giovedì 15 aprile 2004

Antonio Montellanico recensisce
UM FILME FALADO di Manoel De Oliveira

ricevuto da Carmine Russo

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SUCCOUìK
il settimanale di Succoacido primaverile n.19
*Cinema
UM FILME FALADO - UN FILM PARLATO
di Manoel De Oliveira, con Leonor Silveira, John Malkovich, Catherine Deneuve, Stefania Sandrelli, Irene Papas.
POR 2004
di Antonio Montellanico


Ogni nuovo film di Manoel De Oliveira è un piacere al cui richiamo è impossibile sottrarsi.
A novantacinque anni il vegliardo portoghese gode di una intuitività ed un'inventiva straordinarie e oggi colpisce come, ricostruendo il suo percorso, ciascun film finisca per sembrare un tassello dell'ipotetica partita a domino giocata lungo un'intera carriera; ogni pezzo porta gli elementi numerici del precedente, indispensabili per continuare e già inutili per i successivi sviluppi del gioco.
Per De Oliveira è necessario di volta in volta rimettere in discussione il proprio fare cinema e condurlo come un'indagine filosofica intorno all'uomo, che solo nell'esplorazione continua delle fratture coscienziali dell'esistenza - galassia caotica in espansione - può trovare nuove espressioni.
Filtrare il segno, l'essenza di ciò che il cinema è in grado di riprodurre della nostra realtà; l'esteriorità delle circostanze all'apparenza sempre serene, conduce ai tumulti interni e lo sguardo elegantemente rivolto alla parte racchiusa delle immagini, risale di tanto in tanto la superficie delle cose.
Perché non è tanto ciò che si vede, quanto quello che rimane fuori dall'inquadratura ad interessare De Oliveira. Um Filme Falado, questo il programmatico titolo del suo nuovo lavoro, è un film fatto solo di parole e luoghi silenziosamente combinati tra loro ed immersi in quella magica, inesorabile lentezza compositiva ormai propria del regista. Una donna parte insieme alla figlia per ricongiungersi al marito. Una lunga crociera che da Lisbona si sposta di città in città, toccando Marsiglia, Napoli, Atene, Il Cairo e lo stretto di Suez, è la giustificazione di un percorso nel Tempo e nello Spazio, attraverso le orme dell'epopea mediterranea, dove ciascun luogo è presenza fantasmatica che parla dell'immobilità delle cose, dell'ineluttabilità della morte nelle culture. Miti e leggende, monumenti ed antichi simulacri di civiltà in rovina diventano il simbolo dell'urgente necessità di una moltiplicazione della parola che sia capace di creare nuovi immaginari. Mondi, altri luoghi, nuove parole. Una nemesi positiva di Babele, dove la diversità multiforme del linguaggio verbale è il simbolo di un accrescimento di senso continuo -l'ultimo possibile, sembra suggerire il regista - capace (forse) di riscattare quella bellissima inscindibilità simbiotica tra il pensiero, l'immagine e la parola che sembra ormai essere perduta all'alba del mondo.
I racconti preziosi della madre alla figlia ricostruiscono un tempo della Storia orale dove le civiltà rivivono in un limbo sospeso tra la realtà dei fatti e la fantasia degli uomini che a quegli stessi fatti hanno attribuito altri significati. Leggende immaginarie che persistono più della memoria, in lotta con il senso di un passato che sfugge. Un viaggio nel quale più si va avanti e più ci si accorge di non vedere nulla, per ritornare alla nebbia del porto di Lisbona, cioè all'immaginazione oltre l'immagine. E forse è questo il significato più autentico di un film il cui percorso sembra quasi il processo creativo del sogno e della speranza; una nave solca le acque calme dell'oceano, muovendosi da occidente ad oriente... tra l'ingenuità curiosa nelle domande della bimba Maria Joana e l'ammaliante musicalità nei racconti della madre Rosa Maria.
Ma Um Filme Falado è anche la riflessione acuta su un passato che non ha vera identità e che non ci dirà mai nulla sul futuro. Duemila anni di storia sulle menzogne non dette dai ruderi... le mummificazioni di un antico splendore. Il presente allora appare inconoscibile, minacciato com'è dal terrorismo - la parola vuota, utopica e dunque distruttiva - dall'integralismo che sembra intenzionato a cancellare per sempre le possibili convergenze tra le culture. E se Viaggio all'Inizio del Mondo era un pellegrinaggio nella dimensione intima dei luoghi della memoria, Um Filme Falado è il nuovo pezzo del domino che porta alle radici primordiali del pensiero tutto; De Oliveira provoca con la solita ironia caustica quella lingua greca, riferimento cardine del logos occidentale e matrice di tutti gli idiomi, che finisce per essere parlata ora solo in Grecia e per di più in una nuova forma che nei simboli e nell'articolazione verbale non ha nulla in comune con la lingua madre.
Al tavolo del comandante, tre donne tracciano un bilancio tra delusioni passate, incertezze e speranze future. Tre donne giocano a "parlare" in greco, francese, inglese ed italiano con una perfetta comunicazione sincretica. Ma è un scambio inutile il loro, il linguaggio vuoto di chi continua a sperare in qualcosa di nuovo senza mai rinnegare nulla del passato. Quello di De Oliveira è difatti un discorso estremamente raffinato, che getta una prospettiva inquietante sull'impossibilità di un rapporto con la Storia alimentato da una curiosità sana e dalla libertà di un rifiuto costruttivo nei confronti dell'ottusità occidentale (madre e figlia stanno bene da sole e rinunciano al primo invito al tavolo del comandante!).
Un guizzo istrionico e disperato nel finale, ribalterà tutte le prospettive: va abbandonata la nave... la nave dei folli, dei fatui e dei superbi. Una bomba esplode mandando tutti a rifugiarsi sull'antica zattera della Ragione. Il messaggio sfiduciato (o delinquente?) di chi non si fa più illusioni perché sa che si salveranno sempre "gli stessi".
E sono una madre e la sua bimba di otto anni, donne autentiche, a rimanere le uniche depositarie della lingua dei navigatori che scoprirono le terre sconosciute...