L'unione europea nel pantano
Sotto la pressione delle Chiese
La lobby del Vaticano e delle organizzazioni cattoliche quali l'Opus Dei, benché più discreta di quelle dei grandi interessi industriali e finanziari di Bruxelles, non è però meno efficace. In conflitto con la laicità dell'Ue, ha ottenuto che le Chiese beneficino di una menzione specifica nel progetto costituzionale; eppure queste erano già citate in un articolo riguardante «le associazioni rapprentative e la società civile».
di Christian Terras
Due sono le disposizioni del progetto di Trattato costituzionale europeo che mettono in gioco i principi laici: il riconoscimento del «retaggio religioso dell'Europa» contenuto nel preambolo, e l'articolo 51, con il quale si riconosce alle religioni un ruolo di partner delle istituzioni europee. Queste innovazioni - che hanno suscitato l'opposizione di parlamentari europei e creato divisioni all'interno degli stati membri (1) - sono in parte il risultato di un'attività di lobbying delle istituzioni religiose, segnatamente cattoliche, in seno alle istituzioni europee.
Un'attività che si pone come obiettivo il riconoscimento della dimensione religiosa della costruzione europea, affinché la Chiesa possa avere voce in capitolo sui grandi orientamenti dell'Unione. Queste attività si sono sempre più intensificate dopo la conferenza delle Nazioni unite sulla popolazione e lo sviluppo (Il Cairo, 1994) e quella di Pechino sui diritti delle donne (1995): due temi che fanno parte delle preoccupazioni prioritarie delle Chiese.
Il Vaticano è la punta di lancia in questa lotta, in ragione della sua duplice dimensione di stato e di vertice della Chiesa cattolica.
Fin dal 1988 Giovanni Paolo II ha rivolto un pressante invito ai deputati affinché non escludessero il cristianesimo dal dibattito pubblico europeo. Il suo discorso aveva il tono di una vera e propria messa in guardia: «La vocazione del cristianesimo - ha detto il papa - è di essere presente in tutti i campi dell'esistenza. È perciò mio dovere insistere su quanto segue: se un giorno si arrivasse a mettere in discussione i fondamenti cristiani di questo continente, sopprimendo al tempo stesso ogni riferimento all'etica, si farebbe molto di più che respingere il retaggio europeo (2)». Noi o il caos! Noi o l'apocalisse! Per molti cattolici, l'idea di fare del cristianesimo l'elemento unificatore e strutturante della politica e dell'opinione pubblica europea è una vera ossessione. La Santa Sede non fa parte dell'Unione europea, ma gode in seno ad essa di un semplice status di osservatore. Di fatto, la Santa Sede non ha mai veramente pensato di aderire all'Unione, anche perché in questo caso avrebbe l'obbligo di accettare compromessi politici che rifiuta categoricamente in conformità alla sua concezione del potere spirituale. Frattanto però essa si impegna con incomparabile zelo affinché l'Unione europea riconosca la Chiesa cattolica come unica società religiosa perfetta - cosa che le permetterebbe di soppiantare tutte le altre religioni. Tuttavia la Santa Sede è integrata nell'Ue dal punto di vista finanziario, nella misura in cui gode, nei vari stati membri, di uno status particolare, che consente alla Chiesa di ricevere doni e sovvenzioni (3). E cerca innanzitutto di imporre all'Unione la sua filosofia delle «societates perfectae»: i principi dettati dalla Chiesa devono governare i rapporti dei pubblici poteri con il mondo associativo (4).
Nel marzo 1996, nell'ambito della preparazione del Trattato di Amsterdam, fu consegnata agli ambasciatori dell'Unione, accreditati presso il Vaticano, una nota con la quale la Santa Sede si prefiggeva i seguenti obiettivi: sottolineare i contributi della Chiesa e dei culti allo sviluppo dell'Europa; assicurare il mantenimento delle relazioni Chiesa-stato esistenti in seno agli stati membri dell'Unione europea; radicare le relazioni Chiesa-stato nel diritto comunitario; premunirsi contro ogni discriminazione delle Chiese e dei culti rispetto ad altri movimenti sociali, già apprezzati a livello comunitario; tutelare le competenze degli stati membri nelle loro attuali relazioni con le Chiese e i culti (5).
Un reticolo di lobby Il suddetto documento non venne preso in considerazione dal Consiglio europeo del ministri, in quanto la Santa Sede non faceva parte dell'Unione europea. All'epoca, Parigi aveva ritenuto che un riferimento ai valori religiosi non fosse accettabile, poiché avrebbe sollevato in Francia questioni politiche e costituzionali. A quanto pare, oggi il problema non si pone più...
Lanciati così in questa lotta senza quartiere per salvaguardare i loro antichi privilegi, gruppi di pressione reazionari si organizzano per trasformare l'Europa cristiana in realtà. Italia e Polonia postulano una menzione precisa del retaggio cristiano, e non soltanto religioso.
Nella sua attività di lobbying, il Vaticano si avvale dell'appoggio del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), che dispone a Bruxelles, presso la Comunità europea, di un ufficio politico: la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece).
La suddetta Commissione ha rivendicato, nel quadro della Convenzione europea, l'istituzionalizzazione di un dialogo strutturato con le istituzioni europee, e ha chiesto in particolare che vengano indette regolari sessioni di lavoro e una «consultazione prelegislativa».
Poiché a livello europeo non esiste uno statuto ufficiale delle associazioni, la Comece fa valere la propria competenza attraverso la creazione di gruppi quali Migreurope, che costituisce una rete informale di associazioni, prevalentemente cristiane, per i problemi dell'asilo e dell'emigrazione (6). Nel 1992 Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, creò un gruppo informale (la Forward Studies Unit) costituito da consulenti, uno dei quali era specificamente incaricato delle questioni religiose. Sotto le presidenze di Jacques Santer e di Romano Prodi, questo gruppo ha preso il nome di Gopa (Group of Policy Advisors).
Per Romano Prodi, le religioni giocano un ruolo importante nello sviluppo dell'Unione (7). I membri del Gopa sarebbero in maggioranza cattolici praticanti.
Frattanto, un'altra organizzazione va tessendo discretamente la sua tela nell'Unione europea: il Fce (Foyer catholique européen), fondato all'inizio degli anni 60 da funzionari e dipendenti cattolici delle istituzioni europee. Il Foyer è innanzitutto un centro spirituale con sede a Bruxelles, gestito da gesuiti, con un suo luogo di preghiera, la cappella Saint Benoît, ove ogni giorno si celebrano messe per i collaboratori dell'Unione europea. Questo centro spirituale serve però anche come sede delle riunioni di diversi gruppi di riflessione, incaricati di definire soluzioni per i problemi politici ed economici europei.
L'Fce si presenta come una sorta di borsa delle idee. È un luogo di scambi e di incontri per i responsabili politici europei di area cattolica. Ogni anno, il nunzio apostolico presso le istituzioni europee - una carica che peraltro non è mai stata oggetto di una decisione ufficiale da parte dell'Unione europea - presiede un incontro di tutti gli organismi collegati all'Fce. Questa riunione costituisce un efficace mezzo di informazione sulle attività, in seno alle organizzazioni dell'Unione europea, della lobby cattolica, che cerca di introdurre qualche suo rappresentante in ciascuno dei programmi dell'Unione.
Gli obiettivi delle diverse componenti della «famiglia cattolica» sono di vario tipo. La Santa Sede cerca soprattutto di stringere alleanze con gli uomini politici favorevoli alla dottrina morale del papa e alla militanza per la rievangelizzazione dell'Europa.
Il grosso del lavoro è portato avanti dal pontificato, in collegamento con la prelatura personale dell'Opus Dei. I membri soprannumerari o simpatizzanti dell'organizzazione segreta sono assai ben rappresentati in seno al consiglio della famiglia.
I problemi della contraccezione e dello status della famiglia sono affrontati segnatamente in occasione dei dibattiti sui programmi di aiuti ai paesi del Sud. Per il resto, la Chiesa collabora con l'Unione e ha modo di diffondere i suoi punti di vista attraverso la rete degli organismi e delle associazioni di aiuti allo sviluppo: Caritas Europa, Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà (Cidse) - sezione europea, Conferenza europea Giustizia e Pace, Federazione europea delle associazioni nazionali di aiuto ai senzatetto (Feantsa). Le pressioni esercitate dalla Chiesa nell'ambito dei dibattiti legislativi suscitano reazioni crescenti da parte dei parlamentari. Nel febbraio 2002, 53 deputati europei di tutti i partiti hanno denunciato pubblicamente le «ingerenze della Santa Sede in materia di matrimonio e di divorzio (8)». Numerose associazioni laiche europee hanno criticato il progetto di Trattato costituzionale, denunciando il «diritto di ingerenza» che si vuol concedere alle religioni (9). Innanzitutto, riconoscendo il retaggio religioso dell'Europa si apre un credito alle religioni nell'ambito dello spazio pubblico europeo, e si introduce inoltre una discriminazione tra credenti e non credenti.
Secondo il focoso deputato radicale europeo Maurizio Turco, eletto in Italia, «si tratta di sapere se l'Unione debba fondarsi su convincimenti religiosi, se debba costituire il frutto inesorabile della nostra storia, e non invece l'espressione di una libera scelta dei suoi cittadini, attraverso un contratto sociale evolutivo. Noi escludiamo che nel XXI secolo le istituzioni politiche si possano fondare su credenze religiose, ancorché maggioritarie (10)».
Una presenza capillare di simpatizzanti nel cuore delle istituzioni europee consente alle iniziative di ispirazione ecclesiale di ottenere aiuti e sovvenzioni. Nel 1998 ad esempio un centro finlandese denominato Interculture - European Training Center ha ricevuto un sussidio di 10.000 ecu (pari alla stessa cifra in euro) nell'ambito del programma europeo «Un'anima per l'Europa». Il suo progetto iniziale era di finanziare un seminario sui valori etici e spirituali dell'integrazione europea. A priori, nulla da eccepire - tranne il fatto che questo centro è una creazione dell'Opus Dei, particolarmente bene insediato in Finlandia e nei paesi baltici.
Finanziamento dell'Opus Dei Il centro di formazione fu fondato nel 1998, un anno dopo la comparsa di quest'organizzazione in Finlandia. Il suo principale animatore, Mons. Philippe Jourdan, membro soprannumerario dell'Opus Dei, era incaricato di sviluppare il tema delle «radici spirituali dell'Unione europea». È quanto meno incredibile che un programma europeo servisse a finanziare un'organizzazione la cui filosofia è diametralmente opposta agli obiettivi a suo tempo definiti da Jacques Delors e Jacques Santer: «tolleranza e pluralismo», «reciproco rispetto e accettazione delle differenze di genere e di religione», «solidarietà con i più bisognosi» e «libertà d'espressione».
Su espressa richiesta di Roma, l'Opus Dei ha inserito l'Europa tra le sue priorità. Già nel 1993, a chi gli chiedeva se la Santa Sede avesse incaricato l'Opus Dei di una missione particolare, il portavoce della sua centrale romana, Giuseppe Casigliano, rispondeva esclamando: «Sì, l'Europa!» Quest' impegno si manifesta essenzialmente nei settori legati alla sessualità (aborto, regolazione delle nascite). Anche qui l'Opus Dei opera in senso contrario agli obiettivi dell'Unione europea - grazie ai fondi ottenuti dalle istituzioni della stessa Ue! Nel 1994 Mons. Javier Etchevarria, responsabile dell'Opus Dei a Roma, invitava i membri dell'organizzazione a erigere una linea Maginot contro l'imperversare dell'«edonismo» nell'Europa occidentale. Parallelamente, varie associazioni lavorano nell'ombra per infiltrare i governi e le istituzioni attraverso contatti con militanti e organizzando numerose conferenze.
L'Unione europea ha finanziato inoltre vari progetti sostenuti essenzialmente da organizzazioni legate all'Opus Dei. La raccolta di fondi è stata assicurata dalle fondazioni Limat (Svezia) e Reno-Danubio (Germania), così come dall'Istituto italiano di cooperazione universitaria (Icu).
Queste tre fondazioni sono strettamente collegate tra loro. Dato che operano attraverso l'intermediazione di molteplici organizzazioni, è difficilissimo per i responsabili europei sapere quali di esse lavorano per l'Opus Dei (11). Può dunque accadere che attraverso il gioco dei diversi tramiti le organizzazioni dell'Opus Dei siano finanziate addirittura più volte, senza che nessuno se ne accorga! Un buon esempio è quello fornito dall'Icu, che ha i suoi uffici a Roma, a Bruxelles, a Beirut, a Hong Kong e a Manila. Si tratta di una fondazione di importanza cruciale per il finanziamento delle attività dell'Opus Dei. L'Icu organizza o sponsorizza i «Congressi annuali degli alunni e degli studenti», nel cui ambito l'Opus Dei cerca di reclutare nuovi membri per inviarli a Roma. Anche i progetti dell'Icu sono finanziati dall'Unione europea (12).
La fondazione Reno-Danubio, la Limat e l'Icu cooperano su scala internazionale, in particolare nelle Filippine, dove nel 1995 hanno creato l'università dell'Asia e del Pacifico (University of Asia and the Pacific/UA&P), sempre grazie alle sovvenzioni dell'UE (12).
Ma anche al di fuori delle iniziative dirette dell'Opus Dei, accade che l'Unione europea finanzi a sua insaputa progetti nazionali portati avanti da organizzazioni che le sono vicine, quali ad esempio il centro romano Elis (Educazione, Lavoro, Istruzione e Sport), la Fondazione Residenze Universitarie Internazionali (Frui) o l'Associazione (belga) per la Cooperazione culturale, tecnica e formativa (Actec), che nel 1996 ha ottenuto una somma di 795.163 franchi belgi (pari a circa 20.000 euro). È urgente esigere una maggiore trasparenza nell'attribuzione delle sovvenzioni europee, e vigilare sul rispetto della separazione laica tra il potere politico e le diverse opzioni spirituali o confessionali.
note:
(1) Le Monde, 2 dicembre 2003. 185 associazioni di tutta Europa hanno rivolto una petizione alla Convenzione europea per chiedere la soppressione dell'articolo 51. www.catholics for freechoice.org
(2) Discorso dell'11 ottobre 1988 davanti al Parlamento europeo http://www.cef.fr/catho/endit/europe/index.php.
Si veda altresì, sullo stesso sito, l'esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» del 28 giugno 2003.
(3) In Germania, la Chiesa è il secondo datore di lavoro del paese, e beneficia di deroghe alle leggi sul lavoro.
(4) Leggere François Houtart, «Giovanni Paolo II, un papa moderno per un progetto reazionario», Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2002.
(5) Fédération européenne humaniste, www. humanism.be
(6) Leggere «Preserving Power and Privilege», www.catholicsforchoice.org/new/preserelease/100103EuroReport.htm
(7) Discorso davanti alla Fondazione Don Tonino Bello, 13 giugno 2003.
(8) www.europe-et-laicité-.org/archives2002/ parlementaires.html
(9) Fédération humaniste européenne, www. humanism.be
(10) Lettera aperta alla Convenzione europea pubblicata dal Reseau Voltaire, www.réseauvoltaire.fr
(11) Leggere Juan Goytisolo, «La milizia virile di un santo fascista» , Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2002.
(12) Altro segnale di influenza: nel settembre 1998 il Consiglio d'Europa ha consegnato il Premio europeo dei Diritti umani a Chiara Lubich, fondatrice del grande mvimento cattolico dei Focolari e strenua oppositrice dell'aborto e del riconoscimento delle coppie omosessuali.
(Traduzione di E. H.)