venerdì 13 febbraio 2004

il nuovo film di Thèo Angelopoulos alla Berlinale

una segnalazione di Filippo Trojano

La Stampa 13.2.04
IL MAESTRO HA PRESENTATO ALLA BERLINALE «LA SORGENTE DEL FIUME»

Angelopoulos alla ricerca del Novecento perduto
«Dal Kosovo all’Iraq la tragedia umana non è mai finita. Appartengo
a una generazione di delusi. Oggi la dittatura appartiene ai media»
di Fulvia Caprara


Con attenzione emozionata e partecipe la platea della Berlinale ha accolto ieri la nuova opera del maestro greco Thèo Angelopoulos che, dopo la Palma d'oro al Festival di Cannes, nel '98, con «L'eternità è un giorno», è tornato sul set per dirigere «La sorgente del fiume», primo capitolo di una trilogia che vuol essere «il riassunto poetico del secolo appena concluso», ma soprattutto il bilancio molto personale della porzione di tempo «dentro cui ho vissuto la maggior parte della mia vita, dei sogni, delle speranze, del lavoro». Lo sguardo, diviso tra i ricordi, le passioni, i rimpianti, non può prescindere da alcune incancellabili consapevolezze: «Quando si vive attraversando la storia se ne è inevitabilmente toccati. Il film è anche un omaggio a mia madre, un personaggio classico, da tragedia, che non potrò mai dimenticare nel giorno in cui, era il '44, avevo solo 9 anni, tenendomi per mano, cercava il cadavere di mio padre in mezzo ai corpi di tanti altri uomini caduti in battaglia e a tante altre donne in lacrime».
Frutto di una coproduzione tra Italia, Grecia e Francia, da ieri nelle sale greche e dal 27 in quelle italiane, distribuito dall'Istituto Luce, «La sorgente del fiume» si apre nel 1921, con l'immagine dei profughi greci che, abbandonata la città di Odessa dove l'Armata Rossa ha fatto il suo ingresso trionfale, rientrano nel loro Paese d'origine. Il sipario cala nel '49, sullo scenario della Grecia straziata dalla guerra civile. La trilogia completa arriverà fino alla New York dei giorni nostri, sempre sulle tracce della coppia protagonista, per ribadire che, davanti alle «continue prove della Storia», «l'assoluto è più che mai raggiungibile solo per mezzo dell'amore».
La sua visione delle cose è inevitabilmente pessimistica?
«Non ritengo che i mei film siano pessimisti, piuttosto penso che siano attraversati da un certo senso di malinconia. La mia generazione, e tutti quelli che hanno vissuto l'avventura del dopo-guerra con il mare di speranze che la caratterizzarono, hanno avuto un'innegabile delusione. I cambiamenti nel mondo non hanno dato i risultati sperati, nè hanno aperto le strade che ci sia augurava si aprissero. Insomma, la malinconia è anche una forma di dignità, un modo per ammettere la sconfitta di certe convinzioni. E' un fatto che, solo guardando agli avvenimenti degli ultimi anni, dopo la Bosnia, ci siano stati il Kosovo e poi l'Afghanistan, e poi l'Iraq...La tragedia umana non è mai finita, perchè siamo noi a provocarla».
Nel suo Paese stanno per svolgersi le elezioni politiche, come vede la situazione?
«E' un periodo molto triste, oggi chi fa politica non si occupa, come dovrebbe, delle condizioni in cui la società si sviluppa. I politici non sono altro che organizzatori, anzi manager. La dittatura contemporanea appartiene ai media e io oggi sono veramente contento per aver vissuto in un'epoca diversa, per aver conosciuto il cinema che ha nutrito i miei sogni e risposto alle mie necessità, per essere arrivato a Parigi in pieni Anni '60, per aver saputo che cos'è stata la "rive gauche"».
Lei ha sottolineato il carattere molto personale della sua nuova opera. Da dove viene questa necessità?
«Anche nella "Recita" parlavo di cose personali, ma qui ancora di più. Forse, arrivati a un certo punto della vita, viene voglia di fare un bilancio del proprio mestiere chiedendosi anche quanti altri film si avrà ancora la possibilità di girare. Comunque, in fondo, sono convinto di aver diretto sempre lo stesso film, più o meno come hanno fatto sia Federico Fellini che Michelangelo Antonioni. Abbiamo avuto alcune cose da dire sulla vita e le abbiamo ripetute, in modi diversi».
La protagonista della «Sorgente del fiume» si chiama Heleni ed è interpretata dalla giovane Alexandra Aidini: ci può dire come l'ha scelta e perchè?
«E' una ragazza per metà italiana, ha 22 anni, suo padre è pittore e la madre giornalista. L'ho trovata alla Scuola nazionale d'Arte Drammatica, è molto timida, ma mi è subito apparsa come un terreno fertile che poteva dare molto».
Come in tutti i suoi film, anche nella «Sorgente del fiume», la musica ha un ruolo fondamentale.
«Da sempre la musica, nelle mie storie, non è un accompagnamento, ma un vero e proprio elemento drammaturgico, che partecipa e racconta, insomma una parte integrante del film. Nella "Sorgente del fiume" avrei voluto usare quasi solo musica e immagini, senza una parola, ma non era possibile».