domenica 15 febbraio 2004

il più grande poeta arabo vivente

La Gazzetta del Sud 15.2.06
INCONTRO AL RHEGIUM JULII
Il nuovo libro di versi del siriano Adonis
Senza poesia non c'è futuro
di Gualtiero Canzoni

«Immagino il mio amore come significato e forma
del significato: unità della rivelazione
e dell'occultamento dell'oggetto – si eleva e
discende, scompare
e ricompare, viene e va come luce, aria e colore,
respira col polmone dell'oggetto come l'oggetto
porta nelle
sue labbra la nostra assenza e sussurra attorno a
sé i suoi misteri
come fanno il vento e il sole quando
strappano l'abito del giorno dal corpo della terra.
Assenza
che si addentra nelle soglie della presenza
e come il mistero vive nel cuore della terra
e nell'oscurità delle radici ».
Questi versi di Ali Ahmad Sai' Œd Esber (Adonis), forse il più grande poeta di lingua e cultura arabe del '900 (nato a Damasco nel 1930) contenuti nella raccolta "Cento poesie d'amore", hanno dato l'incipit alla conversazione tenuta, nell'ambito dei Martedì del Rhegium Julii, da Stefano Mangione, con introduzione di Giuseppe Casile. Un'opera da cui emerge, nella visione, nell'interpretazione e nella maniera di vivere, l'amore in Adonis, con il corredo di metafore e di significati interni, che rimandano sempre ad altro: l'amore che è la donna. Per il siriano, ha evidenziato Stefano Mangione, nel testo poetico si debbono scontrare frammenti della storia e del mondo; incontrare i tempi e i luoghi, l'antico e il moderno, la scienza e il sogno e la poesia si deve concentrare sempre più sul desiderio e sul piacere: Simile a un mare che raccoglie tutti i fiumi e trasporta le loro acque, questo sarà la poesia: colmo di desiderio, di piacere, il testo poetico diverrà trasgressione. E, pertanto, simile alla testa di Orfeo, navigherà sul fiume Universo, interamente contenuto nel corpo del linguaggio. Notazioni, queste, che possono tranquillamente essere trasferite sulle sue concezioni dell'amore e della poesia d'amore, con l'asserzione oracolare e di veggenza, da redivivo Rimbaud: il futuro appartiene alla poesia, è la poesia. Senza poesia non ci sarà futuro. Il tempo che vedrà morire la poesia sarà anch'esso un'altra morte. La poesia non ha tempo: è il tempo. Una presa di distanze da Hegel, secondo il quale l'arte è divenuta una faccenda del passato. Al di là delle notazioni polemiche, le "Cento poesie d'amore", rivelano una visione particolare che permette di mettere a fuoco e diradare, sciogliere il banco opaco del mondo esteriore, di udire e ascoltare ciò che normalmente non è percepibile dai sensi, di vedere, forse l'invisibile. Ciò attraverso il recupero della poesia araba, precedente all'Islam, in sintesi con la tradizione religiosa (in sostanza tradizione storica) e culturale che ha origine dall'avvento di Maometto e giunge ai nostri giorni. Più che l'anima, nelle poesie di Adonis, protagonista è il corpo (le mani, le braccia, il seno, le cosce, l'ombelico, il volto, gli occhi – che esprimono il desiderio) ma anche il percorso del tempo, inteso quale vissuto e che rende incancellabili, non soltanto i tratti della mutua storia, fra amante e amato, ma salvaguarda anche i luoghi, dalle modificazioni del presente. Emerge una poetica delle cose, sulle quali scorrono tutte le vicende di ogni tempo. Il letto, ovviamente assume un valore particolare, non soltanto, in quanto luogo di realizzazione dell'amore, ma quale sicuro porto e ara, altare pagano ove l'amore recupera la propria libertà e viene consacrato a qualche misteriosa divinità, che ne assicuri la totale intangibilità.