una segnalazione di Filippo Trojano
Il Messaggero 5.2.04
Rapporto Telefono Rosa su 12 anni di richieste d’aiuto: la violenza avviene soprattutto in casa. Crescono pressioni psicologiche e ricatti economici
Donne troppo “brave”, i mariti le picchiano
Lui spesso è geloso del lavoro di lei. In aumento i casi nelle famiglie di ceto medio
di ELISABETTA CANTONE
ROMA - Il mobbing? Nell’Italia del terzo Millennio, adesso sbarca pure tra le mura domestiche. E fare le spese, di questa sottile e terribile forma di violenza che fa venire il complesso dell’ultimo anche se in realtà non lo si è, a casa come sul posto di lavoro, sono soprattutto le donne. Solo che il capo ufficio ha il volto noto dell’uomo che hanno sposato e che dice di amarle. E’ questo il dato più sorprendente del rapporto di Telefono Rosa presentato ieri nella Capitale. «Nell’evoluzione della nostra società - ha spiegato la presidente dell’Associazione nata nell’88, Maria Gabriella Garnieri Moscatelli - la gelosia maschile nei confronti delle donne ha raggiunto picchi allarmanti». Una gelosia, che però tra i motivi scatenanti non ha l’amore: «L’uomo non accetta che quello che una volta era l’angelo del focolare si è traspormato in una persona autonoma, perciò la mortifica, tenta di annullarla e spesso la picchia».Violenza psicologica, dunque. Ma anche economica. Dal monitoraggio fatto da Telefono Rosa dal ’91 al 2003, emerge che le denunce, rispetto a queste due forme di abuso sono in netto aumento: dal 34,9 per cento del ’91 si è passati al 41,2 dell’anno scorso per quelle di tipo psicologico e dall’8 per cento del ’91 al 19,7 del 2003 per quelle economiche. «Questo - sottilinea la psicologa Paola Matteucci - perché oggi molte donne, forti di una autostima recuperata, attribuiscono lo stesso valore alle varie espressioni della violenza: dalla fisica alla psicologica, sino a quella economica. Quanto agli abusi sessuali, dal 23,2 per cento del ’91 si scende al 3,7 del 2003. Un dato che farebbe immediatamente pensare a una effettiva diminuzione del fenomeno. Che invece è sottostimato, in quanto la donna che ha subito questo genere di violenza non si rivolge direttamente al Telefono Rosa ma deposita la sua denuncia ai presidi medici e di polizia.
Il valore più alto registrato dalla ricerca è rappresentato dalla regolarità della violenza: 85,3 per cento nel 2003. Questo perché la maggior parte delle violenze avviene all’interno delle mura domestiche dove l’atto violento, esclusivo del maschio, diventa un modo per marcare la differenza di genere. La regolarità dell’abuso aumenta inoltre al crescere dell’intensità della relazione: quando l’intensità del rapporto è minore, la violenza diventa un episodio isolato. Quanto ai motivi che scatenano la violenza, calano quelli caratteriali («é fatto così») che passano dal 36,7 per cento all’1,2. Crescono invece i «senza motivo»: dal 9,3 per cento al 20, e i «motivi di gelosia», che vanno dal 13,4 al 44,8 per cento. Dati, che secondo la Matteucci evidenziano una importante inversione di tendenza: «Se in passato la donna giustificava il sopruso come lato del carattere o conseguenza dovuta all’abuso di alcool o droga, oggi capisce che la violenza dell’uomo è spesso sintomo di un suo disagio interiore e per questo lei stessa tende ad allontanarsi prima dal rapporto».
Ma qual è l’identikit del marito-capo ufficio? Ha una cultura medio-alta, un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e un lavoro invidiabile: nel 22,5 per cento dei casi è impiegato, nel 14,2 un operaio, nell’11,3 un professionista, un commerciante nel 7,6 e un pensionato nel 7,5 per cento. A vederlo sembra uno tutto d’un pezzo, invece tra le pareti di casa sua si trasforma in un essere odioso. Anche la donna che subisce ha un titolo di studio superiore e tra le laureate si registra un incremento del sei per cento. «L’uomo violento - ha sottolineato la psicologa ha contribuito alla ricerca - è colui che, insicuro, debole e totalmente fragile nella sua identità maschile, cerca di eludere con la violenza quel processo di discussione di sè che, oggi, la donna gli impone».
L’uomo violento? Colto e benestante
di ALDO CAROTENUTO
E’ NELLE costellazioni familiari che si annida, da sempre, non soltanto il germe della violenza, ma anche il suo pieno compimento.
A partire dalle seduzioni infantili, reali o presunte, indagate dalla psicoanalisi freudiana, la realtà familiare contiene zone profondamente oscure nelle quali non sono soltanto i sentimenti positivi ad avere terreno fertile.
Siamo abituati a pensare al nido offerto dalla “casa” come all'alveo protettivo per eccellenza, al luogo nel quale rintanarsi in momenti di sconforto o pericolosità sociale. Ed in parte è vero, ma non lo è del tutto.
La famiglia è il luogo degli affetti, ma anche di tutti i sentimenti possibili, compresi rabbia, delusione, bisogni e frustrazioni. Essa è il posto dove l'individuo esprime direttamente le proprie passioni. Spesso lo fa nella convinzione che la protezione offerta dal legame di parentela sia garante di una presunta normalità. Anzi, è proprio in forza di tale convinzione normativa che si vive il familiare come un contenitore che tutto consente.
Ogni individuo è portatore di un proprio universo interiore, non sempre limpido, molto più spesso conflittuale. E se nella vita sociale, nel consesso collettivo gran parte delle proprie debolezze vengono taciute o messe da parte per convenzione, tra le mura domestiche le barriere dell'apparire vengono meno. O, più precisamente, non hanno la medesima forza inibente. Laddove, cioè, parametri valutativi esterni non vengono messi in causa è possibile “lasciarsi andare”. Ciò significa permettere ad ogni dimensione della propria personalità di emergere. Anche a quegli aspetti-ombra che veicolano insoddisfazioni, conflittualità latenti, pregresse, nascoste. Comprese quelle, paradossalmente, generate nel mondo sociale.
La consapevolezza di una sorta di connivenza intrinseca dell'alveo domestico fornisce, poi, anche l'illusione della liceità dell'azione. E' normale ciò che si sta verificando nella mia famiglia? Succede anche nelle altre? questi gli interrogativi che consentono a chi agisce la violenza di abbandonare senso di colpa e responsabilità d'azione.
Ribadiamo: già con Freud la violenza domestica trova la sua visibilità causale. Ciò che pare sorprenderci oggi, ma che a ben vedere niente di nuovo possiede, è che crolla lo stereotipo della violenza connessa al disagio socio-economico della famiglia.
Basta, tuttavia, guardare alla natura del disagio della nostra epoca per comprendere la pertinenza della rilevazione: una inquietudine tutta interiore, un miscuglio di affetti, l'incapacità di gestire il proprio rapporto con il mondo, le richieste sempre più pressanti dei modelli sociali. Tutto questo poco ha a che vedere con il disagio economico, ma tutto si riferisce alle motivazioni che scatenano rabbia e aggressività.
Bisogna tener conto del fatto che proprio quegli ambienti sociali che ostentano successo in effetti sono semplici immagini di adeguamento. Quel che resta sullo sfondo, ciò che si agita all'interno degli animi, le passioni e i turbamenti, non ha nulla a che vedere con le sovrastrutture del sociale. Anzi, da esse possono essere soltanto esarcerbati, in una totale dissociazione tra ciò che l'apparenza mostra come sicurezza da sbandierare e la reale fragilità di sistemi soltanto esteriormente costruiti. E non può non sorgere il dubbio, per dirla con leggerezza, che siano proprio il potere e il successo nel mondo sociale a fornire un senso di onnipotenza che illude l'uomo di poter agire indiscriminatamente qualsiasi desiderio, istinto, capriccio gli affiorino alla mente.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»