martedì 24 febbraio 2004

Iran: le grotte del sufismo

Repubblica, edizione di Palermo 24.2.04
LE GROTTE DEL SUFISMO
di MARCELLA CROCE


«Qui vicino mio cugino Saadegh si è fatto una grotta». Sulle prime attribuisco a un´improprietà linguistica questa frase sibillina del nostro amico Hassan. La sua bella barba bianca si allarga in un sorriso, noi non lo sappiamo ancora ma queste sue parole preannunciano il nostro primo incontro ravvicinato con un mistico sufi. Che vorrà mai dire «si è fatto una grotta»? Semplicissimo: vuol dire scegliere un posto di proprio gusto su una montagna accessibile a piedi da casa. E cominciare a martellare la roccia per crearsi una grotta personale. Sadeegh ha impiegato circa otto anni per completare la sua, lavorando da solo una decina di ore la settimana in un anfratto del monte Soffeh, la montagna che sovrasta la città iraniana di Isfahan. Non è un eremita, nella sua grotta non ha mai abitato, semplicemente la usa come pied-a-terre, quando vuole sentirsi più vicino al cielo. Trascorre lì buona parte della giornata, da solo o offrendo tè e pasticcini ad amici che come lui cercano di cogliere nella natura l´amore e l´unità del mondo.
L´acqua del monte è stata convogliata in un pratico «rubinetto» esterno e anche in una vasca interna, molto ben rifinita e completa di canalizzazione per un eventuale esubero. La grotta porta tutti i segni del suo piccone, in un angolo Saadegh ha realizzato per i giorni invernali una stufa a legna con relativa canna fumaria, all´esterno ha sistemato una veranda per godersi la frescura dei tramonti estivi. Non è la sua prima grotta. Saadegh (nome di origine araba che vuol dire «sincero») ha 76 anni e di grotte ne ha già «fatte» ben cinque, ma le prime quattro le ha dovute abbandonare. Da tempo immemorabile, l´Islam mistico, che è quello dell´uomo non conformista, non è mai stato visto di buon occhio dai dogmatici. Non a caso il monte si chiama Soffeh: un tempo era sacro ai sufi, in Iran e Turchia detti anche dervisci, che per secoli vi si sono rifugiati ogni qual volta le persecuzioni nei loro riguardi raggiungevano livelli insopportabili.
Suf era la ruvida lana della loro umile veste, che si dice bruciassero una volta raggiunto il massimo e ultimo livello di erfand, il sentiero verso Dio. Straordinaria sintesi di spiritualità e sensualità, il sufismo predicava un percorso interiore che coniugasse amore umano e amore divino, erotismo e unione con il divino. Questi pellegrini della valle d´amore, con le loro parole sconvolgenti, con il loro fervore e la loro eccezionale carica emozionale, hanno saputo produrre alcuni fra i vertici della letteratura mondiale. L´amore umano e mistico fu cantato per secoli dai sufi nei loro famosi e sublimi componimenti poetici.
«L´amore è il loro credo e la loro fede», avrebbe detto Ibn Arabi, grande poeta andaluso; anche i nostri stilnovisti, che amavano autodefinirsi «sudditi d´Amore», non avrebbero faticato molto a trovare con loro delle affinità. Uno dei più famosi poeti sufi fu Mawlana Jalalal-Din, vissuto nel XIII secolo; giacché passò buona parte della sua vita e morì in Turchia, che all´epoca faceva parte dell´impero bizantino, è conosciuto con il nome di Rumi (il romano). A lui è attribuita la famosa frase «quello che per voi è un rumore, per me è musica», e con queste parole si era messo a ballare al ritmo del battito del fabbro sull´incudine. Molti sufi erano veri spiriti enciclopedici, artisti, scienziati e alchimisti: il mistico Razi nell´XI secolo scoprì la formula dell´acido solforico. I sufi, che in Nord Africa sono chiamati anche fakir (poveri), non sono mai stati dei veri asceti. Al contrario dei mistici del Medioevo cristiano, non si sono mai separati completamente dal mondo. Spesso uniti in confraternite (tariqat), per le meditazioni e per le preghiere collettive si riuniscono tuttora in residenze (khanaqa), che in origine erano destinate ad accogliere gli adepti itineranti. Stanno con la gente e lavorano, anzi guadagnare è considerato un dovere, per poter dare il sovrappiù a chi ne ha bisogno: innumerevoli sono le botteghe di artigiani che espongono in bella mostra su una parete l´ascia, simbolo dei dervisci, un tempo famosi anche in Iran per le danze sfrenate con le quali raggiungevano lo stato di trance. Il loro ordine è stato da taluni paragonato a quello dei Templari.
Come ogni buon musulmano, il mistico sufi, cui recentemente ha dato un volto Omar Sharif nel delizioso film "Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano", si rifà di norma agli insegnamenti di un maestro, e tale strettissimo rapporto si può fare risalire in linea diretta al profeta Maometto e ad Alì, suo cugino e genero, che gli sciiti ritengono suo unico e legittimo erede spirituale.