente arreso al fatto che l'unico tempo del cinema è il presente, perché la macchina filma il presente anche se davanti cè limperatore della Cina. Ti trovi davanti il presente di quei visi, quei corpi, quel giorno. Il cinema si coniuga solo al presente».