giovedì 5 febbraio 2004

George Steiner: contro il fondamentalismo

Corriere della Sera 4.2.04
Steiner: il fondamentalismo male dell’Occidente, orfano dei Lumi
«In America la semplificazione fra bene e male porta alle crociate di Bush»
di Cesare Medail


«Giordano Bruno è in parte uomo del Medio Evo: l’allegoria del passaggio fra due epoche, anche se poi è stato presa a simbolo da illuministi e marxisti. Certo, se Pascal aveva paura di guardare nell’infinito, Bruno provava invece esaltazione per l’universo e la molteplicità dei mondi». Sono parole di George Steiner, il grande critico e comparatista di Cambridge, nato 75 anni fa a Praga da famiglia ebrea, che domani presenta un’opera su Giordano Bruno curata da Nuccio Ordine a Bologna. Se il Nolano, però, si esaltava nel volgere lo sguardo agli spazi infiniti, Steiner guarda con altrettanta passione intellettuale agli smarrimenti e alle convulsioni di questo pianeta, toccando spesso i nervi scoperti di un Occidente percorso da crisi e mutazioni epocali. Il suo ultimo saggio, per esempio, La grammatica della creazione (Garzanti, 2003), è stato un vero e proprio bestseller: ne parliamo durante una sua breve sosta a Milano e gli domandiamo se per caso non abbia toccato proprio uno di quei nervi, per esempio «la stanchezza» della nostra civiltà.
«Se la pedofilia e la droga sono le industrie che producono maggior ricchezza in Occidente, significa che siamo di fronte a qualcosa di più grave e drammatico della fine dell’impero romano; aggiungiamo l’orrore di una sessualità divenuta genere di pubblico consumo, il sadismo verso i bambini e infine l’abrogazione di un’educazione seria, con la scuola ridotta ad "amnesia organizzata": conseguenza del livellamento dei valori, di un nichilismo estetico ed etico, della decostruzione, del post strutturalismo».
Ma se questa è stata la tendenza, perché il suo saggio ha incontrato tanto favore presso il pubblico?
«Forse, per reazione, sta affiorando una vera sete di ritrovare la dignità e il mistero dell’uomo, di scoprire che tutto non è lo stesso; una ribellione davanti al Nulla di Heidegger. Per ciò che mi riguarda, fin dal mio primo libro Tolstoj e Dostoevskij, 45 anni fa, ho tentato di reagire alla deriva nichilista riaffermando la possibilità di una presenza trascendentale. Provo rispetto profondo per il credente così come per l’ateo conseguentemente; ma quando la questione dell’esistenza di Dio viene abrogata, quando diviene una battuta triviale, derisoria o puro arcaismo, credo non sia possibile una creazione estetica di primo ordine. Dante, Bach, Goethe, Dostoesvkij sono inconcepibili senza che la questione trascendentale sia presente nella nostra vita. E poi, mentre le scienze fisico-matematiche danno solo risposte, la filosofia e l’arte pongono domande; una grande opera d’arte è sempre una questione. E io preferisco porre domande che dare risposte».
E’ un modo molto laico e poco dogmatico di porsi, in un pianeta pervaso da fanatismi che non riguardano soltanto il Terzo Mondo...
«Nei Paesi sviluppati è in atto una fuga verso l’astrologia, l’occultismo, i talismani antiraggi cosmici, come la collana della signora Blair. Anche Bush consulta l’astrologo per le decisioni politiche, come Hitler e come fa il settanta per cento dei broker di Wall Street. E’ storia vecchia: ma perché il fondamentalismo? A inizio secolo Winston Churchill combatteva nel Sudan con la spada e un cavallo; alla fine della sua vita disponeva di una bomba H. Divorato dal panico provocato da una tale accelerazione della storia, dalla follia del cambiamento perenne, l’uomo si è rifugiato nel fondamentalismo per ritrovare un’ancora di fronte a una vita incomprensibile. L’ancora può essere crudele, primitiva, ma rassicura più dell’incomprensibile. Non per caso Malraux disse che le guerre del XXI secolo saranno religiose».
Il fanatismo religioso, dunque, investe con forza anche l’Occidente?
«Otto Stati americani vietano ancora di insegnare Darwin; e siamo nel 2004. Il fondamentalismo del Sud Est americano scatena forze, quasi selvagge come quello di Al Qaeda. Anche dalla nostra parte c’è oscurantismo, che poggia sulla semplificazione bene-male, nero-bianco e porta allo scontro di civiltà e alla parola "crociata", che era sulla bocca di Bush all’inizio della guerra contro l'Iraq. E’ in atto un rifiuto di quella cultura dei Lumi, dalla quale l’America stessa è nata, e insieme della speranza socialista. E’ infantilismo di ritorno».
Allarghiamo lo sguardo a Oriente e in particolare all’Islam, dove l’integralismo è più evidente che altrove: le pare una deriva irreversibile?
«Nel ’500, il grande ingegno scientifico arabo si è sgretolato sotto il peso dell’Impero ottomano. Così, il rifiuto della scienza ha lasciato spazio all’isteria dell’umiliazione, un’isteria feroce e a un irrazionalismo alimentato dell’occupazione straniera, drammatica e tragica. Con il rifiuto della logica, sparirono la fede nella ragione umana, la fede nel dibattito: non credo che oggi l’Islam sia tanto disposto a discutere, al dialogo. In ogni caso, senza la soluzione della questione israeliana, il pericolo è destinato a crescere. E l’America, condizionata dai suoi fondamentalismi, non cerca soluzioni».
L’Europa, per ora, sembra immune dal virus dell’integralismo. Eppure, dai suoi saggi, appare come una civiltà declinante...
«L’Europa vive in un declino più che drammatico. Il budget annuale di Harvard supera il budget totale di tutte le università europee. Ogni giorno di più aumenta il baratro fra Europa e Usa, economico, umano, culturale. Dopo il Kosovo, il disprezzo degli americani verso gli europei è totale: un’Europa incapace di risolvere il problema balcanico senza gli Usa è un’Europa senile. La "senilità" di Svevo assume valore profetico. Soltanto due Paesi europei sono pieni di speranza, Spagna e Irlanda, dove i giovani sono animati da progetti e sogni per il futuro. Francia, Germania, Inghilterra sono attraversati da una stanchezza profonda. Ma, mi chiedo, dopo Auschwitz perché mai l’Europa dovrebbe rinascere? Le stelle degli internati sono divenute gialle nel cielo d’Europa. Anche in Russia, dopo che lo stalinismo ha massacrato milioni di persone, è tornata a una sorta di rozzo zarismo; e nei Balcani l’odio razziale può riaccendere guerre ogni mattina. Per di più maestri di tolleranza e di ragione, come Raymond Arond e Norberto Bobbio, se ne sono andati».
Lei ha citato due maestri. Maestri e allievi è anche il titolo del suo nuovo saggio, in uscita da Garzanti a settembre. L’insegnamento dà segni di crisi proprio perché si tendono a trasmettere nozioni specialistiche, anziché saperi. Dalle recensioni americane, tuttavia, pare che il libro offra qualche spunto per guardare al futuro con più serenità.
«Ne riparleremo quando lo avrete letto. Per ora mi limito a ricordare che, fra le due categorie, vi sono tre legami possibili. Il maestro che distrugge l’allievo; il discepolo che tradisce e uccide il maestro; e infine l’eros, l’amore nella trasmissione del sapere, di cui Eloisa e Abelardo sono il simbolo sublime. A fronte di rapporti all’insegna della volgarità, del dispetto, del denaro, io credo in una nuova sensibilità fondata sull’amore della conoscenza. E’ una delle poche speranze, fondate, che rimane».