mercoledì 3 dicembre 2003

sulla fiction su Augusto
citata al Lunedì

La Stampa 3.12.03
CLEOPATRA NON SEDUCEVA CON IL TANGA
di Silvia Ronchey


COM’È riuscita Rai Fiction, con una coppia di grandi attori come Peter O’Toole e Charlotte Rampling, soprattutto con un pool scientifico di grandi storici come Andrea Giardina e Gëza Alföldy, a produrre l'imbarazzante telenovela su Augusto, il primo imperatore? Se re Mida trasformava in oro tutto quello che toccava, la televisione, a quanto pare, tramuta tutto in fotoromanzo. Anzi peggio, tramuta la cultura, certamente garantita dai prestigiosi consulenti, in incultura. Le sere di domenica e lunedì perfino i ginnasiali si telefonavano ridendo a crepapelle a sentire Cleopatra-Miss Italia, con ancora indosso il bikini del Concorso, sbraitare: «Sono la tua puttanella egiziana!» a un Marco Antonio-Massimo Ghini, trasformato in sorta di Briatore da Sharm-el-Sheik. Eppure Cleopatra, l'ultima dei Tolomei, aveva una conversazione coltissima, descritta da Plutarco: la sua eleganza nel parlare e non il suo tanga avevano sedotto Cesare e Antonio.
Agli occhi degli ignari telespettatori il palazzo imperiale ospita un esempio di famiglia allargata da fare gola al programma di Maria De Filippi: una coppia di divorziati esageratamente permissivi con due disastrosi figli di primo letto. Viziata, maleducata e isterica, Giulia-Vittoria Belvedere non fa che insultare il padre Augusto e lo spettatore esulta quando finalmente l'ebete Tiberio la violenta. Il povero Mecenate è una macchietta gay alla Vanzina, che aiuta a cambiare look il futuro imperatore, presentato come «un povero ragazzo di campagna», nonostante già a dodici anni, come ci informa Svetonio, avesse pronunciato davanti all'assemblea l'orazione funebre per sua nonna Giulia, sorella di Cesare. Il foro romano sembra il Bar Sport, dove giovani aristocratici con facce da coatti progettano bravate come ammazzare Cesare. Bruto è brutto, Cicerone ancora di più, e per giunta cattivo: ovvio che due tipi così poco telegenici debbano finire male. Mai tanto quanto Antonio, che fa harakiri davanti a un trono sormontato da quelli che appaiono quattro cornacchioni dorati, né tanto quanto Miss Italia alle prese con un cobra che le striscia allusivamente tra le cosce.
Eppure Livia, Giulia, Mecenate, Agrippa, Bruto, Cassio e tutti gli altri erano parte di un'élite raffinata, cosmopolita, severa, animata da un senso dello Stato e della politica che ancora oggi richiamiamo quando diciamo «si comporta come un antico romano». Il complesso scenario attraverso cui la repubblica trapassa nell'impero è il palcoscenico originario della nostra cultura politica occidentale, riletto da Dante a Machiavelli, da Shakespeare a Brecht. Ma il fantasma che aleggia qui è una Yourcenar maldigerita: l'artificio narrativo dello script, la storia rievocata dall'imperatore ormai vecchio, è una caricatura delle Memorie di Adriano .
La corazza di cuoio che ha protetto Augusto dalle vendette del Senato non è bastata a proteggerlo dalla tv. Evidentemente, fare cultura per le masse significa convincerle che la cultura non esiste, che tutto è sempre stato come adesso, o meglio come gli stereotipi odierni vorrebbero che fosse. E questa è la più grave delle corruttele e delle violenze che il peggio usato dei media infligge alla più disprezzata delle parti in commedia: il pubblico.