mercoledì 3 dicembre 2003

Simone de Beauvoir, la vecchia storia di una censura

una segnalazione di Paolo Izzo


La Stampa 03 Dicembre 2003
VISIBILE SOLO SU INTERNET UN’INTERVISTA CHE LA SCRITTRICE REGISTRÒ NEL 1959 PER LA TV DEL QUÉBEC, UNA CONFESSIONE CHE È ANCORA SCANDALO
Divorzio e ateismo: censurate la De Beauvoir
di Giovanna Zucconi


oggi è possibile vedere questa intervista cliccando qui (in francese)

NEL 1959 non andò in onda perché l'arcivescovo di Montréal era intervenuto a bloccarla: i contenuti gli sembravano immorali. E neanche nel 1986 andò in onda, perché il palinsesto prevedeva le eliminatorie del campionato di hockey su ghiaccio. Se ogni epoca ha la censura che si merita, è probabile che l'intervista a Simone de Beauvoir realizzata e mai trasmessa dalla televisione canadese oggi non andrebbe in onda per tutt'altro nobile motivo: la cultura non fa audience, ed è un vero scandalo che un'austera signora in chignon si permetta di pronunciare decine di volte nel giro di quaranta minuti una parolaccia peraltro antiquata come «intellettuali».
La storia, a dire il vero, ha un (quasi) lieto fine. I telespettatori del Québec non hanno ancora visto integralmente la lunga e bella conversazione fra Simone de Beauvoir e l'intervistatore Wilfrid Lemoine, però chiunque appartenga all'élite del tecno-dotati può adesso tranquillamente guardarsela su internet, nel sito www.radio-canada.ca. Non è proprio la stessa cosa, però guardare quel documento d'archivio a tanti anni di distanza, aiuta a capire perché fu ripetutamente censurato.
C'è davvero un clima d'altri tempi, in quel filmato: due persone sedute che parlano intorno a un tavolo per quasi tre quarti d'ora e nient'altro, oggi sarebbe inaudito. Lui, l'intervistatore, è cortese ma ficcante. Lei, «Notre-Dame-de-Sartre» come la chiamavano con sprezzo (anche se forse, con il senno di poi, l'ordine di importanza dei due pensatori andrebbe capovolto), è composta, perfino severa, con una blusa bianca accollata e rare increspature di sorriso. Si intuisce anche che clima c'era fuori da quello studio televisivo. Nel novembre del 1959, quando l'intervista fu realizzata, il nazionalista Maurice Duplessis era appena morto, ma nel Québec erano ancora gli anni della grande noirceur, gli anni oscuri in cui la chiesa cattolica continuava a dettare la morale. "Il secondo sesso" di Simone de Beauvoir, uscito in Francia nel 1949, era stato messo all'indice e vi sarebbe rimasto fino agli anni Sessanta inoltrati, ed ecco che quella signora veniva in televisione e diceva cose indicibili. Primo, che non credeva in Dio. Secondo, che per lei il matrimonio senza più amore era osceno come la prostituzione, una condanna a vita nel cuore e nella carne, per le donne. Terzo, in quell'epoca che stava slittando dal dopoguerra ancora patriarcale al baby-boom, che lei «non riteneva necessario avere figli». Un triplice affronto alla morale corrente. Vietato andare in onda.
È stata censura o autocensura, veto o paura? Non è poi, e non è più, così importante saperlo. Meglio ascoltare madame de Beauvoir mentre argomenta, paziente ma recisa, le sue «scandalose» opinioni, lei che aveva scritto quella bibbia dell'emancipazione femminile che fu ed è ancora Il secondo sesso per ardore filosofico e non per rivalsa personale. Sostiene Simone che l'amore non deve coincidere con il possesso, ma che la gelosia se non è violenta e morbosa è un sentimento che arricchisce. Sostiene che della situazione femminile sono più responsabili gli uomini delle donne, e che non esiste la «natura femminile» e neppure la «natura umana», esistono delle condizioni oggettive che possono essere cambiate, proprio come bisogna liberare tutta l'umanità dalla fame e dall'oppressione. Appoggia il divorzio, perché la donna non è solo sposa, e l'allontanamento dei figli come nei kibbutz, perché la donna non è solo madre. Dice che Dio è un alibi, che già a 13 anni lei aveva smesso di credere disgustata da chi faceva professione di fede per conformismo e in incoerenza.
Parla di Robbe-Grillet, della Cina, della guerra d'Algeria, dei suoi libri, di Sartre, del comunismo, dei valori etici dell'esistenzialismo… Dice molto «io» Simone de Beauvoir, in quel filmato color seppia: ma è un «io» intellettuale. E dice moltissimo «noi», noi intellettuali, noi che vogliamo cambiare il mondo… Ateismo, matrimonio e figli occupano appena una manciata di ragionevoli e ragionanti secondi, nella lunga intervista. Da censurare, allora come oggi, era forse lo scandalo di quel «noi» pensante e combattivo.
(giovannazucconi@libero.it)