giovedì 15 gennaio 2004

a Palermo:
architettura araba e architettura iraniana

la Repubblica edizione di Palermo 15.1.04
L'ARTE DI CONQUISTARE I CONQUISTATORI
di Marcella Croce


Così accadde che con l´arte gli iraniani conquistassero i conquistatori arabi, sempre pronti a prendere a mano larga da tutti i popoli con cui venivano in contatto. L´architettura iraniana era straordinaria sintesi di tutto ciò che avevano costruito precedentemente assiri, babilonesi ed egiziani, ma seppe divenire anche arte autoctona. Furono esportati in Europa e perdurarono poi a lungo nel tempo i suoi elementi innovativi, ad esempio la cupola su base quadrata, che secondo alcuni è nata in Iran, essendo già presente nel III secolo d.C. nei templi zoroastriani del fuoco a Firuzabad, presso Shiraz. Rimase invece per lo più circoscritta ad ambito islamico l´altra grande invenzione iraniana, l´eiwan, la grande loggia a tutta altezza che si erge a metà di ciascun lato dei cortili, aperta su tre lati tra muri portanti e affiancata da tutta una serie di eiwan minori, che in piccolo ne ripetono il disegno. La ritroviamo all´infinito in moschee e caravanserragli, prolunga lo spazio del diwan khane, la sala dell´udienza dove si sedeva il re, nelle madrase (scuole coraniche) ciascun piccolo eiwan introduce a una stanza (hojre) dove ogni maestro, con 3-4 alunni, può trovare un po´ di privacy per le sue lezioni. E l´eiwan non mancò perfino di fare, per il tramite degli arabi, la sua puntuale apparizione nei palazzi della Cuba e della Zisa a Palermo.
Diwan (da cui il nostro "divano") era l´ufficio addetto all´organizzazione tributaria, ma era anche uno strumento musicale e oggi la parola è usata principalmente per denotare una raccolta di poesie. Solo gli iraniani avrebbero potuto trovare un denominatore comune fra musica, poesia e affari, solo in Iran aspetti della vita così contrastanti avrebbero potuto essere ospitati in leggiadra combinazione e delicato equilibrio in uno stesso luogo: c´è chi pensa che l´assonanza fra eiwan e diwan non sia casuale. In origine gli arabi, rozzi uomini del deserto, non costruivano moschee particolarmente belle, ma, a contatto con l´architettura iraniana, in cui la raffinata decorazione predomina incontrastata, ne rimasero affascinati; esattamente come sarebbe poi avvenuto in Europa fra protestanti e cattolici, frequenti diatribe scoppiarono fra gli amanti della semplicità e i fautori della bellezza come riflesso della magnificenza divina. All´origine era il mattone stesso l´elemento decorativo principe della moschea iraniana come avvenne nella grande Moschea del Venerdì di Isfahan, dove è presente un vero campionario di tutti gli innumerevoli tipi di cupola esistenti.
A partire dal XVII secolo, durante il periodo safavide, che corrisponde anche cronologicamente al siglo de oro della grande arte barocca europea, fu invece il colore a farla da padrone, e all´inizio una delle corsie privilegiate da percorrere per avvicinarsi al cielo divenne rigorosamente il blu: non a caso sia in spagnolo che in portoghese le mattonelle si chiamano azulejos, il che la dice lunga sull´influenza islamica in questi due paesi. In seguito venne aggiunto anche il giallo e il verdino, intramezzati poi, nelle moschee costruite durante il periodo dei Cagiari, con numerosi tocchi di rosa fucsia, di gran moda nel XIX secolo. Gli sciiti, molto attaccati ai loro idoli preislamici, furono per molto tempo restii ad applicare rigorosamente le norme che vietavano la rappresentazione della figura umana negli edifici religiosi. In compenso si sbizzarrirono nelle raffinate decorazioni floreali che si susseguono sulle pareti delle loro moschee-giardino, che si intrecciano negli infiniti girali detti eslimi (dalla stessa radice di Islam, che vuol dire "sottomissione"), che non a caso sono spesso identiche a quelli del cosiddetto "albero della vita", recentemente messo in luce sul portico quattrocentesco della Cattedrale di Palermo. Nella grande maggioranza dei casi il disegno è dipinto su mattonelle smaltate, ma non di rado, ad esempio nella splendida moschea di Yadz, si tratta di moarragh, veri e propri intarsi, che, con una tecnica e un effetto molto simili a quelli dei contemporanei marmi mischi siciliani, pazientemente, pezzo per pezzo vanno componendo le forme che ricoprono intere altissime pareti, nel trionfo di una bellezza leggiadra e potente.