La religione dell'America di Bush
Da Reagan alle attuali strategie globali, ecco come Dio entra nella politica
Il nuovo fondamentalismo protestante e il peso elettorale sulla presidenza
di ALEXANDER STILLE
Qualche tempo fa George Bush si è trovato in una posizione difficile, con l´ansia di perdere un importante pilastro della sua base elettorale: i conservatori religiosi. Lo stato del Massachussets aveva dato il via libera ai matrimoni gay e le coppie omosessuali correvano a San Francisco a procurarsi licenze di matrimonio. In breve, molti conservatori religiosi avevano l´impressione che l´America, ai loro occhi una sorta di Nuova Gerusalemme, si stesse trasformando in Sodoma e Gomorra senza che il "loro" presidente alzasse un dito.
Un primo colpo di avvertimento fu sparato sotto forma di un lungo articolo del Washington Times in cui venivano riportate le affermazioni di numerosi esponenti di spicco dei conservatori religiosi che ventilavano l´ipotesi di un astensionismo da parte dei membri delle loro organizzazioni alle presidenziali di novembre se Bush li avesse lasciati soli su questo importantissimo tema.
«I nostri leader non possono affatto garantire un ampia affluenza alle urne se il presidente dimostra incertezza su cosa è giusto dal punto di vista morale e non prende una posizione autorevole su questo tema come ha fatto per la guerra in Iraq», spiega Sandy Rios, presidentessa di un gruppo denominato Concerned Women of America, per poi aggiungere : «La forza di questo presidente sta nelle sue convinzioni, ma la nostra gente non apprezza la sua indecisione e la mancanza di autorevolezza su un tema fondamentale come la santità del matrimonio».
Bush e i suoi consiglieri politici tengono in alta considerazione le opinioni dei cristiani evangelici, cui il presidente è legato da autentica affinità culturale. Bush ha spesso fatto riferimento nei suoi discorsi alla conversione religiosa grazie alla quale uscì da una situazione imprenditoriale senza sbocco e da un serio problema di alcolismo entrando a far parte di un gruppo di riflessione sulla Bibbia e rinunciando all´alcool. Senza la grazia salvifica di Gesù Cristo, ha detto, oggi non si troverebbe alla Casa Bianca.
E neanche senza il sostegno elettorale dei conservatori religiosi. La destra religiosa divenne una vera e propria forza con l´elezione di Ronald Reagan e la forte concentrazione di evangelici bianchi. Nel 1994 due elettori repubblicani su cinque si definivano conservatori religiosi. La loro imponente presenza negli stati del sud ha contribuito a fare di quella parte del paese una roccaforte pressoché inespugnabile del partito repubblicano. Gran parte degli evangelici non sono benestanti ed hanno ben poco in comune con i grandi imprenditori che finanziano la campagna di Bush, quindi l´esplicito richiamo ai valori religiosi ha conferito ai repubblicani un potere di attrazione trasversale tra le classi sociali. Karl Rove, massimo stratega della campagna elettorale di Bush, ha detto di voler portare alle urne quei conservatori religiosi che non hanno votato nelle passate elezioni (da quattro a sei milioni, secondo le stime).
Bush sembra incarnare la risposta alle preghiere dei conservatori religiosi. A differenza di molti politici che aspirano a conquistare il loro voto, egli parla il loro linguaggio. Bush padre era un repubblicano di un´altra generazione, un metodista cresciuto nello stato settentrionale del Connecticut che raramente faceva accenno alla religione in pubblico. Bush giovane è invece membro di una chiesa battista del sud a forte componente evangelica e non ha nessuna difficoltà a rendere pubblica testimonianza di fede. Gli incontri di preghiera sono oggi di routine alla Casa Banca e i conservatori religiosi occupano posizioni chiave nell´amministrazione. Fu proprio per enfatizzare il tono religioso delle parole del presidente che uno dei principali autori dei discorsi di Bush , cristiano evangelico, ha coniato il famoso termine "asse del male", trasformando la dizione originale "asse dell´odio". Il discorso sullo Stato dell´unione nel 2003 nel riferirsi al «potere miracoloso della bontà, dell´idealismo e della fede del popolo americano» riecheggiava un noto inno protestante.
La "limpidezza morale" di Bush sul terrorismo, la netta divisione del mondo tra "i malfattori" e le forze del bene, ha grande presa sulla base elettorale religiosa. Secondo un recente sondaggio il quarantaquattro per cento degli americani crede che Dio abbia assegnato la terra che oggi è Israele al popolo ebraico, mentre una minoranza significativa pari al trentasei per cento, pensa che lo stato di Israele rappresenti l´adempimento della profezia biblica sulla seconda venuta di Gesù. Benché Bush non sia arrivato ad affermare di essere l´unto del signore, destinato da dio a guidare il paese attraverso la crisi del terrorismo, molti dei suoi seguaci religiosi ne sono convinti.
Eppure, paradossalmente, avere uno dei loro alla Casa Bianca ha creato dei problemi seri ai conservatori religiosi. La raccolta di fondi è in calo, attaccare dall´esterno il potere è più congeniale a questi gruppi che farne parte.
La realtà è che, a dispetto di tutto il loro potere apparente, i conservatori religiosi hanno realizzato sono una minima parte del loro programma politico. A meno di non creare una versione cristiana della shariah non è chiaro come saranno in grado di realizzare la loro visione di una società religiosa. Nulla hanno potuto per capovolgere le diffuse tendenze della società americana contrarie, nella loro ottica, ad una visione religiosa della società: la separazione tra chiesa e stato, il diritto all´aborto, la laicità della scuola, l´alta percentuale di rapporti sessuali prematrimoniali e di divorzi, la conquista di più ampi diritti alle donne e il sempre più deciso sostegno alla causa dei diritti omosessuali.
«Non voglio dar la colpa al presidente, ma i conservatori religiosi sono in politica da 25 anni e, su tutti i fronti che più stanno loro a cuore le cose vanno di male in peggio», commenta Gary Bauer, presidente di American Values. «Il movimento per i diritti dei gay è più forte, la cultura americana più decadente, non è stata salvata la vita di un solo neonato, la pornografia è entrata nel soggiorno di casa e non si può guardare il Super Bowl senza star pronti a cambiare canale».
Parte del problema è legato al fatto che i conservatori religiosi non hanno mai preso coscienza delle contraddizioni del movimento conservatore americano indicate molti anni fa dal sociologo Daniel Bell. Il Partito Repubblicano ha unito sotto la sua ala sostenitori della libera economia di mercato contrari a quasi tutte le restrizioni dello sviluppo commerciale e conservatori religiosi, ma solo il primo gruppo ha davvero realizzato i propri obiettivi: la deregulation dei mercati e l´eliminazione di quasi tutti gli ostacoli allo sviluppo commerciale e alla realizzazione individuale. La "ricerca della felicità" e l´esaltazione della ricchezza e del successo favoriscono lo sviluppo di una società fondata sui diritti individuali, piuttosto che su valori morali assoluti, una società sempre più materialista in cui il titillamento sessuale è un ottimo strumento di vendita e movimenti come quelli dei diritti delle donne e dei gay rappresentano importanti nicchie di mercato.
Inizialmente si pensava che il via libera dei tribunali ai matrimoni gay potesse creare seri problemi ai democratici, ma ironicamente potrebbe crearli ancor più gravi a Bush e ai repubblicani. Anche se la maggioranza degli americani è contraria all´idea del matrimonio tra gay, molti repubblicani sono in imbarazzo di fronte all´ipotesi di modificare la costituzione introducendo una specifica discriminazione nei confronti degli omosessuali. Si dice che persino la moglie di Bush, Laura, sia contraria e il presidente si è trincerato in un silenzio piuttosto eloquente dopo aver annunciato il proprio sostegno alla proposta di emendamento. In realtà è una mossa che potrebbe costargli più voti di quanti gliene possa guadagnare. I repubblicani moderati, come Arnold Schwarzenegger in California e il sindaco di New York Mike Bloomberg hanno indicato che non si opporrebbero ad un disegno di legge che legalizzi i matrimoni gay nei loro rispettivi stati, indebolendo la posizione di Bush all´interno del suo stesso partito. Negli ultimi dieci anni l´atteggiamento degli americani verso l´omosessualità è stato improntato ad una sempre maggiore tolleranza e l´opposizione ai matrimoni gay è particolarmente debole tra i giovani, anche tra quelli credenti. La società di mercato, se non altro, è una società tollerante.
Traduzione di Emilia Benghi
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INTERVISTA A BRUCE LINCOLN, DOCENTE ALLA CHICAGO UNIVERSITY
SE IL BENE E IL MALE NON HANNO SFUMATURE
Molti protestanti evangelici hanno visto l´Iraq come la realizzazione della profezia biblica su Babilonia. Bush non ha mai condannato questa visione escatologica
ROBERTO FESTA
«L´America vive una fase di "great awekening", di risveglio religioso di massa. E´ un dato ricorrente della nostra storia». Bruce Lincoln è professore di religione a Chicago University. Ha scritto Holy Terrors: Thinking About Religion After September 11, bella analisi del ruolo giocato dalle religioni nella fase post-11 settembre, tra guerre sante e war on terror. Dal suo ufficio di Chicago racconta dell´intreccio tra politica e religione, delle trasformazioni dello spirito religioso in America, della fede che ispira l´azione di George Bush.
Bruce Lincoln, che forme prende questo "risveglio religioso" in America?
«Le più diverse. Aumenta la partecipazione alle classi di lettura collettiva della Bibbia. Cresce il numero di chi frequenta i luoghi di culto. Tende a cadere la barriera tra stato e chiesa, da sempre una costante della società americana. Oggi lo stato finanzia gli istituti religiosi che si occupano di assistenza sociale: un fatto impensabile fino a qualche anno fa».
Cambia anche l´equilibrio tra le diverse confessioni?
«Sì, certo. Un tempo le sette protestanti prevalenti erano quelle degli episcopaliani, dei presbiteriani, dei congregazionalisti, espressione delle élite ricche, borghesi, religiosamente moderate. Questi gruppi sono ora in declino. Aumenta invece l´influenza dei protestanti evangelici e carismatici, portatori di una religiosità molto più fervida, semplificata da un punto di vista teologico, meno tollerante, più apertamente razzista e aggressivamente patriarcale, che qui in America muove soprattutto dal Sud e dal Midwest. E´ una religiosità che va di pari passo con uno spostamento a destra del nostro asse politico. In questo momento rappresentano circa il 40-45% della popolazione religiosa. Un dato notevole, e in continuo aumento».
E´ questa la cultura religiosa che alimenta la politica di George Bush?
«Sì, Bush esce dall´ambiente del protestantesimo evangelico. I suoi biografi ufficiali ci dicono che legge la Bibbia ogni giorno. In effetti il presidente mostra una forte vocazione religiosa. Pensa di essere stato chiamato da Dio alla presidenza; dichiara l´unicità storica degli Stati Uniti, un paese scelto da Dio per redimere il mondo. Bush ha anche definito questa sua fede con un nome: "teologia della libertà". E´ qualcosa di molto vago, che lui spiega con la volontà divina di liberare l´intero genere umano da oppressione e schiavitù. In questa visione, le truppe americane sarebbero uno strumento per promuovere la libertà voluta da Dio».
E´ una fede che presenta forti elementi di messianismo, un´ansia profetica di rinnovamento sociale?
«Soltanto in parte. A differenza di Ronald Reagan, Bush non ha mai dato spazio all´escatologismo e alle varie profezie su fine del mondo, Armageddon e scontro finale in Terrasanta. Non ci sono prove di suoi legami con noti millenaristi apocalittici come Tim LaHaye. Piuttosto sono i gruppi religiosi che lo sostengono a lasciarsi andare a spinte apertamente messianiche. Molti protestanti evangelici hanno visto l´Iraq come la realizzazione della profezia biblica su Babilonia; per loro Saddam Hussein è l´Anticristo, Bagdad la moderna Babilonia. Le profezie contenute nell´Apocalisse si sarebbero realizzate proprio a Bagdad. Bush non ha mai incoraggiato esplicitamente queste idee, ma non le ha nemmeno apertamente condannate».
La "teologia della libertà" di George Bush è condivisa da altri membri dell´amministrazione?
«Non esagererei l´influenza della religione nell´attuale amministrazione. Tra i politici più devoti ci sono Donald Evans, ministro del commercio, un vecchio amico di Bush: in Texas frequentavano insieme un gruppo di studio sulla Bibbia. Poi c´è il segretario alla giustizia John Ashcroft, che è il vero "cocco" della destra religiosa. Bush l´ha messo in quella posizione, che corrisponde al ministro degli interni in Europa, proprio per soddisfare i fondamentalisti. Altro elemento molto religioso è il responsabile dei discorsi ufficiali di Bush, Michael Gerson: ha un diploma in teologia ottenuto in una importante istituzione protestante evangelica. Gerson è responsabile di gran parte degli accenni religiosi contenuti nei discorsi di Bush. Il presidente mantiene poi un filo diretto con alcuni leader della destra religiosa come Pat Robertson, Jerry Falwell, James Dobson, gente che ha accesso diretto al presidente: possono chiamarlo in qualsiasi momento, parlargli direttamente. Bush li gestisce con sufficiente senso della responsabilità. Fa ogni tanto qualche dichiarazione simbolica, sulle questioni che li interessano: aborto, matrimoni gay, preghiera a scuola. Ma più di tanto non gli concede».
Non pare molto per un´amministrazione generalmente considerata straordinariamente religiosa.
«Infatti, la retorica religiosa è molto usata, ma limitata a settori ristretti dell´amministrazione. I conservatori vecchio stampo, come il vicepresidente Cheney e il segretario alla difesa Rumsfeld, non sono particolarmente religiosi. Non lo sono per niente Paul Wolfowitz e i neoconservatori, le cui visioni sono essenzialmente politiche e filosofiche, influenzate anzitutto da Leo Strauss. Sono a favore di una politica estera aggressiva, fortemente espansionistica, con elementi di razzismo, ma mai di origine religiosa».
Quindi Bush fa da cerniera tra le due anime dell´amministrazione.
«Sì, il suo ruolo storico è stato proprio questo: connettere le idee dei neoconservatori a un pubblico evangelico di massa. Le strategie politiche del suo governo, soprattutto a livello internazionale, non avrebbero mai avuto il sostegno popolare se non fossero state ricodificate in termini religiosi».
Un´ultima domanda. Nel suo ultimo libro lei analizza in parallelo i discorsi di George Bush e quelli di Osama bin-Laden dopo l´11 settembre. Con quali conclusioni?
«Nelle visioni di entrambi c´è un forte elemento dualistico, di contrasto tra bene e male. Non ci sono sfumature, non c´è territorio possibile di incontro ma soltanto lo sforzo di demonizzare il nemico, di proclamare il diritto e la perfezione spirituale della propria causa. La struttura ideologica e sintattica dei discorsi di Bush e bin-Laden è molto semplice, basata su antitesi chiare, facilmente decifrabili. Entrambi intendono il presente come un´epoca disseminata di pericoli ma piena di opportunità, e vedono se stessi come leader della causa designata a purificare il mondo, a vantaggio della verità, della fede, della decenza, di Dio».
stessa pagina
L´occidente secolarizzato e i gruppi ortodossi
la bibbia presa alla lettera
PIERO CODA
Da tempo si parla di "riconquista delle religioni". Dopo l´11 settembre esse paiono aver ripreso ad occupare la scena del mondo. Eppure mai come oggi il secolarismo è diventato pervasivo. La sfida, dunque, sta nel cogliere la relazione tra questi due fenomeni.
Il concetto di fondamentalismo è nato negli Usa, all´inizio del XX secolo, e designa la posizione di quei gruppi protestanti che, in reazione alla revisione liberale della dottrina cristiana, vollero riaffermare che alcuni articoli della fede e della morale cristiana sono "fondamentali" e come tali non negoziabili: così, ad esempio, Curtis L. Laws nella serie di opuscoli intitolati The Fundamentals, pubblicati e divulgati in grande quantità tra il 1910 e il 1915. Lo fecero con un pesante letteralismo biblico e dogmatico. Il fondamentalismo, in effetti, mentre rischia di giustificare ideologicamente la proiezione del proprio sé sull´immagine del Divino, nasce nel nostro tempo dalla sindrome di autodifesa della propria identità religiosa su due fronti: quello del processo di modernizzazione delle società tradizionali, col restringimento progressivo della capacità d´influenza del fatto religioso nella configurazione dell´esistenza; e quello dell´imporsi, nell´orizzonte della mondializzazione, del pluralismo e, con ciò, del confronto e dell´antagonismo ravvicinato tra le differenti identità religiose.
Nel mondo non occidentale questi due fronti vengono spesso identificati nella prospettiva di una resistenza all´occidentalizzazione forzata, che non esprime, spesso, un rifiuto della modernità, bensì il desiderio di darne in qualche modo una versione altra. Tanto che è legittimo interrogarsi sulla natura politica, oltreché religiosa, e sul carattere modernizzante e ideologizzante, anziché tradizionalista, delle varie componenti di un tale fondamentalismo. O addirittura - come ha fatto René Girard - sul suo carattere di «rivalità mimetica su scala planetaria».
Proprio in questo mutato scenario, il fondamentalismo americano, sino al momento decisamente minoritario, ha ripreso vigore negli ultimi decenni, assumendo una forte coloritura politica grazie alla concezione degli Stati Uniti come "nazione redentrice" (E.L. Tuveson), chiamata a svolgere un ruolo universale. L´attacco alle Twin Towers ha coalizzato queste tendenze, concretandosi nella convinzione che gli Stati Uniti si trovino di fronte a uno scontro decisivo con le forze del male. L´America deve perciò farsi protagonista della battaglia risolutiva contro i due volti del caos che minacciano il mondo: quello del secolarismo postmoderno e relativista in Occidente, e quello del disordine internazionale e del terrorismo, che vanno debellati ricostruendo l´ordine democratico alla luce delle tradizione americane.
Non è un caso che questo progetto, insieme politico e religioso, in occasione della recente guerra all´Iraq abbia cozzato contro «la posizione inequivocabile della Santa Sede», come l´ha definita Giovanni Paolo II nell´incontro del 4 giugno scorso col presidente Bush. Alla base della differente interpretazione del ruolo della fede cristiana nel mondo contemporaneo vi è non solo una diversa concezione della "guerra giusta", ma anche del ruolo attivo e collegiale che è chiamata a giocare la comunità internazionale. Il gesto voluto dal Papa ad Assisi, nel 1986, quando le differenti identità religiose sono state convocate per testimoniare insieme il loro impegno per la pace, sottolinea che per la Chiesa Cattolica, dopo il Vaticano II, non si può più ragionare muovendo unicamente dal proprio punto di vista, e secondo una logica di alternativa o contrapposizione. Bisogna invece pensare e agire a partire dall´unità della famiglia umana, nella fedeltà alla propria identità, certo, ma insieme nel riconoscimento dell´altro e dunque della pluralità arricchente degli attori della nostra storia.
La situazione che oggi viviamo spinge a un salto di qualità. Si richiede l´esperienza e la teorizzazione di una nuova laicità, che - come scriveva Norberto Bobbio - non designi la parte "non credente" o neutra della società rispetto a quella credente, ma esprima l´intera comunità civile come spazio di reciproco riconoscimento e come soggetto etico di responsabilità civile. In tale contesto, il dialogo tra le religioni riveste un preciso significato sociale. Dialogare significa uscire da un´identità chiusa, liberare Dio dalla prigionia in cui costantemente si è tentati d´ingabbiarlo e riconoscere l´altro come portatore di valori positivi nella sua stessa alterità.
La Stampa 9.10.04
A SPRINGFIELD ROCCAFORTE DELLE CHIESE EVANGELICHE E PENTECOSTALI
«Gesù ha salvato Bush
e noi voteremo per lui»
Dal grande palazzo con mille impiegati delle «Assemblee di Dio»
ogni giorno partono sedici tonnellate di materiale di propaganda
inviato a SPRINGFIELD
«I'm voting for Kerry». Sull'adesivo rettangolare giallo con la promessa di voto campeggia la foto di un Osama bin Laden sorridente e il messaggio elettorale non potrebbe essere più esplicito: «Se potesse votare il 2 novembre il leader di Al Qaeda sceglierebbe i democratici». Siamo nell'ufficio di uno dei mille impiegati del quartier generale delle Assemblee di Dio, uno sterminato palazzo a vetri al numero 1445 della Boonville Avenue. E' da qui che ogni giorno partono 16 tonnellate di materiale scritto destinate ad essere distribuite ai 2,5 milioni di fedeli americani e agli altri 48 milioni disseminati in tutto il mondo. Evangeliche e pentecostali le Assemblee di Dio annoverano in tutti gli Stati Uniti 12 mila pastori e, pur essendosi formate nel 1914 in Arkansas, hanno la loro roccaforte nelle trenta chiese di Springfield, Missouri, dove il più noto dei fedeli locali è John Ashcroft, il ministro della Giustizia autore del «Patriot Act» e considerato dai democratici «il regista della limitazione delle libertà civili in nome della guerra al terrore dall'indomani degli attacchi dell'11 settembre».
«Qui siano tutti conservatori - ci dice il reverendo Thomas Trask, più alta autorità spirituale delle Assemblee di Dio - e ci riconosciamo nell'agenda del presidente Bush contro l'aborto, contro i matrimoni gay, contro il terrorismo e per dare importanza alla fede nella vita pubblica». Nell'ufficio di Trask ci sono croci, insegne luminose, statuette di guerrieri medioevali, bibbie e vetrine con in bella vista piatti di ceramica. Da lui dipendono tanto la «Missione mondiale», che coordina attività in 180 Paesi, che quella «americana» al cui interno un ufficio ad hoc ha il compito di assistere spiritualmente i soldati impegnati in prima linea nella guerra al terrorismo. Ai fedeli in divisa che partono per l'Iraq o l'Afghanistan viene consegnato un apposito «kit-religioso». Dentro c'è una piastrina a stelle e strisce da mettere al collo con sopra incise la scritta «United We Stand» e una citazione del salmo 91 «Porterò in salvo chi mi ama», una copia tascabile del Nuovo Testamento con copertina mimetica, una versione più estesa e commentata del salmo 91 intitolata «The Ultimate Shield» (L'estremo scudo, la cui prima edizione venne stampata in occasione della Guerra del Golfo del 1991) e un opuscolo con gli otto comandamenti per i fedeli al fronte. Eccoli: resta assieme agli altri cristiani; vai a messa il più frequentemente possibile; combatti cercando la giustizia anziché la vendetta; riconosci ed evita le tentazioni; accetta il soccorso di Dio; non nascondere la tua fede; leggi in pubblico passi della Bibbia almeno una volta l'anno; prega per riuscire ad amare più profondamente Gesù.
«La fede è un sostegno alla lotta contro il moderno Male del terrorismo - dice Trask -, la fede consente a Bush di non tentennare di fronte alle sfide e la fede aiuta gli uomini chiamati a servire nelle forze armate». C'è tale convinzione dietro la mano che ha redatto il testo della cartina plastificata destinata ai cappellani militari in missione in Iraq, sulla quale sono stampate le regole del «codice di condotta» per i pastori: «Sono un americano e sono pronto a dare la vita per difendere la mia nazione; non mi arrenderò mai di mia volontà; se catturato tenterò di resistere con ogni mezzo; se sarò detenuto manterrò la fede assieme agli altri prigionieri di guerra; non tradirò la mia nazione né gli alleati e la loro causa; non dimenticherò mai che sono un americano che si batte per la libertà, crede in Dio e negli Stati Uniti d'America».
Fede, patriottismo e impegno personale per proteggere la nazione dal terrorismo sono valori e temi che si ritrovano nell'opera dei pastori itineranti da un angolo all'altro dell'America e anche nelle riunioni settimanali di preghiera di circa due ore alle quali ogni martedì partecipano centinaia di impiegati del quartier generale. «Riceviamo le richieste di preghiere dalle persone che durante la settimana chiamano un apposito numero verde - racconta uno dei dipendenti, Keith di 26 anni - e poi noi quando ci riuniamo preghiamo anche per loro».
La preghiera è un perno della fede di Bush: lui le recita al mattino in privato, sono previste all'inizio delle riunioni alla Casa Bianca e un apposito sito Internet coordina tutti quei cittadini che vogliono «pregare per il presidente». «Per capire la fede di Bush bisogna tener presente che è un cristiano rinato - osserva Trask - perché dopo la nascita naturale è passato attraverso una nascita spirituale, trovando in Gesù il suo salvatore e quindi iniziando a chiedersi quale sarebbe stata la sua missione nel mondo, una risposta che arrivò con l'11 settembre, allorché fu chiaro che doveva difendere l'America». Tutto ciò - precisa Trask - non deve però essere confuso con le guerre di religione: «Bush non è in conflitto con l'Islam ma solo con quegli individui che sono dei malvagi».
Nel parcheggio antistante al quartier generale le auto dei dipendenti hanno quasi tutte sul retro un piccolo adesivo tondo bianco, al cui interno c'è solo una «W» con a fianco «2004». E' l'atto di fedeltà e la promessa di voto a George W. Bush. «Da queste parti del Sud Missouri siamo quasi tutti repubblicani - dice una delle centraliniste - anche se a volte abbiamo sentito dire della presenza di qualche democratico».
Trask tuttavia, pur essendo schierato apertamente con Bush, è dotato di una buona dose di realismo e di fronte alle incertezze della campagna elettorale assicura: «Noi non condividiamo le posizioni dei liberal sull'aborto, ma se il 2 novembre dovesse vincere Kerry prima di giudicarlo aspetteremo di vederlo all'opera». E il fatto che in Europa l'opinione pubblica sia contraria a Bush non lo sorprende: «Se non mi sbaglio da voi sono poche le persone che ogni domenica si recano in Chiesa per pregare».
Per tentare di esplorare il legame fra questa roccaforte evangelica e Bush aiuta visitare le librerie locali che offrono un'ampia scelta di titoli della serie di romanzi best seller «Left Behind» nei quali si raccontano le avventure dell'umanità alle prese con l'Apocalisse. «Sì in effetti di questi libri qui se ne vedono in giro parecchi, la gente ci si ritrova, viviamo tempi di grandi pericoli» assicura Cathy, una tassista che peserà oltre novanta chili, con braccia e gambe ricoperte di tatuaggi con motivi religiosi.
INTERVISTA A BRUCE LINCOLN, DOCENTE ALLA CHICAGO UNIVERSITY
SE IL BENE E IL MALE NON HANNO SFUMATURE
Molti protestanti evangelici hanno visto l´Iraq come la realizzazione della profezia biblica su Babilonia. Bush non ha mai condannato questa visione escatologica
ROBERTO FESTA
«L´America vive una fase di "great awekening", di risveglio religioso di massa. E´ un dato ricorrente della nostra storia». Bruce Lincoln è professore di religione a Chicago University. Ha scritto Holy Terrors: Thinking About Religion After September 11, bella analisi del ruolo giocato dalle religioni nella fase post-11 settembre, tra guerre sante e war on terror. Dal suo ufficio di Chicago racconta dell´intreccio tra politica e religione, delle trasformazioni dello spirito religioso in America, della fede che ispira l´azione di George Bush.
Bruce Lincoln, che forme prende questo "risveglio religioso" in America?
«Le più diverse. Aumenta la partecipazione alle classi di lettura collettiva della Bibbia. Cresce il numero di chi frequenta i luoghi di culto. Tende a cadere la barriera tra stato e chiesa, da sempre una costante della società americana. Oggi lo stato finanzia gli istituti religiosi che si occupano di assistenza sociale: un fatto impensabile fino a qualche anno fa».
Cambia anche l´equilibrio tra le diverse confessioni?
«Sì, certo. Un tempo le sette protestanti prevalenti erano quelle degli episcopaliani, dei presbiteriani, dei congregazionalisti, espressione delle élite ricche, borghesi, religiosamente moderate. Questi gruppi sono ora in declino. Aumenta invece l´influenza dei protestanti evangelici e carismatici, portatori di una religiosità molto più fervida, semplificata da un punto di vista teologico, meno tollerante, più apertamente razzista e aggressivamente patriarcale, che qui in America muove soprattutto dal Sud e dal Midwest. E´ una religiosità che va di pari passo con uno spostamento a destra del nostro asse politico. In questo momento rappresentano circa il 40-45% della popolazione religiosa. Un dato notevole, e in continuo aumento».
E´ questa la cultura religiosa che alimenta la politica di George Bush?
«Sì, Bush esce dall´ambiente del protestantesimo evangelico. I suoi biografi ufficiali ci dicono che legge la Bibbia ogni giorno. In effetti il presidente mostra una forte vocazione religiosa. Pensa di essere stato chiamato da Dio alla presidenza; dichiara l´unicità storica degli Stati Uniti, un paese scelto da Dio per redimere il mondo. Bush ha anche definito questa sua fede con un nome: "teologia della libertà". E´ qualcosa di molto vago, che lui spiega con la volontà divina di liberare l´intero genere umano da oppressione e schiavitù. In questa visione, le truppe americane sarebbero uno strumento per promuovere la libertà voluta da Dio».
E´ una fede che presenta forti elementi di messianismo, un´ansia profetica di rinnovamento sociale?
«Soltanto in parte. A differenza di Ronald Reagan, Bush non ha mai dato spazio all´escatologismo e alle varie profezie su fine del mondo, Armageddon e scontro finale in Terrasanta. Non ci sono prove di suoi legami con noti millenaristi apocalittici come Tim LaHaye. Piuttosto sono i gruppi religiosi che lo sostengono a lasciarsi andare a spinte apertamente messianiche. Molti protestanti evangelici hanno visto l´Iraq come la realizzazione della profezia biblica su Babilonia; per loro Saddam Hussein è l´Anticristo, Bagdad la moderna Babilonia. Le profezie contenute nell´Apocalisse si sarebbero realizzate proprio a Bagdad. Bush non ha mai incoraggiato esplicitamente queste idee, ma non le ha nemmeno apertamente condannate».
La "teologia della libertà" di George Bush è condivisa da altri membri dell´amministrazione?
«Non esagererei l´influenza della religione nell´attuale amministrazione. Tra i politici più devoti ci sono Donald Evans, ministro del commercio, un vecchio amico di Bush: in Texas frequentavano insieme un gruppo di studio sulla Bibbia. Poi c´è il segretario alla giustizia John Ashcroft, che è il vero "cocco" della destra religiosa. Bush l´ha messo in quella posizione, che corrisponde al ministro degli interni in Europa, proprio per soddisfare i fondamentalisti. Altro elemento molto religioso è il responsabile dei discorsi ufficiali di Bush, Michael Gerson: ha un diploma in teologia ottenuto in una importante istituzione protestante evangelica. Gerson è responsabile di gran parte degli accenni religiosi contenuti nei discorsi di Bush. Il presidente mantiene poi un filo diretto con alcuni leader della destra religiosa come Pat Robertson, Jerry Falwell, James Dobson, gente che ha accesso diretto al presidente: possono chiamarlo in qualsiasi momento, parlargli direttamente. Bush li gestisce con sufficiente senso della responsabilità. Fa ogni tanto qualche dichiarazione simbolica, sulle questioni che li interessano: aborto, matrimoni gay, preghiera a scuola. Ma più di tanto non gli concede».
Non pare molto per un´amministrazione generalmente considerata straordinariamente religiosa.
«Infatti, la retorica religiosa è molto usata, ma limitata a settori ristretti dell´amministrazione. I conservatori vecchio stampo, come il vicepresidente Cheney e il segretario alla difesa Rumsfeld, non sono particolarmente religiosi. Non lo sono per niente Paul Wolfowitz e i neoconservatori, le cui visioni sono essenzialmente politiche e filosofiche, influenzate anzitutto da Leo Strauss. Sono a favore di una politica estera aggressiva, fortemente espansionistica, con elementi di razzismo, ma mai di origine religiosa».
Quindi Bush fa da cerniera tra le due anime dell´amministrazione.
«Sì, il suo ruolo storico è stato proprio questo: connettere le idee dei neoconservatori a un pubblico evangelico di massa. Le strategie politiche del suo governo, soprattutto a livello internazionale, non avrebbero mai avuto il sostegno popolare se non fossero state ricodificate in termini religiosi».
Un´ultima domanda. Nel suo ultimo libro lei analizza in parallelo i discorsi di George Bush e quelli di Osama bin-Laden dopo l´11 settembre. Con quali conclusioni?
«Nelle visioni di entrambi c´è un forte elemento dualistico, di contrasto tra bene e male. Non ci sono sfumature, non c´è territorio possibile di incontro ma soltanto lo sforzo di demonizzare il nemico, di proclamare il diritto e la perfezione spirituale della propria causa. La struttura ideologica e sintattica dei discorsi di Bush e bin-Laden è molto semplice, basata su antitesi chiare, facilmente decifrabili. Entrambi intendono il presente come un´epoca disseminata di pericoli ma piena di opportunità, e vedono se stessi come leader della causa designata a purificare il mondo, a vantaggio della verità, della fede, della decenza, di Dio».
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L´occidente secolarizzato e i gruppi ortodossi
la bibbia presa alla lettera
PIERO CODA
Da tempo si parla di "riconquista delle religioni". Dopo l´11 settembre esse paiono aver ripreso ad occupare la scena del mondo. Eppure mai come oggi il secolarismo è diventato pervasivo. La sfida, dunque, sta nel cogliere la relazione tra questi due fenomeni.
Il concetto di fondamentalismo è nato negli Usa, all´inizio del XX secolo, e designa la posizione di quei gruppi protestanti che, in reazione alla revisione liberale della dottrina cristiana, vollero riaffermare che alcuni articoli della fede e della morale cristiana sono "fondamentali" e come tali non negoziabili: così, ad esempio, Curtis L. Laws nella serie di opuscoli intitolati The Fundamentals, pubblicati e divulgati in grande quantità tra il 1910 e il 1915. Lo fecero con un pesante letteralismo biblico e dogmatico. Il fondamentalismo, in effetti, mentre rischia di giustificare ideologicamente la proiezione del proprio sé sull´immagine del Divino, nasce nel nostro tempo dalla sindrome di autodifesa della propria identità religiosa su due fronti: quello del processo di modernizzazione delle società tradizionali, col restringimento progressivo della capacità d´influenza del fatto religioso nella configurazione dell´esistenza; e quello dell´imporsi, nell´orizzonte della mondializzazione, del pluralismo e, con ciò, del confronto e dell´antagonismo ravvicinato tra le differenti identità religiose.
Nel mondo non occidentale questi due fronti vengono spesso identificati nella prospettiva di una resistenza all´occidentalizzazione forzata, che non esprime, spesso, un rifiuto della modernità, bensì il desiderio di darne in qualche modo una versione altra. Tanto che è legittimo interrogarsi sulla natura politica, oltreché religiosa, e sul carattere modernizzante e ideologizzante, anziché tradizionalista, delle varie componenti di un tale fondamentalismo. O addirittura - come ha fatto René Girard - sul suo carattere di «rivalità mimetica su scala planetaria».
Proprio in questo mutato scenario, il fondamentalismo americano, sino al momento decisamente minoritario, ha ripreso vigore negli ultimi decenni, assumendo una forte coloritura politica grazie alla concezione degli Stati Uniti come "nazione redentrice" (E.L. Tuveson), chiamata a svolgere un ruolo universale. L´attacco alle Twin Towers ha coalizzato queste tendenze, concretandosi nella convinzione che gli Stati Uniti si trovino di fronte a uno scontro decisivo con le forze del male. L´America deve perciò farsi protagonista della battaglia risolutiva contro i due volti del caos che minacciano il mondo: quello del secolarismo postmoderno e relativista in Occidente, e quello del disordine internazionale e del terrorismo, che vanno debellati ricostruendo l´ordine democratico alla luce delle tradizione americane.
Non è un caso che questo progetto, insieme politico e religioso, in occasione della recente guerra all´Iraq abbia cozzato contro «la posizione inequivocabile della Santa Sede», come l´ha definita Giovanni Paolo II nell´incontro del 4 giugno scorso col presidente Bush. Alla base della differente interpretazione del ruolo della fede cristiana nel mondo contemporaneo vi è non solo una diversa concezione della "guerra giusta", ma anche del ruolo attivo e collegiale che è chiamata a giocare la comunità internazionale. Il gesto voluto dal Papa ad Assisi, nel 1986, quando le differenti identità religiose sono state convocate per testimoniare insieme il loro impegno per la pace, sottolinea che per la Chiesa Cattolica, dopo il Vaticano II, non si può più ragionare muovendo unicamente dal proprio punto di vista, e secondo una logica di alternativa o contrapposizione. Bisogna invece pensare e agire a partire dall´unità della famiglia umana, nella fedeltà alla propria identità, certo, ma insieme nel riconoscimento dell´altro e dunque della pluralità arricchente degli attori della nostra storia.
La situazione che oggi viviamo spinge a un salto di qualità. Si richiede l´esperienza e la teorizzazione di una nuova laicità, che - come scriveva Norberto Bobbio - non designi la parte "non credente" o neutra della società rispetto a quella credente, ma esprima l´intera comunità civile come spazio di reciproco riconoscimento e come soggetto etico di responsabilità civile. In tale contesto, il dialogo tra le religioni riveste un preciso significato sociale. Dialogare significa uscire da un´identità chiusa, liberare Dio dalla prigionia in cui costantemente si è tentati d´ingabbiarlo e riconoscere l´altro come portatore di valori positivi nella sua stessa alterità.
La Stampa 9.10.04
A SPRINGFIELD ROCCAFORTE DELLE CHIESE EVANGELICHE E PENTECOSTALI
«Gesù ha salvato Bush
e noi voteremo per lui»
Dal grande palazzo con mille impiegati delle «Assemblee di Dio»
ogni giorno partono sedici tonnellate di materiale di propaganda
inviato a SPRINGFIELD
«I'm voting for Kerry». Sull'adesivo rettangolare giallo con la promessa di voto campeggia la foto di un Osama bin Laden sorridente e il messaggio elettorale non potrebbe essere più esplicito: «Se potesse votare il 2 novembre il leader di Al Qaeda sceglierebbe i democratici». Siamo nell'ufficio di uno dei mille impiegati del quartier generale delle Assemblee di Dio, uno sterminato palazzo a vetri al numero 1445 della Boonville Avenue. E' da qui che ogni giorno partono 16 tonnellate di materiale scritto destinate ad essere distribuite ai 2,5 milioni di fedeli americani e agli altri 48 milioni disseminati in tutto il mondo. Evangeliche e pentecostali le Assemblee di Dio annoverano in tutti gli Stati Uniti 12 mila pastori e, pur essendosi formate nel 1914 in Arkansas, hanno la loro roccaforte nelle trenta chiese di Springfield, Missouri, dove il più noto dei fedeli locali è John Ashcroft, il ministro della Giustizia autore del «Patriot Act» e considerato dai democratici «il regista della limitazione delle libertà civili in nome della guerra al terrore dall'indomani degli attacchi dell'11 settembre».
«Qui siano tutti conservatori - ci dice il reverendo Thomas Trask, più alta autorità spirituale delle Assemblee di Dio - e ci riconosciamo nell'agenda del presidente Bush contro l'aborto, contro i matrimoni gay, contro il terrorismo e per dare importanza alla fede nella vita pubblica». Nell'ufficio di Trask ci sono croci, insegne luminose, statuette di guerrieri medioevali, bibbie e vetrine con in bella vista piatti di ceramica. Da lui dipendono tanto la «Missione mondiale», che coordina attività in 180 Paesi, che quella «americana» al cui interno un ufficio ad hoc ha il compito di assistere spiritualmente i soldati impegnati in prima linea nella guerra al terrorismo. Ai fedeli in divisa che partono per l'Iraq o l'Afghanistan viene consegnato un apposito «kit-religioso». Dentro c'è una piastrina a stelle e strisce da mettere al collo con sopra incise la scritta «United We Stand» e una citazione del salmo 91 «Porterò in salvo chi mi ama», una copia tascabile del Nuovo Testamento con copertina mimetica, una versione più estesa e commentata del salmo 91 intitolata «The Ultimate Shield» (L'estremo scudo, la cui prima edizione venne stampata in occasione della Guerra del Golfo del 1991) e un opuscolo con gli otto comandamenti per i fedeli al fronte. Eccoli: resta assieme agli altri cristiani; vai a messa il più frequentemente possibile; combatti cercando la giustizia anziché la vendetta; riconosci ed evita le tentazioni; accetta il soccorso di Dio; non nascondere la tua fede; leggi in pubblico passi della Bibbia almeno una volta l'anno; prega per riuscire ad amare più profondamente Gesù.
«La fede è un sostegno alla lotta contro il moderno Male del terrorismo - dice Trask -, la fede consente a Bush di non tentennare di fronte alle sfide e la fede aiuta gli uomini chiamati a servire nelle forze armate». C'è tale convinzione dietro la mano che ha redatto il testo della cartina plastificata destinata ai cappellani militari in missione in Iraq, sulla quale sono stampate le regole del «codice di condotta» per i pastori: «Sono un americano e sono pronto a dare la vita per difendere la mia nazione; non mi arrenderò mai di mia volontà; se catturato tenterò di resistere con ogni mezzo; se sarò detenuto manterrò la fede assieme agli altri prigionieri di guerra; non tradirò la mia nazione né gli alleati e la loro causa; non dimenticherò mai che sono un americano che si batte per la libertà, crede in Dio e negli Stati Uniti d'America».
Fede, patriottismo e impegno personale per proteggere la nazione dal terrorismo sono valori e temi che si ritrovano nell'opera dei pastori itineranti da un angolo all'altro dell'America e anche nelle riunioni settimanali di preghiera di circa due ore alle quali ogni martedì partecipano centinaia di impiegati del quartier generale. «Riceviamo le richieste di preghiere dalle persone che durante la settimana chiamano un apposito numero verde - racconta uno dei dipendenti, Keith di 26 anni - e poi noi quando ci riuniamo preghiamo anche per loro».
La preghiera è un perno della fede di Bush: lui le recita al mattino in privato, sono previste all'inizio delle riunioni alla Casa Bianca e un apposito sito Internet coordina tutti quei cittadini che vogliono «pregare per il presidente». «Per capire la fede di Bush bisogna tener presente che è un cristiano rinato - osserva Trask - perché dopo la nascita naturale è passato attraverso una nascita spirituale, trovando in Gesù il suo salvatore e quindi iniziando a chiedersi quale sarebbe stata la sua missione nel mondo, una risposta che arrivò con l'11 settembre, allorché fu chiaro che doveva difendere l'America». Tutto ciò - precisa Trask - non deve però essere confuso con le guerre di religione: «Bush non è in conflitto con l'Islam ma solo con quegli individui che sono dei malvagi».
Nel parcheggio antistante al quartier generale le auto dei dipendenti hanno quasi tutte sul retro un piccolo adesivo tondo bianco, al cui interno c'è solo una «W» con a fianco «2004». E' l'atto di fedeltà e la promessa di voto a George W. Bush. «Da queste parti del Sud Missouri siamo quasi tutti repubblicani - dice una delle centraliniste - anche se a volte abbiamo sentito dire della presenza di qualche democratico».
Trask tuttavia, pur essendo schierato apertamente con Bush, è dotato di una buona dose di realismo e di fronte alle incertezze della campagna elettorale assicura: «Noi non condividiamo le posizioni dei liberal sull'aborto, ma se il 2 novembre dovesse vincere Kerry prima di giudicarlo aspetteremo di vederlo all'opera». E il fatto che in Europa l'opinione pubblica sia contraria a Bush non lo sorprende: «Se non mi sbaglio da voi sono poche le persone che ogni domenica si recano in Chiesa per pregare».
Per tentare di esplorare il legame fra questa roccaforte evangelica e Bush aiuta visitare le librerie locali che offrono un'ampia scelta di titoli della serie di romanzi best seller «Left Behind» nei quali si raccontano le avventure dell'umanità alle prese con l'Apocalisse. «Sì in effetti di questi libri qui se ne vedono in giro parecchi, la gente ci si ritrova, viviamo tempi di grandi pericoli» assicura Cathy, una tassista che peserà oltre novanta chili, con braccia e gambe ricoperte di tatuaggi con motivi religiosi.