l'articolo dell'Unità del 27 settembre
a pagina 27
taglio basso, a tutta pagina
LA STORIA DELL'UOMO, TRA CHIESE E RIVOLUZIONI
di Luigi Cancrini
in risposta ad una lettera di Ugo Pirro
a pagina 27
taglio basso, a tutta pagina
LA STORIA DELL'UOMO, TRA CHIESE E RIVOLUZIONI
di Luigi Cancrini
in risposta ad una lettera di Ugo Pirro
Gentile professor Cancrini,
navigando su Internet ho avuto solo oggi notizia del suo intervento al convegno indetto dal professor Fagioli nel lontano 1996 e in cui lei espresse un garbato dissenso circa la tesi su Freud sostenute dal dinamico promotore del convegno. Non ne so molto, ma da quanto sento dire dai suoi seguaci e pazienti Fagioli dedica a Freud lo stesso disprezzo che merita un mestatore. Ovviamente non intendo negare il diritto al dissenso, ma colpisce il tono e lo stile che i seguaci del professor Fagioli usano nei riguardi di un grande pensatore del Novecento.
Mi chiedo, e le chiedo, che differenza passa fra l'influenza intellettuale che un maestro esercita sugli allievi e la sudditanza psicologica che un uomo riesce ad esercitare sui giovani? Dove, infine, finisce la terapia e la libertà di insegnamento e dove inizia la sudditanza psicologica?
Caro Ugo,
vorrei partire, per rispondere ad un quesito difficile, da un articolo comparso nei primi anni '70 di Ignazio Matte Blanco, uno psicoanalista che è stato uno dei più autorevoli tra i didatti, miei e di Fagioli, nell'Istituto di Psicoanalisi dove tutti e due allora studiavamo. Dedicato al problema dell'ortodossia nelle istituzioni, l'articolo rifletteva sulla evoluzione nel tempo di tre grandi Chiese della sua e della nostra storia: quella propriamente detta di Roma e dei Papi, quella comunista dell'Internazionale e quella psicanalitica, dell'International Psychoanalitic Association, il gruppo che ufficialmente ha raccolto l'eredità culturale e scientifica di Freud. Blanco sosteneva che quelle tre chiese si erano formate intorno al tentativo di difendere la vitalità di un discorso originale e creativo dalla diffidenza e dalle resistenze che ad esso veniva opposto da una realtà sociale che li sentiva come scomodi (perché culturalmente o socialmente rivoluzionari) e che esse avevano svolto, da questo punto di vista, una fuzione estremamente utile alla crescita complessiva di tutti. Ma sostenendo anche che, una volta adempiuta questa funzione, esse si erano trasformate progressivamente in organizzazioni interessate soprattutto a conservare se stesse.
Espressione diretta di quello che psicanaliticamente è l'istinto di morte, l'ortodossia e i suoi rituali erano diventati, secondo Matte Blanco, il centro delle attività proprie di istituzioni in crisi arrivate a rinnegare, nel tempo, il discorso intorno a cui si erano strutturate: come accade nella Leggenda del Grande Inquisitore del capolavoro di Dostojevskji in cui il capo della «Santa Inquisizione» decide, per salvare i Vangeli, di condannare di nuovo a morte Gesù.
Forte e soggettiva, la tesi di Matte Blanco è particolarmente adatta a una riflessione sulla vicenda umana e scientifica di Massimo Fagioli. Non vestivamo alla marinara ma eravamo tutti e due molto giovani nel tempo, quello del '68, in cui la contraddizione inaccettabile sembrava proprio quella di una psicoanalisi nata come ascolto creativo e trasformata dall'istituzione in una pratica di normalizzazione: una pratica in cui l'analista diventava l'alleato dei genitori e di una autorità scossa dal movimento dei giovani e dal bisogno di una nuova libertà della coscienza. Tecnicamente, in una pratica in cui (Fagioli lo scriveva in «Istinto di morte e conoscenza», 1970) «il silenzio dell'analista ed il suo atteggiamento aspettante» diventavano strumento della conservazione nella misura in cui lo portavano ad una «deresponsabilizzazione inaccettabile e a una non accettazione sostanziale delle dinamiche inconsce del paziente».
Condivisa da molti, la critica di Fagioli fu alla base, allora, di molti abbandoni dell'Istituto e di una chiusura a riccio di quelli che non la accettavano: non solo in Italia, ma anche altrove, se pensiamo al modo in cui altri grandi "eretici", come Jacques Lacan o Erich Fromm, si dedicarono, su strade diverse, a un tentativo analogo di squarciare il velo dell'ortodossia. Nel nome di un ritorno, sempre, a quello che essi ritenevano il messaggio originale di Freud.
Gli esiti di queste ribellioni furono ovviamente assai diversi. Positivi per la chiesa psicoanalitica che ne ha preso atto, dopo il rifiuto iniziale, aprendosi a pratiche molto meno rigide. Legati, nel caso di Fagioli come in quello di Lacan, alla esuberanza di una creatività che tendeva ad esprimesri liberamente nelle situazioni duali e gruppali ma che difficilmente arrivava, però, alle formalizzazioni chiare, comprensibili e univoche necessarie comunque per dialogare con quelli che hanno fatto un percorso diverso.
Al di là delle intenzioni da cui si è partiti, caro Ugo, quello che ha avuto sempre più importanza nei gruppi che si ispirano alla pratica e alla teoria di Massimo Fagioli è stato paradossalmente e di nuovo il problema dell'ortodossia. Favorito dall'isolamento culturale in cui il gruppo è stato messo all'inizio ma di cui lo stesso gruppo ha finito in parte per compiacersi. Ma favorito, anche, dal fascino della persona e dalla sua difficoltà, specifica, a lasciare che il vero protagonista delle sedute e delle terapie sia il paziente. Definendo «difficile da realizzare se non addirittura impossibile» l'idea che sia proprio lui a «ricavare dai suoi ricordi le dinamiche inconsce difettose del passato per correggerle». Fagioli è arrivato a determinare, infatti, una situazione in cui l'intervento "attivo" diventa, a volte, troppo attivo: suggerendo o imponendo quello che non c'è a qualcuno (allievo o paziente: che sono, non a caso e troppo spesso, la stessa persona) che ha bisogno di un altro che gli imponga qualcosa.
Il mio ideale di terapeuta, nel gruppo e nella vita, è quello del maestro più caro, Vincent Morrone: uno davvero «capace di confondersi con la tappezzeria della stanza in cui lavora» insegnando che la psicoterapia è soprattutto attivazione delle risorse. L'uomo sta bene quando non ha bisogno di Chiese che lo proteggono dal dubbio e dalla paura e noi avremmo tutti bisogno di sedi tranquille (non di platee piene di spettatori entusiasti) in cui discutere di tutto questo anche con Massimo Fagioli.
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navigando su Internet ho avuto solo oggi notizia del suo intervento al convegno indetto dal professor Fagioli nel lontano 1996 e in cui lei espresse un garbato dissenso circa la tesi su Freud sostenute dal dinamico promotore del convegno. Non ne so molto, ma da quanto sento dire dai suoi seguaci e pazienti Fagioli dedica a Freud lo stesso disprezzo che merita un mestatore. Ovviamente non intendo negare il diritto al dissenso, ma colpisce il tono e lo stile che i seguaci del professor Fagioli usano nei riguardi di un grande pensatore del Novecento.
Mi chiedo, e le chiedo, che differenza passa fra l'influenza intellettuale che un maestro esercita sugli allievi e la sudditanza psicologica che un uomo riesce ad esercitare sui giovani? Dove, infine, finisce la terapia e la libertà di insegnamento e dove inizia la sudditanza psicologica?
Ugo Pirro
Caro Ugo,
vorrei partire, per rispondere ad un quesito difficile, da un articolo comparso nei primi anni '70 di Ignazio Matte Blanco, uno psicoanalista che è stato uno dei più autorevoli tra i didatti, miei e di Fagioli, nell'Istituto di Psicoanalisi dove tutti e due allora studiavamo. Dedicato al problema dell'ortodossia nelle istituzioni, l'articolo rifletteva sulla evoluzione nel tempo di tre grandi Chiese della sua e della nostra storia: quella propriamente detta di Roma e dei Papi, quella comunista dell'Internazionale e quella psicanalitica, dell'International Psychoanalitic Association, il gruppo che ufficialmente ha raccolto l'eredità culturale e scientifica di Freud. Blanco sosteneva che quelle tre chiese si erano formate intorno al tentativo di difendere la vitalità di un discorso originale e creativo dalla diffidenza e dalle resistenze che ad esso veniva opposto da una realtà sociale che li sentiva come scomodi (perché culturalmente o socialmente rivoluzionari) e che esse avevano svolto, da questo punto di vista, una fuzione estremamente utile alla crescita complessiva di tutti. Ma sostenendo anche che, una volta adempiuta questa funzione, esse si erano trasformate progressivamente in organizzazioni interessate soprattutto a conservare se stesse.
Espressione diretta di quello che psicanaliticamente è l'istinto di morte, l'ortodossia e i suoi rituali erano diventati, secondo Matte Blanco, il centro delle attività proprie di istituzioni in crisi arrivate a rinnegare, nel tempo, il discorso intorno a cui si erano strutturate: come accade nella Leggenda del Grande Inquisitore del capolavoro di Dostojevskji in cui il capo della «Santa Inquisizione» decide, per salvare i Vangeli, di condannare di nuovo a morte Gesù.
Forte e soggettiva, la tesi di Matte Blanco è particolarmente adatta a una riflessione sulla vicenda umana e scientifica di Massimo Fagioli. Non vestivamo alla marinara ma eravamo tutti e due molto giovani nel tempo, quello del '68, in cui la contraddizione inaccettabile sembrava proprio quella di una psicoanalisi nata come ascolto creativo e trasformata dall'istituzione in una pratica di normalizzazione: una pratica in cui l'analista diventava l'alleato dei genitori e di una autorità scossa dal movimento dei giovani e dal bisogno di una nuova libertà della coscienza. Tecnicamente, in una pratica in cui (Fagioli lo scriveva in «Istinto di morte e conoscenza», 1970) «il silenzio dell'analista ed il suo atteggiamento aspettante» diventavano strumento della conservazione nella misura in cui lo portavano ad una «deresponsabilizzazione inaccettabile e a una non accettazione sostanziale delle dinamiche inconsce del paziente».
Condivisa da molti, la critica di Fagioli fu alla base, allora, di molti abbandoni dell'Istituto e di una chiusura a riccio di quelli che non la accettavano: non solo in Italia, ma anche altrove, se pensiamo al modo in cui altri grandi "eretici", come Jacques Lacan o Erich Fromm, si dedicarono, su strade diverse, a un tentativo analogo di squarciare il velo dell'ortodossia. Nel nome di un ritorno, sempre, a quello che essi ritenevano il messaggio originale di Freud.
Gli esiti di queste ribellioni furono ovviamente assai diversi. Positivi per la chiesa psicoanalitica che ne ha preso atto, dopo il rifiuto iniziale, aprendosi a pratiche molto meno rigide. Legati, nel caso di Fagioli come in quello di Lacan, alla esuberanza di una creatività che tendeva ad esprimesri liberamente nelle situazioni duali e gruppali ma che difficilmente arrivava, però, alle formalizzazioni chiare, comprensibili e univoche necessarie comunque per dialogare con quelli che hanno fatto un percorso diverso.
Al di là delle intenzioni da cui si è partiti, caro Ugo, quello che ha avuto sempre più importanza nei gruppi che si ispirano alla pratica e alla teoria di Massimo Fagioli è stato paradossalmente e di nuovo il problema dell'ortodossia. Favorito dall'isolamento culturale in cui il gruppo è stato messo all'inizio ma di cui lo stesso gruppo ha finito in parte per compiacersi. Ma favorito, anche, dal fascino della persona e dalla sua difficoltà, specifica, a lasciare che il vero protagonista delle sedute e delle terapie sia il paziente. Definendo «difficile da realizzare se non addirittura impossibile» l'idea che sia proprio lui a «ricavare dai suoi ricordi le dinamiche inconsce difettose del passato per correggerle». Fagioli è arrivato a determinare, infatti, una situazione in cui l'intervento "attivo" diventa, a volte, troppo attivo: suggerendo o imponendo quello che non c'è a qualcuno (allievo o paziente: che sono, non a caso e troppo spesso, la stessa persona) che ha bisogno di un altro che gli imponga qualcosa.
Il mio ideale di terapeuta, nel gruppo e nella vita, è quello del maestro più caro, Vincent Morrone: uno davvero «capace di confondersi con la tappezzeria della stanza in cui lavora» insegnando che la psicoterapia è soprattutto attivazione delle risorse. L'uomo sta bene quando non ha bisogno di Chiese che lo proteggono dal dubbio e dalla paura e noi avremmo tutti bisogno di sedi tranquille (non di platee piene di spettatori entusiasti) in cui discutere di tutto questo anche con Massimo Fagioli.