mercoledì 30 giugno 2004

storia delle donne:
la tragedia di Olympe de Gouges ai tempi del Terrore

Giornale di Brescia 30.6.04
Maria Rosa Cutrufelli, finalista al Premio Strega, racconta la storia di Olympe de Gouges, narrata nel suo romanzo
La donna che visse per un sogno al tempo del Terrore
di Andrea Grillini


«Olympe de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un’aspirazione della natura: ha voluto essere Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso». Così recita il rapporto sulla morte di questa anticipatrice del femminismo, datato 14 brumaio, anno II della Repubblica. Parigi 1793. La Rivoluzione imperversa, seminando il terrore e sconfinando nell’illecito quotidiano. Mentre la ghigliottina lavora senza sosta, si muove Olympe de Gouges: autrice della "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina", si è infiammata delle idee di eguaglianza e libertà proclamate dalla Rivoluzione, applicandole alla parte femminile della popolazione. Ma i capi del Terrore non perdonano chi non è in totale sintonia con loro. Così anche su Olympe si abbassa, implacabile, la lama della ghigliottina. A questa affascinante figura femminile ha dedicato un libro Maria Rosa Cutrufelli - "La donna che visse per un sogno" (Frassinelli, 340 pagine, 14.50 euro), - col quale ha vinto il Premio Alghero Donna ed è finalista al Premio Strega. All’autrice chiedo di illustrarmi meglio la sua eroina.
«Olympe de Gouges - risponde - delle idee fece la ragione della sua vita, come si evince dai suoi numerosi scritti. Molti suoi testi politici e un romanzo autobiografico furono ripubblicati nel bicentenario della Rivoluzione Francese, e dalla loro lettura si capisce che la sua era una passione autentica, quasi un’ossessione. Voleva che la femminilità fungesse da leva per cambiare in profondità la società».
Che effetti ebbe la sua "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina"?
«Investì una delle idee cardini della sua epoca e dei rivoluzionari, ossia che l’essere umano, di qualsiasi colore e sesso, fosse un individuo "neutro", e in quanto tale avesse dei diritti. Olympe invece, nella sua Dichiarazione, asserì che non esisteva un individuo neutro, ma esistevano degli individui con le loro differenze e che proprio in virtù di queste differenze dovessero avere dei diritti. Smantellò l’asse portante del pensiero rivoluzionario, mostrandone l’astrattezza. Era troppo all’avanguardia. E la reazione non si fece attendere».
Ma era davvero così pericolosa da meritare la ghigliottina?
«Come scrivo nell’epilogo del libro, fu la più "scomoda" delle donne della Rivoluzione francese, e la più innovatrice. Ancora all’inizio del Novecento un medico militare, in un opuscolo scientifico su di lei, sostenne che la Rivoluzione aveva fatto credere alle donne di potersi impossessare di alcune qualità tipiche dell’uomo, conducendole così a gravi patologie...».
La vicenda è raccontata, nel libro, da Olympe stessa e da altre donne: perché questa scelta?
«Per due motivi. Volevo evitare di cadere nel romanzo storico tradizionale, e quindi dovevo escogitare una struttura nuova, pur rimanendo agganciata alla tradizione. In secondo luogo desideravo dimostrare che Olympe, la quale spesso si rimproverava di essere isolata, di essere troppo all’avanguardia, in realtà non era affatto sola, anzi era calata in una rete di relazioni femminili. C’era un mondo femminile che si muoveva con lei».
Olympe era solita ripetere che lei era «solo una donna»: si trattava di modestia o di un orgoglio malcelato?
«Con questa sua frase intendeva contestare il pregiudizio del suo tempo, per cui in una donna si vedeva una sorta di diminutivo dell’essere umano. Lei rovesciava simile idea e faceva diventare questo diminutivo un punto di forza».
Nel romanzo la vicenda di Olympe si snoda in cinque frenetici mesi. Combattendo per le donne, Olympe si oppose anche alla tirannia?
«Rileggere la storia di Olympe significa anche guardare da un punto di vista diverso la vicenda della Rivoluzione. Olympe non combatte solo per le donne, ma per tutti, perché la Rivoluzione con la sua involuzione, il terrore e il sangue, ha tradito le sue premesse e ciò che aveva promesso a tutti. La domanda che sempre ricorre nella storia umana, ossia se la violenza e il sangue siano necessari per il trionfo di un’idea, penso che sia molto attuale. E Olympe, con la sua morte, risponde che le idee possono tramutarsi in fatti solo se non precipitano nella violenza e nel terrore. Sarebbe bene che gli esseri umani non si dimenticassero di questa profezia. Olympe afferma che il cambiamento e la vera rivoluzione sono possibili se a prevalere sono le parole. Previde la guerra civile che s’avvicinava, e propose di andare al voto anziché usare le armi. Ma il voto allora sembrava un’utopia, esisteva solo la realtà delle armi».
È stato difficile il lavoro d’immedesimazione con questo personaggio?
«Sì, difficilissimo, ma non solo per Olympe. I miei personaggi parlano tutti in prima persona, e dire "io" non è stato facile con nessuno, ma con Olympe lo è stato in particolare perché il suo carattere è forte, lo è ancora dopo più di duecento anni dalla sua morte. C’è una forza in questa figura che prende totalmente e mantenere il controllo su di essa è stato arduo».