martedì 9 dicembre 2003

dal Corsera, sulla schizofrenia: Paolo Pancheri
citato al Lunedì

segnalato da Sergio Grom

Corriere della Sera 8.12.03
Primi dati di una ricerca su 10 mila pazienti
Schizofrenia, maxi studio per la cura che offre la migliore qualità di vita
di Mario Pappagallo


La cura della schizofrenia in Italia sembra migliore che in altri Paesi occidentali. È uno dei risultati parziali di un ampio studio su tollerabilità ed efficacia dei diversi farmaci a disposizione degli specialisti. Uno studio internazionale coordinato da Paolo Pancheri, docente di psichiatria alla Sapienza di Roma e presidente della Fondazione italiana per lo studio della schizofrenia (Fis) che coinvolge centinaia di centri in 10 Paesi per un totale di 10 mila pazienti, tremila nella sola Italia con 130 centri impegnati. «Abbiamo analizzato i risultati dopo i primi dodici mesi (lo studio ha una durata di due anni, ndr) - spiega Pancheri - e abbiamo visto con sorpresa che da noi, a distanza di un anno, un elevatissimo numero di pazienti continua a partecipare alla ricerca. All’estero, invece, si sono registrate più defezioni. Questo è un dato importante perché la filosofia di questo lavoro è molto diversa da quella che si pratica quando un nuovo farmaco deve essere registrato. Il nostro è uno studio naturalistico in cui sono arruolati pazienti di ogni tipo, con situazioni diverse e che stanno attuando terapie diverse. Il medico prescrive il farmaco che ritiene migliore e la valutazione riguarda tollerabilità ed efficacia nel tempo, minimo due anni. Soprattutto rispetto alla qualità della vita del paziente schizofrenico. Non scordiamo infatti che i vecchi farmaci, quelli in uso dagli anni ’60 agli anni ’80, pur efficaci, erano mal tollerati: davano effetti collaterali pesanti, e spesso per i familiari di un malato di schizofrenia era una lotta riuscire a fargli prendere il medicinale. Poi negli anni ’80 è nata una nuova classe di molecole, i cosiddetti farmaci atipici, molto più tollerabili e senza effetti indesiderati. E’ stata una svolta, parallela ai cambiamenti nella cura delle malattie mentali a cominciare dalla chiusura degli ospedali psichiatrici». Lo studio «naturalistico» va oltre i confronti di efficacia e tollerabilità di un farmaco rispetto a un non farmaco (placebo): cerca di analizzare le differenze da malato a malato, l’influenza dell’ambiente sulla terapia, la qualità della vita. «Gli italiani malati o a rischio schizofrenia sono circa 500 mila, ma questa malattia di per sé coinvolge molte più persone: dai familiari agli amici - dice Pancheri -. Una cura efficace deve tener conto di tutto questo, del fatto che il farmaco va preso per anni e anni, che l’obiettivo è reinserire il malato nella società, nel mondo del lavoro».
Ma quali sono i farmaci che sembrano funzionare meglio anche nell’ottica dello studio in chiave naturalistica? «Ad un anno dall’inizio dello studio - risponde Pancheri - due molecole sembrano dare risultati migliori: la clozapina e la olanzapina. Prima di trarre conclusioni aspettiamo la fine dello studio».
Come agiscono i farmaci? «Oggi si ritiene che la schizofrenia abbia una componente genetica di base e che il disturbo possa manifestarsi anche precocemente. Senz’altro nella prima giovinezza. C’è una sostanza nel cervello, la dopamina, i cui livelli si sregolano: in certe aree va in eccesso, in altre in deficit. I farmaci riportano i suoi livelli nella normalità. Allucinazioni e deliri derivano da un eccesso, mentre l’apatia da un deficit».
E i timori che si hanno nei confronti di questi malati?
«Infondati. L’opinione pubblica dovrebbe informare meglio. E’ più violento un soggetto normale di uno schizofrenico. Il malato di solito reagisce quando ha paura, quando gli altri sono violenti o aggressivi con lui».