martedì 20 aprile 2004

prassi del basaglismo

GAZZETTA DI PARMA 20.4.04
SOLIDARIETA'—Un seminario sull'attività del centro «Pietro Corsini»
«Così riabilitiamo i malati psichici»


Un tempo Leon Eisemberg disse: «La salute mentale è possibile, la malattia mentale è trattabile». Come? Attraverso persone che creino legami e non più legamenti. E' il sunto del seminario di studio «Dall'assistenza psichiatrica alla riabilitazione psico-sociale», organizzato dalla cooperativa sociale Domus, che si è svolto al dipartimento di filosofia della Facoltà di Lettere in occasione dell'inaugurazione ufficiale del residence «Pietro Corsini» a Pellegrino Parmense. Si tratta di una struttura condominiale, attiva dal 2002, inserita in un Centro polifunzionale e articolata in sei mini-appartamenti che ospitano dodici coinquilini, ex-degenti dell'Ospedale psichiatrico di Colorno. Un appartamento esterno, inoltre, in locazione da privato, ospita altre due persone, seguite dall'équipe del Centro. «Il lavoro si svolge attraverso Progetti riabilitativi individualizzati insistendo su tre aree: habitat, lavoro, socialità relazione; e tramite alcune iniziative collettive come il laboratorio teatrale condotto da Lenz Rifrazioni di Parma (attivo dal 1999), l'inserimento scolastico per mezzo del Centro di formazione permanente della Scuola media statale (attivo dal 2000), gruppi di motricità e laboratori artigianali», spiega Roberta Lasagna, responsabile dell'area psichiatrica della Domus. L'esperienza di Pellegrino, la collaborazione solidale e affettuosa della sua gente, l'attivazione di sinergie tra le varie istanze sociali e culturali, i malati che possono vivere in una casa propria, ha proposto un momento di riflessione sulle politiche in psichiatria.
Dopo la ricostruzione della memoria del passaggio, dall'ospedale psichiatrico (manicomio di Colorno) alle comunità terapeutiche fino al residence «Corsini», presentata dalla ricercatrice in Scienze antropologiche Licia Gambarelli attraverso interviste narrative a persone che han vissuto quei momenti, c'è stato l'intervento di alcuni dei protagonisti stessi. Ora il manicomio, l'istituzione che segnava la differenza tra «follia» e «normalità», non esiste più, ma «quando sono arrivato io – ricorda Mario Tommasini -, nel 1965, all'ospedale psichiatrico di Colorno c'erano 1500 malati di cui 200 legati al letto con le camicie di forza, con soli 4 medici, invece di 30 e 170 infermieri, invece di 500». In una sorta di ritiro quasi autistico, i pazienti «vivevano» in gruppi di 50, internati in saloni spogli d'arredo, con i letti a 30 centimetri dal muro e camminavano attaccati alle pareti… per paura delle percosse.
Oggi i malati «respirano» nelle proprie case-libertà, stimolati a continui miglioramenti tesi a far riemergere quella persona alla quale per tutta la vita è stata negata la possibilità di «esserci»: grazie a una nuova formula che vuole più riabilitazione e meno psichiatria. Come? Anzitutto sono le istituzioni che bisogna riabilitare, solo poi, inizia l'intervento sul paziente: attraverso la conoscenza della sua storia personale pre e post-ospedaliera, programmi personalizzati, norme condivise che regolano la convivenza, reti di impegno civico, integrazione con l'ambiente circostante e quant'altro.