domenica 15 febbraio 2004

sofferenza e cristianesimo nel Medioevo
e madre Teresa di Calcutta

La Gazzetta del Mezzogiorno 15.2.04
Dolore e sofferenza com'erano percepiti nel medioevo?
di Giuseppe Dimiccoli


Se un'eredità del medioevo - e dunque del suo cristianesimo - è particolarmente viva, è perché non uno iota del suo orizzonte mentale è mutato nell'approccio a quel terribile statuto della condizione umana che è il dolore, o la sofferenza. Con i dovuti tradimenti. Del messaggio di san Francesco, per esempio. Infatti nell'incontro con il «lebbroso protervo», questi, devastato dalla sofferenza, rigetta la misericordia altrui e, bestemmiando Cristo e Madonna, a Francesco augurante pace, replica: «Che pace posso io avere da Dio, che m'ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente»? E il santo: «Ciò che tu vorrai, io farò». E l'uomo: «Che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io puto sì fortemente, ch'io medesimo non mi posso patire». Solo allora, lavato e risanato, cede al colloquio.
Mai più il medioevo capirà che solo dopo la cancellazione della sofferenza fisica e dopo la restituzione del malato alla dignità d'uomo può aprirsi varco a valori o sentimenti. A fine Duecento il grande predicatore fra Giordano da Pisa ammoniva: «Il fuoco cresce per le legna. Le legna sono gli afflitti e i bisognosi. Il fuoco è l'amore e la pietà del santo, che veggendo la miseria del prossimo si muove a compassione. Vedi dunque come sono necessari i poveri e gli afflitti. Se questi cotali mali non avesse Iddio fatti, tutti questi beni non sarebbono. Se i poveri non fossero, non sarebbe chi facesse misericordia o virtù o pietà».
In una società il cui assetto era voluto da Dio, non c'era humus per idee di miglioramento. Dolore e orrore facevano parte dell'insondabile giudizio divino e andavano sopportati. Il dolore, non riconosciuto come tale, non era una realtà negativa da debellare a ogni costo, ma qualcosa di assolutamente positivo, un valore modellizzante, che non solo doveva essere consumato con doma sottomissione come scotto per espiare i peccati e giungere più rapidamente in Paradiso, ma addirittura abbracciato e vantato come segno di predilezione divina nell'assimilare l'uomo all'Uomo dei dolori. In tutta l'iconografia dei martiri la ferocia dei carnefici è speculare all'impassibile straniamento delle vittime.
Chiara Frugoni, medievista attenta a non sterilizzare la storia, nota quanto l'ideario esemplare del medioevo nutra tuttora la santità cristiana: madre Teresa di Calcutta, distributrice di conforto per i singoli miserabili del moderno carnaio indiano, non ha mai investito il riconosciuto potere del suo carisma per cambiare l'orrenda realtà sociopolitica da cui spurga questo disonore dell'umanità. [...]