Repubblica 25.2.04
DIO NON È UN PADRE
la religione degli americani/5. intervista a Toni Morrison
Il suo vero nome è Chloe Anthony Wofford. È stata la prima donna di colore ad essere insignita, nel 1993, del premio Nobel per la letteratura
I miei rapporti con il cattolicesimo si sono interrotti dopo il Concilio Vaticano II
Come me Cechov, Joyce, Tolstoj non hanno mai lasciato in pace il Padreterno
NEW YORK
di ANTONIO MONDA
Toni Morrison è nata settantatre anni fa a Lorain, una cittadina dell´Ohio, con il nome di Chloe Anthony Wofford. E´ stata lei stessa a scegliere il soprannome Toni, quando si è stancata del modo in cui veniva storpiato il nome con cui è stata battezzata. Prima di essere stata la prima donna di colore (e la ottava in assoluto) ad essere insignita nel 1993 del Nobel per la letteratura «per la vita che riesce a dare ad aspetti essenziali dell´esistenza americana in romanzi caratterizzati da una forza visionaria e da una imprescindibile valenza poetica», è stata per ventanni la più apprezzata e rigorosa editor della Random House, ha vinto il premio Pulitzer nel 1988 per Beloved, e la prima donna di colore a diventare Chair in una università del prestigio di Princeton. Mi chiede di incontrarla nel suo appartamento di New York, situato all´interno di un palazzo che fino a pochi mesi fa ospitava una centrale della polizia. E´ una donna dal portamento maestoso, uno sguardo che mette soggezione, i capelli annodati in lunghissime trecce grigie, ed una voce che rivela appena la cadenza del sud di cui erano originari i suoi genitori. Si rende subito conto del mio stupore per la strana architettura del palazzo nel quale campeggiano ancora simboli e bandiere, ma mi invita a vederne la grandiosità, e a riflettere su come siano stati mal utilizzati fino ad allora gli spazi. «Se dobbiamo parlare del rapporto con Dio, immagino che dobbiamo cercarlo in ogni cosa» mi dice scherzosamente prima di invitarmi a cercare un ristorante dove riflettere in maniera rilassata su un tema che non avrebbe mai immaginato di discutere pubblicamente.
Di questi tempi i politici e le istituzioni parlano costantemente di Dio...
«Io ritengo che quello che fanno è semplicemente una strumentalizzazione, se non una bestemmia. La situazione in cui ci ha portato questo presidente è disperata, e sono terrorizzata quando lo sento parlare del suo Dio. Gli sono state attribuite frasi come "non negozierò mai con me stesso", ma negoziare con se stesso è quello che normalmente è chiamato "pensare". Il suo assolutismo religioso è stupefacente. Non riesco a capire con quale autorità morale citi il Padreterno e si definisca poi "presidente di guerra". A me sembra che fondi il proprio potere sulla paura».
Mi parli del suo atteggiamento rispetto a Dio. Lei crede?
«Credo in una intelligenza interessata in quello che esiste e rispettosa di quanto ha creato».
In cosa differisce questa definizione dal Dio delle religioni?
«Il fatto che ogni religione finisce per definirlo e quindi rimpicciolirlo. La mia idea di Dio è quella di una crescita infinita che scoraggia le definizioni ma non la conoscenza. Credo in un´esperienza intellettuale che intensifica le nostre percezioni e ci allontana da una vita egocentrica e predatoria, dall´ignoranza e dai limiti delle soddisfazioni personali. Più è grande la conoscenza e più Dio diventa grande. Perfino la Bibbia, questo libro meraviglioso scritto da straordinari visionari, è piccola e riduttiva rispetto alla grandezza di Dio».
Lei parla di una definizione che crea un limite. Tuttavia la fede non pretende di definire...
«E´ vero, ma rifletto anche sul fatto che la ricerca è sempre più importante della conclusione, e a volte la conclusione è già nel viaggio».
Mi parli del suo intimo viaggio all´interno della religione.
«Ho ricevuto una educazione cattolica, nonostante mia madre, che era molto religiosa, fosse protestante. Da bambina ero affascinata dai riti del cattolicesimo, ed ho subito la forte influenza di una cugina, che era una fervente cattolica».
Quando si sono interrotti i suoi rapporti con il cattolicesimo?
«Non so identificarlo con certezza. Forse la stupirà sapere che un momento di crisi l´ho avuto in occasione del Concilio Vaticano II. All´epoca ebbi l´impressione che si trattasse di un cambiamento di superficie, e soffrii molto per l´abolizione del latino, che vedevo come il linguaggio unificante e universale della chiesa. Tuttavia trovo ancora folgorante la rivoluzione dell´amore che sostituì l´idea di giustizia. Si tratta di qualcosa di estremamente moderno, e forse di eterno, che qualcuno ha portato nell´umanità».
Per chi crede quel "qualcuno" è il figlio di Dio.
«Se non lo è, stiamo parlando certamente di un genio. E´ l´amore che ci distingue dagli animali. E in questa rivoluzione diventa centrale l´attenzione al più debole e al più piccolo».
Lei parla della rivoluzione cristiana con commozione, eppure oggi crede in un´entità intelligente...
«Non credo in un Dio padre: anche quella mi sembra una limitazione, oltre che una semplificazione. E contesto l´immagine di Dio come il genitore protettivo...: se mi sforzo di intuirne l´essenza, e penso ad esempio all´infinità del tempo mi perdo con un misto di sgomento ed eccitazione. Intuisco l´ordine e l´armonia che suggeriscono un´intelligenza, e scopro, con un po´ di tremore, che il mio stesso linguaggio diventa evangelico».
Su questo stesso problema Derek Walcott ha riflettuto pensando alla Nostalgia dell´infinito, il famoso quadro di De Chirico esposto al MoMA.
«E´ il dilemma perfetto: il più grande ed eterno. Ci sentiamo unici, e per molti versi lo siamo, ma sentiamo di appartenere a qualcosa di più grande, rispetto alla quale non possiamo che provare nostalgia». Coloro che credono sono a suo avviso degli illusi?
«No, anzi: provo nei loro confronti il massimo rispetto, e certamente non sono io la persona che può giudicarli. Tuttavia penso che la mente cerca sempre di proteggere se stessa, e che è molto umano l´atteggiamento di chi trova un sistema in cui credere. Mi ha sempre divertito la tendenza ad umanizzare la divinità: penso agli uomini che ne esaltano l´aspetto guerriero o alle monache cattoliche che si dichiarano spose di Cristo. O coloro che lo identificano con il loro medico... soldato, marito, dottore: sono esempi abbastanza evidenti di esigenze umane».
Il suo approccio intellettuale sembra nascere dall´"intellego ut credam".
«Mi voglio fermare al termine "Intellego", anche perchè so bene che esiste da sempre un anelito di Dio. Tutto ciò che la mente può fare è imparare, e il momento in cui la mente si ferma coincide con la morte».
Cosa significa per lei la morte?
«Nei momenti di depressione la vedo come una liberazione, ma normalmente rappresenta qualcosa di inconcepibile: viviamo nel paradosso di non accettare la più ovvia e inevitabile delle nostre condizioni».
La sua tesi universitaria tratta del tema della morte, ed in particolare del suicidio in Faulkner e Virginia Woolf.
«La morte è un fatto inaccettabile con il quale tuttavia dobbiamo confrontarci: scelsi quel tema per riflettere sul fatto che in Assalonne Assalonne, l´americano Faulkner descrive il suicidio come un atto di debolezza, mentre in Mrs.Dalloway l´inglese Woolf lo trasforma in un gesto eroico di libertà».
I suoi libri hanno dei riferimenti religiosi persino nei titoli.
«E´ vero, ma devo dirle che sia Song of Solomon che Paradise sono titoli suggeriti dall´editore. Pensi che il titolo di quest´ultimo libro, nel quale tutti i personaggi sono dei credenti, era War. Per quanto riguarda Beloved è tratto da una citazione di San Paolo ai Corinzi, ma è anche un modo per rapportarsi a qualcosa di profondamente intimo e imprescindibile».
Uno dei suoi temi ricorrenti è la schiavitù. Ritiene che si tratti solo di una condizione fisica?
«No, assolutamente. L´abominio di un essere umano messo in catene è una delle più grandi tragedie dell´umanità, ma so bene che esistono schiavitù psicologiche ed ideologiche».
Ritiene che la religione sia presente nell´arte moderna?
«Meno di quanto si possa pensare, e spesso è utilizzata con fini commerciali. Pensi ad esempio a questi filmacci pretenziosi dove compaiono gli angeli come deus ex machina o agli artisti figurativi che utilizzano l´iconografia religiosa con l´unico intento di creare uno scandalo: non c´è nulla di serio, si tratta di una religione da supermercato, una Disneyland spirituale di falso timore e piacere». Ma nell´arte la religione è un limite o una opportunità?
«Credo che sia un dato neutro: ci sono scrittori e poeti che non credevano ed hanno realizzato delle meravigliose opere con soggetti religiosi».
Quali sono gli scrittori che hanno trattato temi religiosi che ammira maggiormente?
«Joyce, in particolare le opere giovanili, e Flannery O´Connor, una grandissima artista che ancora non ha ricevuto l´attenzione dovuta». Mi ha citato due irlandesi...
«Sono gli scrittori che mi vengono immediatamente in mente, ma non si possono dimenticare i russi: Dostoevskj, Tolstoj e perfino Cechov non hanno mai lasciato in pace il Padreterno».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»