martedì 24 febbraio 2004

un'altra rivoluzione fallita:
Giulio Giorello su Pancho Villa e Emiliano Zapata

Gazzetta di Parma 24.2.04
Giulio Giorello parla del saggio «Villa e Zapata» di cui è prefatore
«Due eroi per liberare gli oppressi»


«La rivoluzione fu una decennale Iliade messicana, in cui Villa, Zapata e gli altri giocarono i ruoli ricoperti nel mito da Agamennone, Achille, Ettore ed Enea.» Così scrive lo storico inglese Frank McLynn in «Villa e Zapata, una biografia della rivoluzione messicana» (Il Saggiatore, 508 pagine, 22,00 euro): la prima rivoluzione del XX secolo fu unica per la durata e i fatti di sangue, tanto da avergli suggerito un paragone col poema omerico. Sangue che al momento non fruttò al Messico il benessere e la stabilità politica auspicati, ma pure diede a questo Paese una Costituzione rispettosa dei principi di giustizia sociale. E se il Messico in tutto il Novecento è stato immune da feroci dittature militari, è merito anche di Villa e Zapata, l'Attila del Sud e il Centauro del Nord, sulla cui vita e personalità McLynn ci rivela ogni particolare, compresi molti aneddoti divertenti.

Entrambi combatterono per dare ai «dannati della terra» un migliore tenore di vita, ma la loro rivoluzione, come rileva il filosofo Giulio Giorello nell'introduzione al volume di McLynn, sfociò in uno Stato a partito unico, quel focolaio di corruzione che fu il Partito Rivoluzionario Istituzionale. La grande epopea popolare si spense nel sangue dei suoi eroi inconsapevoli, che avevano preso le armi sotto la spinta delle masse operaie e contadine, ma che da «rivoluzionari di passaggio» si tramutarono in «rivoluzionari permanenti - scrive Giorello, - cioè capaci di collocare nello spazio e nel tempo il loro partito preso per i diritti». Con Giulio Giorello, docente di Filosofia della scienza all'Università di Milano, riepiloghiamo quegli eventi lontani, ma sempre attuali nel Messico che ne è figlio.

«Questa ''biografia della rivoluzione messicana'' - dice Giorello - è stata scritta da uno studioso che si occupa in genere di storia europea. Tra le fonti a cui ha attinto per ricostruire la vita di Francisco Villa detto Pancho e di Emiliano Zapata, Frank McLynn c'è anche una pellicola di Sergio Leone, quel film visionario e barocco che è "Giù la testa", dove un irlandese dell'Ira si trova, con qualche disinvoltura storica, a combattere con Pancho Villa».

Perché le insurrezioni di Villa e Zapata finirono male?

«I due eroi della rivoluzione messicana operavano in due zone diverse del Messico, uno nel Nord e l'altro nel Sud, ed erano portavoce di problemi differenti, che questa biografia, costruita con la tecnica del montaggio cinematografico, rende molto bene. Le loro vicende a un certo punto si intrecciano, i due si incontrano a Città del Messico, ma non riescono a coordinare le loro azioni, e questa fu la debolezza che decretò la fine della loro rivoluzione. Così i vincitori non furono né Villa né Zapata, ma quella borghesia progressista che poi si cacciò nel vicolo cieco della persecuzione dei cattolici, quando i due capi rivoluzionari erano già stati assassinati».

Che cosa ha significato per il Messico la rivolta che infiammò il Paese dal 1910 al 1920?

«E' stata una grandissima esperienza di libertà e di giustizia, pur con tutti i difetti del regime che poi fu realizzato dal Partito Rivoluzionario e nonostante la mummificazione operata dal partito della restaurazione. Bisogna tenere presente che, in modi diversi, Villa e Zapata interpretavano rivendicazioni sociali molto sentite e che il popolo insorse in nome dei diritti e della libertà degli Indios e delle donne, del loro riconoscimento come individui. Non si trattò solo di una presa di coscienza delle masse popolari, per dirla nel linguaggio pre-sessantottino. Fu una vicenda epica».

Se Villa e Zapata fossero stati meno individualisti, avrebbero potuto raggiungere risultati maggiori?

«L'individualismo, certo, fu un ostacolo, così come la concezione troppo localistica della libertà. Una volta stabilite delle isole di libertà nelle zone controllate dagli zapatisti e dai villisti, forse mancò un piano più generale che potesse estendersi all'intero Messico e servire da modello ad altri Paesi dell'America Latina. Questo fu un limite di quella rivoluzione, ma è molto facile criticare Villa e Zapata col senno di poi».

Quanto contribuì al fallimento della loro rivoluzione il sistema corrotto che l'attorniava?

«Alcuni racconti dello scrittore messicano Ignazio Paco Taibo II descrivono magistralmente il clima di corruzione e ristagno che frenò la spinta in avanti verso i traguardi indicati dai due condottieri. Non parlerei, però, di fallimento. Alcune grandi rivoluzioni non sono fallite, ma si sono chiuse: con la restaurazione, come capitò alla rivoluzione inglese con Oliver Cromwell e a quella francese col ritorno dell'Ancien Régime, o con un compromesso che non ha accontentato nessuno, come è stato nel Novecento per la rivoluzione irlandese, i cui strascichi si avvertono ancora oggi nell'Irlanda del Nord. Ma certe esperienze rivoluzionare diventano patrimonio di tutta l'umanità. Villa e Zapata sono rimasti due punti di riferimento non solo per il Messico, ma per tutti coloro che sognano la libertà in ogni angolo del globo. Per certi versi lo direi anche per Che Guevara. C'è una lezione morale nella rivoluzione».

McLynn accosta Villa e Zapata al bandito Giuliano. Che cosa ne pensa?

«Quest'accostamento può suscitare curiosità, ma forse è l'aspetto meno interessante del libro. E' un errore di certa storiografia anglosassone riunire nella categoria del bandito sociale le persone più disparate. Siamo più sul terreno delle leggende romantiche che sulla concreta realtà storica. Villa e Zapata furono due grandi ribelli, ma furono anche dotati di una profonda dimensione umana e intellettuale, non paragonabili col fenomeno del banditismo siciliano».

Ieri Villa e Zapata, oggi il subcomandante Marcos nel Chiapas: perché il Messico è così predisposto alle rivoluzioni?

«Spesso le rivoluzioni non avvengono in Paesi dove la popolazione è ridotta alla pura sopravvivenza, ma in nazioni ricche di contrasti e di tradizioni. Il Messico ha una storia drammatica fin dalla conquista spagnola, per il complicato processo di liberazione e per la vicinanza degli Stati Uniti, tutti fattori che Frank McLynn ha bene analizzato. La rivoluzione è stata figlia di questa storia complessa e non semplicemente di una situazione di abbandono, della grandezza del Messico e non di un'endemica miseria».

La rivolta in corso da tanti anni nel Chiapas si riallaccia a quella di Zapata?

«Marcos ha nei riguardi degli Indios la stessa sollecitudine verso le loro difficoltà che aveva Zapata. Dicendo così, non intendo sminuire la figura dell'altro eroe della rivoluzione messicana, Villa, di cui sono rimasti famosi il coraggio, la spregiudicatezza, l'attenzione per i diritti dei più umili, il rispetto per la donna, e ciò malgrado la forma apparentemente rude di democrazia agraria armata, realizzata dai suoi uomini nelle zone da loro controllate».