giovedì 15 aprile 2004

il punto di vista del soggetto in letteratura
secondo Cesare Segre

Corriere della Sera 15.4.04
ELZEVIRO Trame e personaggi
Le buone azioni di don Chisciotte
di CESARE SEGRE
(*)


Persone e azioni costituiscono senza dubbio lo scheletro di ogni narrazione. E i critici non possono fare a meno di descrivere i caratteri dei personaggi, osservando il loro riflettersi nelle azioni compiute. Ma il problema del rapporto fra personaggio e azione ha un rilievo teorico. Si tratta di precisare se la natura del personaggio sia quella che si può dedurre dalle sue azioni o se le azioni siano un risultato, ma non obbligatorio, delle particolarità di carattere del personaggio. Aristotele, nella sua Poetica , fu il primo a porre in modo radicale il problema. Alludo alle pagine dedicate alla tragedia, che nella Grecia del tempo era giunta al massimo fulgore. Ed eccolo a dichiarare che «fra tutti gli elementi dell'azione, cioè caratteri, racconto, linguaggio, canto e pensiero, la composizione dei fatti è capitale, perché la tragedia è imitazione non di uomini, ma di un’azione. (...) Quindi gli attori non svolgono l'azione scenica per riprodurre i caratteri, ma attraverso le azioni assumono i caratteri». E proseguiva: «Se un autore allinea discorsi ricchi di psicologia e ben costruiti per il linguaggio e il pensiero, non riuscirà ad attuare quello che doveva essere il compito della tragedia, ma ci riesce molto meglio quella tragedia che, anche impiegandone di peggiori, pure possiede una trama narrativa e una struttura composta di fatti».
Quest'impostazione dinamica pare eccessiva. Eppure sarà ripresa dal famoso folclorista Vladimir Ja. Propp, nel 1928. Propp, in base allo studio delle fiabe di magia russe, concludeva che il personaggio ha interesse solo in quanto soggetto dell’azione. E sulla sua scia si misero i narratologi francesi, da Barthes a Bremond (quest’ultimo con interessanti attenuazioni). Il termine «funzione», per indicare un'azione in rapporto con la sua incidenza sulla trama, entrò nell'uso.
Propp non aveva torto nel caso delle fiabe da lui esaminate, perché in queste il personaggio si esaurisce davvero nel suo ruolo ufficiale (re, principessa, eroe) e in quello funzionale, cioè nella o nelle funzioni che compie. Ma il personaggio letterario (chiamato in inglese e in tedesco, non a caso, character ) ha uno spessore ben diverso, come somma di qualità e istinti e desideri e affetti. E se esaminiamo qualsiasi grande romanzo sino all'Ottocento (col Novecento la consistenza del personaggio incomincia a impallidire), ci accorgiamo che la fisionomia etica e caratteriale dei personaggi è altrettanto importante per il lettore che la loro azione. Ci accorgiamo soprattutto che la complessa conformazione del personaggio non è rispecchiata per intero dalla narrazione, che non si limita certo a dimostrare il rapporto fra il carattere del personaggio e il suo comportamento. In breve, c'è nella natura del personaggio un'eccedenza riguardo al suo manifestarsi nell'azione. L'azione d'altra parte non si limita a confermare i tratti caratteristici del personaggio, anzi ne realizza spesso mutamenti o svolgimenti imprevedibili. Anche nell’azione c'è dunque un’eccedenza; e si può ritenere che essa costituisca l'interesse della trama.
In più, la struttura personaggio cambia a contatto con la realtà e con lo scorrere del tempo e un romanzo narra spesso questi mutamenti attraverso la lotta del personaggio per affermarsi o prendere coscienza di sé. Importante è proprio, pare, che le azioni compiute dal personaggio non siano considerate in un rapporto obbligativo rispetto al soggetto che le compie; cioè che sussista quella libertà d'azione che è anche la continua, gratificante sorpresa del lettore.
C'è da aggiungere che la pluralità dei punti di vista non permette una definizione univoca delle azioni. Quando don Chisciotte si lancia a spron battuto contro i mulini a vento, è perché ritiene che siano dei giganti. Noi non possiamo sintetizzare l'episodio dicendo: «Don Chisciotte si lancia contro i mulini a vento», perché trascureremmo il punto di vista del protagonista, che sarebbe invece: «Don Chisciotte si lancia su uno dei giganti». Ma don Chisciotte sa anche conciliare le sue fantasie con la realtà e dichiara alla fine che è stato un mago a trasformare i giganti in mulini a vento: che sarebbe un terzo punto di vista.
I punti di vista, poi, possono spostarsi fino a capovolgersi. Quando, dopo uno dei rari duelli fortunati di don Chisciotte, il poco fantasioso Sancio reclama dal suo padrone l'isola promessa, si porta, lui sì, in una dimensione cavalleresca; mentre don Chisciotte, il pazzo don Chisciotte, adotta una prospettiva del tutto realistica: «Questa avventura e altre simili avventure non sono da isole, ma semplici avventure da strada e non vi si guadagna altro che di riportar a casa la testa rotta e un orecchio di meno».
Privilegiare l'azione narrativa a scapito del personaggio si rivela, già con questo esperimento, improvvido.

(*) Cesare Segre è professore di Filologia romanza nell'Università di Pavia e Accademico nazionale dei Lincei