martedì 9 dicembre 2003

a proposito de "La danza del drago giallo":
un'intervista a Domenico Fargnoli

una segnalazione di Mentore Riccio

Il Cittadino Oggi (di Siena) venerdì 5 dicembre 2003
Psichiatria e Arte, la realtà non consapevole dell'uomo
di Rosa Franca  Cigliano

 
Questa sera alle 21.30 la Sala degli Specchi dell’Accademia dei Rozzi ospiterà la presentazione del libro “La danza del drago giallo” che Domenico Fargnoli, psichiatra, ha realizzato in collaborazione con la Liit (Lega Italiana di Improvvisazione Teatrale) e l’Associazione culturale “Senza Ragione” di Siena (www.senzaragione.it).

L’evento assumerà un carattere multimediale (saranno infatti esposte alcune delle sculture realizzate da Fargnoli e alla presentazione del libro seguirà la proiezione di un video sceneggiato dallo stesso autore) e si parlerà di una ricerca che ha come filo conduttore la relazione e le possibili interazioni fra due discipline, Arte e Psichiatria, entrambe connesse all’irrazionale, alla realtà non consapevole dell’uomo.

Fargnoli, come è nata “La danza del drago giallo”?

Il libro riassume una lunga ricerca che ha avuto una svolta nel 1998, quando su ‘istigazione’ dell’attrice Daniela Morozzi scrissi un testo teatrale intitolato “Una notte d’amore”. La ricerca è quindi scaturita dalla risposta alla richiesta di una donna che ha portato alla nascita di una forma di collaborazione artistica.

Si tratta quindi di un’esigenza narrativa che in qualche modo è scaturita da rapporti nati nell’ambito della sua professione?

Sono psichiatra e mi occupo in particolare di psicoterapia di gruppo. Nell’ambito di questo lavoro si è verificata un’evoluzione psichica delle persone con cui sono venuto in contatto e forse una trasformazione del rapporto che ha portato, in tempi recenti, anche a forme di collaborazione artistica. D’altra parte, l’interesse per la realtà psichica dell’uomo e la mia stessa formazione professionale -nell’ambito dell’analisi collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli- mi hanno portato, nel corso del tempo, a considerare l’inevitabilità di stabilire un nesso fra Psichiatria ed Arte. Le esigenze della clinica nella cura della malattia mentale inducono a ritenere insufficienti le letture e le conoscenze di tipo solo specialistico, poiché nel rapporto con i pazienti interviene un elemento intuitivo, di fantasia che si può pensare possa essere affine ad una capacità artistica. Lo psichiatra è continuamente cimentato a cogliere nella relazione con i pazienti qualcosa di nuovo. E’ stato così che l’esigenza narrativa si è manifestata, quasi una richiesta di trasformare quell’elemento di creatività che la cura implica in un vero e proprio linguaggio artistico che raccontasse la storia di un rapporto attraverso immagini e parole più adatte ad esprimere una comunicazione emozionale.

Nel suo libro si leggono molte riflessioni critiche rispetto a quello che sembra essere ormai un canone della nostra cultura, ossia la coppia “genio e follia”…

La storia del rapporto fra Psichiatria e Arte è molto complessa. Intorno agli anni Venti del 900 la riflessione si incentra sul rapporto fra arte e schizofrenia, stabilendo l’equivoco di una possibile funzione positiva della malattia. Fu addirittura coniato il concetto di creatività dello schizofrenico, un concetto del tutto fuorviante perché lo schizofrenico al massimo tende ad una produttività generica. La creatività è invece l’emergere di una immagine nuova, originale, che all’inizio può destare sconcerto e anche scandalo – come le Demoiselles d’Avignon di Picasso –ma che presto o tardi è riconosciuta socialmente perché corrisponde ad una ricerca che si inserisce in un processo storico. La produttività schizofrenica è al contrario un rituale masturbatorio, un isolamento, come quello del pittore-parricida Richard Dadd che, verso la metà dell’800, trascorse nove lunghi anni a perfezionare un piccolo dipinto di fate. Psichiatria ed Arte hanno spesso tentato di dialogare ma si è trattato di un dialogo fra sordi: da una parte c’era l’incapacità a teorizzare la sanità dell’inconscio e dall’altra c’era l’artista che entrava intuitivamente nel mondo irrazionale senza averne conoscenza rischiando talvolta sino alla malattia e alla distruzione fisica. Il fatto che oggi esista una Psichiatria capace di penetrare l’irrazionale consente la nascita di un’arte nuova nei contenuti, nelle modalità di collaborazione e nelle forme espressive. Definendo l’identità dello psichiatra si delinea anche la possibilità di definire un’identità artistica storicamente nuova.

Ma l’arte è in grado di curare?

Per la cura è necessaria una teoria, una conoscenza esatta della fisiopatologia della mente ed un setting rigoroso che prevede l’interpretazione verbale e la frustrazione degli elementi di negatività del soggetto.

In conclusione, vorrei chiederle del titolo del suo libro.

L’immagine del drago giallo è l’immagine di una folla che si snoda come un grande serpente ed in questo senso rimanda, attraverso una serie di nessi che sarebbe complesso esplicitare, alla storia della mia formazione professionale.

Nella tradizione cinese la danza del drago è una danza collettiva in cui acrobati animano la figura di un drago, conferendo a questa maschera gigantesca una parvenza di vita. Ma la danza del drago giallo fa anche riferimento ad una leggenda cinese che narra dell’invenzione della scrittura datata a circa 4500 ani fa: un drago uscendo dal Fiume Giallo fece all’imperatore il dono della scrittura. Anche se espresso nei caratteri dell’alfabeto alfabeto fonetico il titolo è come un ideogramma in cui si uniscono più immagini e significati.