venerdì 12 dicembre 2003

ISLAM
due articoli dal Sole 24ore di domenica 7.12

i testi di entrambi gli articoli sono stati inviati da Paolo Izzo

Rispettiamo donne e diritto
Cambiare il sistema senza stravolgere il nostro credo di musulmani: non mancano i segni di apertura
di Shirin Ebadi


Mercoledì prossimo l'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi riceverà a Oslo il Nobel per la pace. Laureata in giurisprudenza all'Università di Teheran, è stata tra le prime a ricoprire la carica di giudice. In seguito alla rivoluzione islamica del 1979 le donne furono escluse dalla magistratura e Shirin Ebadi scelse allora di diventare avvocato. Durante la presidenza di Muhammad Khatami ha difeso numerosi giornalisti e prigionieri politici

L'Islam non è la religione del terrorismo, l'Islam e i diritti della persona non sono incompatibili. Il Nobel per la pace che mi sarà assegnato mercoledì a Oslo è un chiaro messaggio: finalmente il mondo si preoccupa delle donne musulmane. Ma i nostri diritti non sono trascurati soltanto nel mondo islamico. In Europa si discute del velo e i francesi vorrebbero vietarlo nelle scuole. Ritengo assurdo questo divieto, almeno tanto quanto l'obbligo dell'"hejab" imposto in alcuni Paesi musulmani. Dovremmo avere il diritto di vestirci come vogliamo, così come ce l'hanno gli uomini: secondo voi sarebbe possibile obbligarli, con la forza, a indossare la cravatta, oppure a privarsene? Gli uomini hanno sempre potuto scegliere se mettere o meno la cravatta e non capisco perché l'Occidente non lasci alle musulmane la libertà di scegliere di velarsi.
Tra i molti Paesi in cui è professato l'Islam, l'Iran rappresenta un caso particolare: le donne sono molto attive e il 63% della popolazione universitaria è composta da ragazze. Abbiamo partecipato alla rivoluzione islamica del 1979, sorelle e fratelli hanno contribuito insieme alla vittoria di questo regime. Purtroppo la condizione attuale non è facile: molte di noi hanno conseguito una diploma di studi superiori ma non sono state in grado di trovare un impiego; la cultura maschilista del nostro Paese conferisce maggiori possibilità professionali agli uomini e il diritto di famiglia non ci tutela in modo soddisfacente. Un uomo iraniano può, per esempio, divorziare dalla moglie senza alcuna giustificazione, senza nemmeno avanzare un pretesto. Mi auguro che, in futuro, queste norme giuridiche discriminatorie siano accantonate, in modo da rispettare le nostre esigenze.
Per certi aspetti il diritto di famiglia in vigore fino al 1979, e cioè fino alla caduta dello scià, tutelava le donne in misura maggiore, ma queste garanzie non contribuirono granché a risolvere le nostre difficoltà. Ai tempi della monarchia, per esempio, per le mogli avere il divorzio non era un'impresa così complicata. Ma che vantaggi può ottenere dallo status di divorziata una casalinga, senza copertura assicurativa, in un Paese in cui la pensione del marito non è reversibile? Senza mezzi di sostentamento, come fa una cinquantenne a separarsi dal marito? Il diritto al divorzio deve essere necessariamente accompagnato dalla tutela economica e sociale delle divorziate.
In altri termini, ai diritti politici devono essere abbinate opportunità in ambito economico e sociale. Le iraniane possono votare ed essere elette dal 1963, grazie a una riforma introdotta da Muhammad Reza Shah. Come già avveniva al tempo della monarchia, all'indomani della rivoluzione islamica del 1979 alcune iraniane furono elette in Parlamento. Oggi le deputate sono tredici e tra i vicepresidenti della Repubblica islamica vi è Masumeh Ebtekar, incaricata dell'organizzazione per la protezione dell'ambiente.
Ma che senso ha poter diventare vicepresidenti se poi, per chiedere il passaporto e lasciare il Paese, un'iraniana ha bisogno del permesso del marito? Immaginate proprio il caso di Masumeh Ebtekar o di una qualsiasi altra rappresentante di un'organizzazione: se si deve recare all'estero per partecipare a una conferenza internazionale, per rappresentare l'Iran di fronte al mondo, avrà bisogno del permesso del marito. Se il coniuge non è d'accordo, allora la donna impegnata ai vertici della Repubblica islamica dovrà rinunciare. Dobbiamo continuare a lottare per maggiori diritti, sfatando quello che è per molte un mito: non è vero che il regime dello scià ci garantiva maggiori prerogative, tant'è che il permesso del marito per il rilascio del passaporto è proprio un'eredità della monarchia.
Il problema risiede della cultura patriarcale che caratterizza la società iraniana. Non è colpa soltanto degli uomini: vi sono donne miopi complici del maschilismo, mentre alcuni uomini lottano per la libertà e la giustizia, e quindi per cambiare alcune regole. Tra queste il prezzo del sangue: il nostro ordinamento giuridico prevede che, in caso di uccisione di una donna, il prezzo del sangue, e cioè il risarcimento dovuto alla sua famiglia, sia la metà rispetto a un uomo. Si tratta di una questione a lungo dibattuta. Tenuto conto del nostro rilevante contributo all'economia del Paese, noi iraniane stiamo lottando affinché, in termini di risarcimento, non vi siano differenze tra uomini e donne. Sebbene i conservatori ritengano che si tratti di un dogma islamico e pertanto indiscutibile, molte autorità religiose, tra cui l'ayatollah Sanei, hanno cominciato a discuterne e ad ammettere un uguale risarcimento per la famiglia dell'uomo e della donna uccisi.
In quanto giurista, il mio obiettivo è perseguire il cambiamento del sistema rispettando il nostro credo religioso. Il conferimento del Nobel mi ha confermato che la strada finora seguita è quella giusta e mi permette di continuare a lottare. Volendo dimostrare a me stessa di essere degna di questo premio, sono consapevole di dovermi impegnare ancora più di prima.

(Testimonianza raccolta da Seyed Farian Sabahi)


Islamica - Un provocatorio saggio di Georges Corm sulle distanze tra le due culture
Moderni, ma non occidentali
di Paolo Branca


Di fronte alle tormentate vicende del mondo islamico attuale, molti si sono certamente fermati a riflettere più di una volta circa i profondi sentimenti che soggiacciono alle manifestazioni spesso esasperate dell'identità culturale e religiosa di un "Oriente" da noi meno distante rispetto ad altri (basti pensare all'India o alla Cina), ma non per questo più immediatamente comprensibile. Lo stereotipo che vuole le civiltà orientali tutte comprese nella dimensione spirituale e quasi disinteressate alle vicende terrene, già poco adeguato nei confronti di realtà più remote, nel caso di quella musulmana diventa addirittura ridicolo.
É pur vero che col fenomeno del sufismo, che lo attraversa tutto trasversalmente coinvolgendo milioni di seguaci di innumerevoli confraternite, l'Islam può vantare una delle più prestigiose tradizioni mistiche che vi siano, così come non si può negare che talora sussistano atteggiamenti fatalistici e di rinuncia al mondo contro i quali si sono mobilitati intellettuali e riformatori moderni. Ma, come ha giustamente affermato l'antropologo Lévi-Strauss, "l'Islam è l'Occidente dell'Oriente" e, anche senza scomodare la storia e la filosofia, basterebbe pensare alle avveniristiche cattedrali nel deserto che sono sorte grazie ai petrodollari per dubitare che i musulmani siano interessati soltanto al mondo dell'anima e alla vita futura. A demolire la fondatezza dell'artificiosa dicotomia che oppone un Occidente razionale, sviluppato e aperto a un Oriente mistico, arcaico e chiuso su se stesso, destinati fatalmente a scontrarsi in un apocalittico conflitto di civiltà, ci pensa il saggio di questo autore libanese finalmente disponibile anche in italiano.
L'utilità degli interrogativi ch'egli pone risalta ancor più se li paragoniamo allo stolido senso di superiorità con la quale guardiamo spesso alle altre culture, e a quella islamica in particolare, come dimostrano non solo lo straordinario successo di libri viscerali come La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci, ma anche - e forse soprattutto - la fortuna delle tesi, in fondo non molto dissimili, sostenute da Giovanni Sartori nel suo Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Rileggendo le pagine di Corm tornano alla mente le parole di orientalisti come Louis Gardet che non esitava a definire l'Islam "una teocrazia laica ed egualitaria", nonostante l'apparente contraddizione in essa contenuta, o come Alessandro Bausani che faceva notare come le difficoltà incontrate da tale civiltà a modernizzarsi potessero dipendere dal fatto che essa era "già" moderna... Il fondamentalismo musulmano, infatti, a dispetto della sua pretesa fedeltà all'autenticità islamica originaria, è in realtà il frutto avvelenato di una perversa modernizzazione mal digerita.
L'impatto tra due mondi che si presumono geneticamente diversi e quindi incompatibili, piuttosto che l'inevitabile esito di un destino segnato, potrebbe dunque più probabilmente essere un colossale inganno, generato dal narcisismo di un modello che si sta così trionfalmente imponendo, tanto da imporre persino ai propri antagonisti un'immagine deformata di loro stessi, alla quale si aggrappano disperatamente per mancanza di alternative. La penetrante introduzione di Franco Cardini mette giustamente in risalto il salutare disagio che assale il lettore di quest'opera singolare. Si potrà certo discutere e dissentire, ma è difficile negare che lo spirito critico che anima l'autore e a cui egli indefessamente richiama sia uno dei pochi valori davvero universali ai quali ancorarsi in un periodo di troppi e troppo facili revisionismi, dietro ai quali si cela la trappola di un inquietante e pernicioso neo-tribalismo culturale.

Georges Corm, Oriente e Occidente. Una frattura costruita, Vallecchi, Firenze 2003, pagg. 176, €15,00