venerdì 13 febbraio 2004

fecondazione e chiesa cattolica:
il particolarissimo punto di vista di Emanuele Severino

Corriere della Sera 13.2.04
L’intervista al filosofo: anche la Chiesa accetta la guerra giusta se l’obiettivo finale è il bene comune
Severino: un sacrificio, ma può salvare altre vite
«Ciò non toglie che si elimina un essere umano, quelle cellule possono diventare persona»


«Bè, in questo ha ragione monsignor Sgreccia...». Davvero professore? Il vicepresidente della Pontificia accademia della vita parla di «due delitti», la riproduzione dell’embrione e la sua soppressione per ricavarne staminali indifferenziate...
«Qui abbiamo qualcosa che lasciato al proprio ambiente naturale produce un essere umano, no? Dal punto di vista della stessa scienza non può che essere un omicidio, se vuole essere coerente...». Emanuele Severino, da vero filosofo, comincia subito con il frantumare confini e certezze. «L’idea che questa struttura embrionale, questo raggruppamento di cellule indifferenziate conduca ad un individuo ha radici antichissime, anche se la scienza non se ne rende conto».
E cioè?
«Si tratta né più né meno dell’idea aristotelica dell’essere "in potenza": il seme, dice Aristotele, è "in potenza" l’albero. Allo stesso modo questo insieme di cellule indifferenziate è "in potenza" un essere umano».
Per uno scienziato laico, è quando le cellule cominciano a differenziarsi che si può parlare di individuo e già in natura il processo può interrompersi, no?
«È diverso, l’ambiente naturale è costituito anche di elementi sovrabbondanti. È vero che molti semi vanno perduti, come nel Vangelo alcuni cadono in strada, fra i sassi o le spine, ma quelli che cadono sulla buona terra germogliano. Resta il fatto che a certe condizioni il seme diventa albero...».
Severino che cita il Vangelo?
«E cosa c’è di strano? Io ho sempre parlato del cristianesimo come di qualcosa di importantissimo! Ma qui il punto è: anche la scienza deve riconoscere che da un embrione e non da un seme di ciliegio viene l’uomo. Il mio discorso filosofico è diverso, ma ora mi sto muovendo all’interno della logica comune ai due contendenti: sono omogenei perché condividono la stessa concezione aristotelica di fondo».
E allora?
«E allora, semmai, si tratterebbe di discutere questo concetto di essere in potenza. Si dice: quando esiste il seme, l’albero non esiste, cioè è nulla. Il concetto di potenza implica che le cose originariamente sono nulla! Ora, è in questo modo di pensare dell’Occidente che è presente l’anima originaria dell’omicidio».
Quello che lei definisce nichilismo...
«Sì. L’anima dell’omicidio è presente perfino in manifestazioni sublimi come l’amore: Dio ama la creatura e quindi la fa essere, la crea dal nulla... Ma non vorrei andare troppo lontano: solo mostrare come problemi del genere si affrontano risalendo ad una dimensione filosofica. La stessa Chiesa deve stare attenta a non consegnarsi mani e piedi alla scienza».
In che senso?
«Tommaso d’Aquino teorizzava l’armonia di fede e ragione: la vera ragione non potrà mai essere in contrasto con la fede. Ma Tommaso parlava di ragione come epistéme, verità incontrovertibile. E la stessa scienza ha rinunciato da tempo a dire la verità: dall’indeterminismo alla fisica quantistica si pone come un sapere ipotetico».
C’è soggezione?
«Diciamo che il modo in cui la Chiesa ha riconosciuto i propri torti, rispetto a Galileo, è obsoleto: come fosse portatore di una verità incontrovertibile cui inchinarsi. Galileo ne era convinto. Ma è interessante vedere come il cardinale Bellarmino, un gigante, fosse molto più avanzato di lui dal punto di vista epistemologico: se tu mi presentassi le tue teorie non come verità assolute ma come ipotesi matematiche mi andrebbe benissimo, diceva. E aveva ragione».
Torniamo alla clonazione terapeutica: omicidio?
«Sì, però la si può considerare anche come sacrificio. D’altra parte la Chiesa, in determinati casi, ha accettato l’omicidio come sacrificio, ad esempio nella guerra giusta: si sacrifica una vita per il bene comune perché c’è uno scopo buono, che nel nostro caso è il carattere terapeutico della clonazione».
E la clonazione tout court, la produzione del «doppio»?
«Bè, è affatto diversa. Si può trattare delle fantasie di una mente psichicamente anormale oppure, peggio, dell’intento di avvantaggiarsi economicamente sfruttando in modo bestiale la vita umana...».
Parla del commercio d’organi?
«Penso in generale allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo di cui parlava Marx: i poveri venivano sfruttati - e lo sono tuttora - dai ricchi. Ecco, la lotta economica dei ricchi contro i poveri si riproporrebbe in termini biologici come lotta fra i viventi e coloro che sono in cammino per vivere. Anche il povero, in fondo, è in cammino per vivere decentemente».