Corriere della Sera 6.1.04
Visita guidata alla biblioteca del filosofo francese acquistata nel 1778 dall’imperatrice Caterina II e che tra poco sarà accessibile al pubblico anche su Internet
Voltaire, il catalogo di San Pietroburgo
dal nostro inviato ARMANDO TORNO
(II parte, e ultima)
S. PIETROBURGO - Prima di entrare nella sala blindata della Biblioteca nazionale della Russia dove sono conservati i libri di Voltaire, di cui abbiamo dato ieri notizia, chi scrive ne ha cercato il catalogo. Detto così, sembra cosa normale; ma questo dannato repertorio, stampato nel 1961 dall’Accademia delle scienze dell’Urss e a cui hanno lavorato tre generazioni di bibliotecari, è introvabile. Su Internet, nulla. Un giro dagli antiquari: ancora nulla. Ne tirarono poche centinaia di copie, è un tomo di quasi 1200 pagine fittissime. A Oxford lo vedemmo, ma pensare di fotocopiarlo, per poi andarsene in giro con un simile malloppo, era impresa da scoraggiare anche un temerario. Ci siamo rivolti - lo confessiamo - a un personaggio singolare, di cui non riveleremo l’identità, conosciuto anni fa a Berlino e a cui siamo ricorsi per altre «grane» russe, quali le notizie sul tesoro di Priamo, le registrazioni inedite di Furtwängler, le foto sconosciute dell’Italia ottocentesca custodite a Mosca e cose simili. Ora vive a Bucarest in una di quelle case arredate con ogni comfort e costruite da Ceausescu per gli alti funzionari del partito comunista. La vecchia volpe russa capì subito come recuperarlo e chiese un mese di tempo. Poi un suo messaggio: «C’è». Ci disse di aver trovato il tomo a Los Angeles, presso un ex accademico ora «al servizio» degli americani. Ma non ci sembrò il caso di chiedere altro, perché quello era il vero biglietto d’ingresso alla Biblioteca di Voltaire, anche se ambasciatore e console d’Italia si sono attivati a suo tempo per ottenere il permesso.
Ora, non si creda che i libri del «Patriarca» siano dei tesori miniati o delle rarità tipografiche; quello che li rende preziosi sono le note che egli vi scrisse in margine e il fatto che siano stati il suo strumento di lavoro negli ultimi vent’anni di vita a Ferney. In tal caso, anche le mancanze sono significative: in un certo momento della vita è comprensibile che taluni autori vengano considerati superflui, altri indispensabili soltanto per qualche opera, altri ancora da riscoprire. Ma soprattutto a San Pietroburgo si può continuamente entrare nel laboratorio di Voltaire e capire in che biblioteca furono scritte opere fondamentali per la cultura europea quali il Trattato della tolleranza o il Dizionario filosofico. Non va sottovalutato nemmeno il fatto che i libri siano stati disposti così come li teneva il pensatore. Anche a un primo sguardo, l’occhio addestrato capisce cos’era per lui importante e cosa secondario, quali autori dovevano essere continuamente compulsati e quali aiutavano solo l’arredo.
Entriamo, dunque, limitandoci ad alcune considerazioni. Il numero dei libri, manoscritti compresi, è di 6.814, di cui circa 2 mila annotati da Voltaire. Le chiose sono una specie di «opera inedita» ed è in corso da un quarto di secolo la loro pubblicazione (Akademie-Verlag, Berlino; 5 volumi usciti, sino alla lettera M). Quel che fa specie è il fatto che di certi libri considerati oggi fondamentali non si trovi traccia. Ad esempio, di Aristotele vi sono soltanto la Poetica e la Retorica in due non importanti traduzioni francesi, manca la Metafisica. Non c’è Giordano Bruno né Campanella né Vico né i grandi dell’Umanesimo italiano come Pico della Mirandola o Lorenzo Valla. Non si sottovaluti però il Patriarca: di Platone ci sono due edizioni complete (una in francese e la classica di Marsilio Ficino), più altri volumi sparsi; Diogene Laerzio, allora indispensabile compendio per la filosofia antica, c’è in un’edizione del 1761. Poi i cervelli del momento: Hume nelle edizioni originali, l’antidogmatico John Toland, l’anticartesiano Locke e così di seguito, da Bacone e Shaftesbury, passando per Newton e Leibniz. Sant’Agostino, oltre a una raccolta di lettere e due di sermoni, lo troviamo con le opere fondamentali: Confessioni e Città di Dio. Tommaso d’Aquino, invece, non c’è.
Va detto che Bibbie, concordanze neotestamentarie, Padri della Chiesa, manuali per inquisitori e di storia sacra non mancano (viene in mente la sua battuta leggendo i dorsi: «Avete letto i Padri della Chiesa? Sì, ma me la pagheranno»). Un enigma può essere rappresentato dai testi italiani. Ve ne sono, sia chiaro, ma si nota qualche mancanza. Per fare ancora qualche esempio, c’è Dante con la sola Comedia (commentata da Cristoforo Landino) e Il Mattino di Parini, vi sono due volumi stampati a Bologna nel 1656 con le opere di Galileo e una dozzina di Francesco Algarotti. Alcuni libri italiani del catalogo manoscritto di Ferney qui non sono presenti, come le opere di Petrarca o l’Orlando Furioso di Ariosto. Il piccolo mistero sta per essere risolto proprio in questi giorni da Larissa Albina, collaboratrice della biblioteca, che ha scoperto nel «Fondo di Poligrafia» dell’immensa raccolta (dove confluirono anche i tomi di Diderot e degli zar) una cinquantina di titoli italiani. Il conservatore Kopanev fa una supposizione: Caterina II prelevò queste opere dagli scaffali di Voltaire per far insegnare l’italiano agli eredi al trono Alessandro (il futuro vincitore di Napoleone) e Costantino, poi non li rimise al loro posto. Tra gli ultimi ritrovati, ecco una miscellanea con versi di Frugoni e Bettinelli, quindi il Ricciardetto nell’edizione di Parigi 1738.
A riprova di questa supposizione, diremo che un libro di Diderot, Lettre sur la sculpture (Amsterdam 1769), è finito nel catalogo di Voltaire. Sulla copertina si legge il nome dell’antico proprietario ma evidentemente fu spostato a suo tempo da Caterina II, che considerava la raccolta di Diderot come sua personale; quindi lo ripose in quella di Voltaire, senza accorgersi. Insomma, questi libri venivano utilizzati dagli zar più di quanto si pensi.
La biblioteca di Voltaire custodisce l’anima dell’Illuminismo, anche se egli non fu autore di un particolare sistema. Senza di lui, tuttavia, il pensiero settecentesco perderebbe moltissimo del suo valore. Si supponeva che fosse stato re mentre Luigi XV sedeva sul trono, ma al di là delle battute il Patriarca resta l’ultimo letterato europeo che ebbe l’onore di avere regolare corrispondenza con sovrani quali Federico di Prussia o Caterina II, personaggi grandi in un mondo di giganti. Le lettere a d’Alembert o a Diderot, la visita di Gibbon a Ferney, il fatto che potesse pubblicare opere anonime ben sapendo che tutti le avrebbero poi attribuite a lui sono cose che ci fanno sobbalzare. Ma per Voltaire erano ordinaria amministrazione, tanto che si stupì quando Giuseppe II d’Austria, passando nei pressi di Ferney, non gli fece visita.
Ci sono altre biblioteche nella sua vita, a cominciare da quella che conobbe a dieci anni quando entrò al Collegio Louis-le-Grand. Era una raccolta eccellente, organizzata dai gesuiti. Ma dovremmo aggiungere quelle di Londra, dove visse tre anni (dal 1726) e dove imparò a detestare Shakespeare; e quelle di Berlino (altri tre anni dal 1750), dove poteva star seduto quando il re gli parlava.
Tra i suoi classici greci e latini, tra le sue infinite note, tra i tanti dizionari, tra i documenti conservati in quella sala blindata di San Pietroburgo la sua anima continua a vivere, a far sorridere il lettore che si sofferma su un margine, che apre un libro. Il suo corpo, invece, dopo quella fuga notturna di cui ieri abbiamo accennato e dopo l’imbalsamazione frettolosa, poté tornare a Parigi con tutti gli onori ed essere tumulato nel Panthéon. Era il 12 luglio 1791, la Rivoluzione aveva già due anni e chi subì guai per i veti ecclesiastici ora se li vedeva trasformati in titolo di merito. Restavano ancora cuore e cervello, organi che vengono tolti quando si cerca di imbalsamare un cadavere. Il primo finirà alla Biblioteca nazionale di Francia, il secondo alla Comédie Française. Il grande nemico delle reliquie diventava la reliquia laica più bramata dalle istituzioni.
All’appello dovremmo aggiungere le sue idee. Ma queste non sono conservate in un luogo particolare. A Pietroburgo si vedono in quei libri che lo accompagnarono per buona parte della vita, nel mondo non hanno mai smesso di circolare. Ogni uomo moderno ne ha utilizzata almeno una, nel bene e nel male.
(2- fine. La precedente puntata è stata pubblicata ieri)
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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