Pechino in due anni raddoppia i suoi dottori
Tre milioni di neolaureati in mille università preparano la scalata all’economia globale
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Fabio Cavalera
PECHINO - Lo straordinario sviluppo della istruzione universitaria è uno dei capitoli più significativi della storia recente della Cina. Se le campagne continuano a regalare manodopera giovane a basso costo per le imprese edili o per le multinazionali e le corporation, se le scuole professionali delle grandi città sono impegnate a gonfiare i numeri delle occupazioni specialistiche (tecnici dell'informatica, tecnici delle telecomunicazioni, operatori del turismo) è negli atenei che si assiste a quella evoluzione che proietta la Cina in una dimensione davvero globale in competizione con le grandi potenze industriali. Si tratta di un processo inarrestabile di accelerazione che presenta luci e ombre.
Nel 1949 i laureati erano 117 mila all'anno. Nel 2004 saranno 2,8 milioni. I laureati, oggi, sono complessivamente undici milioni che è una percentuale assai piccola se raffrontata alla popolazione del Celeste Impero (un miliardo e 300 milioni) ma ciò che importa e che impressiona sono le ultime tendenze. La curva è salita in modo deciso a partire dal 1985, la vera impennata è però avvenuta dal 2000: all'inizio del millennio i laureati, sempre su base annua, erano poco sotto il milione, nel triennio successivo sono quasi triplicati. La linea di un grafico ipotetico è ormai in ascesa verticale.
L'attenzione che le autorità di Pechino rivolgono alla educazione universitaria è parallela alla crescita del Paese. L'integrazione fra centri di ricerca universitari e sistema produttivo-finanziario è sempre più rilevante. E se una volta chi optava per completare gli studi all'estero non era sponsorizzato dal regime, oggi è invece considerato come un vero e proprio tesoro al servizio dell'economia del Paese. Cosicché fra giovani laureati di ritorno dai corsi svolti in Europa (Italia esclusa perché nel nostro Paese le porte restano sbarrate) o negli Stati Uniti e soprattutto giovani laureati nella madre patria la Cina sta costruendo un esercito di futuri dirigenti della economia globalizzata e della ricerca scientifica mirata allo sviluppo. Ragazzi che non ragionano sintonizzandosi su stereotipi ideologici ma che pensano al profitto e al divertimento. Li trovi la sera nella capitale nei locali di Houhai, una zona di hutong (vecchi vicoli) trasformata con bar e ristoranti di design modernissimo, o al «distretto» 798, il distretto dell'arte. E senti che il loro presente è orientato a cercare piacevoli ore di svago dallo studio (le frequenze in università sono pressoché obbligatorie) mentre il loro futuro si indirizza verso carriere che essi desiderano con retribuzioni di altissima fascia.
I campus di Pechino o di Shanghai mettono a disposizione delle imprese e delle istituzioni fior di esperti in scienza bancaria - in previsione della esplosione del mercato dei capitali che avverrà nel 2006 quando sarà consentito di operare a tutti gli istituti di credito esteri - mettono a disposizione fior di esperti in ingegneria nucleare - perché in questa direzione va la scelta di diversificare le fonti energetiche dal carbone e dal petrolio e perché è programmata la costruzione di 32 reattori nucleari da qui al 2020 - mettono a disposizione fior di esperti in scienze agricole per lo sfruttamento razionale della natura e ingegneri informatici che vanno a coprire la domanda di tecnologie d'avanguardia.
E i campus non trascurano neppure la formazione di biologi o di esperti in scienze sociali. Le università alle quali si accede con esame (lo passa il 17 per cento dei diplomati) sono il supporto dei 152 accordi di cooperazione scientifica firmati dalla Cina con altri Paesi. Questo orientamento si è affermato a partire dal 1997 e si è consolidato. Nel marzo 2004 vi è stato un ulteriore passaggio con un corollario strategico. Il Consiglio di Stato ha infatti approvato un piano dell'istruzione superiore e universitaria che ha lo scopo «di coltivare centinaia di milioni di lavoratori di alta qualità, milioni di specialisti» oltre che «garantire la prosperità culturale e il progresso sociale». Un occhio di riguardo è rivolto alle zone rurali, «la priorità fra le priorità». La Cina ha insomma imboccato la strada che le deve garantire, attraverso l'istruzione sia di massa a livello primario sia qualificata e di elite a livello superiore e universitario, un trend consolidato da grande potenza dell'industria, dell'high-tech, della nuova e vecchia scienza.
Non che questa impetuosa crescita avanzi in modo lineare e senza sbandamenti. E qui siamo alle ombre di una realtà in movimento. La Cina sotto il profilo del mercato del lavoro presenta ancora falle enormi. Così, a causa del ritardo di alcune scelte, in certi cicli dell'economia la domanda di occupazione ultra qualificata e di fascia alta non riesce a incontrarsi con l'offerta che le università propongono. Secondo le ultime statistiche nel 2003 l'offerta di primo impiego per i laureati è andata vicina alla saturazione. Con la conseguenza che si sono intravisti segnali forti di sottoccupazione giovanile ( Il China News Weekly , giornale dello Stato, ha scritto di una riduzione del 40 per cento del salario di ingresso dei neolaureati nel lavoro).
Certamente la Cina sembra presentare prospettive forti per mansioni di medio e basso livello, meno (almeno in questi dodici mesi) per quelle alle quali aspirano i neolaureati. Il che rischia di aprire, a cascata, ulteriori questioni. Gli studi universitari non sono più a carico dello Stato. Si pagano rette che i ragazzi di famiglia povera non riescono a permettersi. Per aggirare l'ostacolo le autorità hanno sollecitato le banche a istituire linee di credito speciale a favore degli studenti. Prestiti da rimborsare alla fine dei corsi e una volta ottenuto l'impiego. Ebbene, nell'ultimo anno molti laureati, avendo trovato lavoro di retribuzione e profilo basso, non sono stati in grado di onorare i contratti. E le banche hanno cominciato a sollecitare il rientro delle somme prestate.
Gli studenti sono sempre stati protagonisti della storia cinese degli ultimi 55 anni: nella rivoluzione maoista conclusasi nel 1949, nella rivoluzione culturale degli anni Settanta, nella rivolta libertaria di piazza Tienanmen del 1989. Oggi ancora i giovani, gli studenti, diventano protagonisti di una nuova rivoluzione dei costumi, delle idee, degli stili di vita. Hanno voglia di confrontarsi con il mondo. Questi ragazzi sono orgogliosi del loro Paese, sono pieni di aspettative. Sono pronti a misurarsi con l'Occidente. E sia nella loro dimensione di alternativi, sia nella loro dimensione di avidi consumatori, sia nella loro dimensione di studenti, sia nella loro dimensione di lavoratori sono, al tempo stesso, una grande risorsa per la Cina futura e una minaccia per la Cina del presente. Una risorsa perché hanno l'entusiasmo di chi va a scoprire nuovi equilibri emotivi e sociali. Una minaccia perché se l'entusiasmo viene caricato di attese che la struttura politica e la struttura economica del Paese non sono in grado di garantire rischia di trasformare un popolo di ragazzi e di giovani uomini o di giovani donne in una massa pericolosamente traballante fra i resti della tradizione e l'abbaglio della innovazione. Non è dunque un caso che stia emergendo fra le professioni di maggiore prospettiva una richiesta fortissima di psicologi dell'età evolutiva.
(2-fine, la prima parte è stata pubblicata l’11 ottobre)