martedì 14 ottobre 2003

Manoel de Oliveira è a Roma

il manifesto 14.10.03
Manoel de Oliveira, il cinema e l'utopia
Un secolo di grande cinema, dal muto alla «globalizzazione». Premio Filmcritica 2003, il regista portoghese Manoel de Oliveira è a Roma. Ha affascinato l'Europa cercando di emulare, nella scrittura visiva, Camoes e Pessoa. E, a 95 anni, sarà presto sul set
di ROBERTO SILVESTRI


ROMA. Ogni film realizzato, dal `31 ad oggi, da "Aniki Bobo" a "Un film parlato", una sorpresa. Difficile intrappolarlo in una definizione, come quasi tutti i cineasti ribollenti che piacciono a Filmcritica, la più eccentrica rivista italiana, a tutt'oggi, di cinema. E che, dopo Clint Eastwood e Paul Scharder, assegna domani il suo premio annuale a Manoel de Oliveira, portoghese di Porto, classe 1908, autore di capolavori come "Il passato e il presente", "Amore di perdizione", "Benilde o la vergine madre". Oggi, alle ore 12, in cerimonia solenne al Campidoglio (nella adattissima sala Pietro da Cortona dei musei Capitolini, dedicata a uno dei tre grandi architetti della Roma barocca) l'assessore Gianni Borgna (è un cinephile poco hard il sindaco-critico Walter Veltroni?) gli consegnerà il premio Filmcritica. La vacanza romana del cineasta (ex atleta, per anni campione di canotaggio) è iniziata il 12, al teatro Argentina, quando ha presentato, applauditissimo sia prima che dopo la proiezione, la sua ultima opera, "Un filme falado" (Un film parlato) reduce dal concorso di Venezia e acida e crudele metafora della globalizzazione criminale.

Cineasta di idee e di passioni forti, Manoel de Oliveira è forse il più rosselliniano dei cineasti europei di oggi, per la serietà e libertà con la quale costruisce, sempre come «work in progress», i suoi elaborati giochi, «play» elisabettiani di straordinaria tensione e, coraggiosamente, sempre sull'orlo dell'abisso. Forse fin troppo emozionante la sua tastiera creativa, almeno per il pubblico accecato da piaceri schermici piccoli piccoli....

Diciamo che Manoel de Oliveira fa film d'avventura. Ma per adulti. E piuttosto profondi per i cine-burocrati che ci circondano abitualmente tra Rai e Cinecittà. In Italia non farebbe un film. Le sue sono avventure di profondità nella cultura e nella storia lusitana, nei riti popolari, nella fatica del lavoro salariato (Douro), nell'anarchia dei poetici ragazzi portegni, nella insorgenza delle donne (Benilde), nella scrittura sopraffina che cerca di emulare, con immagini degne di Camoes, Camilo Castelo Branco, Pessoa... Mai esotico, mai fiabesco, mai consolatorio. Artista concettuale? No, sarebbe troppo limitativo per una carriera sfavillante durante gli anni settanta, ma iniziata con il muto e ammutolita dal fascismo salazariano illetterato, e molto segnata dal formalismo sovietico e dalle avanguardie storiche, poi dispiegata interamente, dopo la rivoluzione dei garofani, al ritmo di un film all'anno, fino a oggi. Grazie anche all'appoggio di un produttore mecenate del calibro e dell'intelligenza di Paulo Branco.

Arzillo novantacinquenne, oggi, de Oliveira è in già procinto di tornare sul set, argomento il «mito di re Sebastiano», il sovrano scomparso sul campo di battaglia per difenderci dai Mori....Certo che i suoi film rischiano sempre di essere «troppo» letterari, teatrali, addirittura operistici, «fredde riproduzioni», fiancheggiatori, come sono, di drammi, melodrammi, classici, rappresentazioni sacre o romanzi di alta qualità. E invece Manoel de Oliveira, nato in una metropoli dall'architettura granitica e barocca, è proprio così, un regista contemporaneamente rarefatto e disumano, fino alla trascendenza formale, e contemporaneamente sensuale, passionale, commuovente, ironico, sarcastico, di umorismo «celtico»: un alchimista che lavora i materiali di partenza trasformando e «reificando» tutto, fino a renderle «il verbo carne cinematografica».

Insomma è indocile alle imbragature d'autore, alle costanti stilistiche d'origine controllata, alla rendita parassitaria dei tanti artisti di regime che controllano in Europa i finanziamenti pubblici. De Oliveira infastidisce i burocrati perché è un regista commerciale. È amato dal pubblico (certo, di tutto il mondo). Lo rispetta. Ha maltrattato le ipocrisie e i crimini della classe politica portoghese di centro destra e di centro sinistra molto prima che i recenti scandali (pedofilia) distruggessero il partito socialisto di Sampaio. Ha conquistato come pochi la fiducia di chi va al cinema per ripetere un rito sempre differente. Conoscere le cose dal di dentro. Attraverso documentari, propri e impropri.