Gazzetta del Mezzogiorno 3.10.04
Adriano Petta e Antonino Colavito
Ipazia, storia privata
di una martire della scienza
La pensatrice pagana uccisa dai cristiani nell'Egitto del 400
di Diego Zandel
Dopo aver raccontato la storia dell'eretico Giordano Nemorario e della strage dei Catari rispettivamente nei romanzi Eresia pura e Roghi fatui (entrambi recensiti su queste colonne), Adriano Petta, scrittore antagonista per eccellenza, ci riporta di nuovo a una di quelle storie di oscurantismo, che l'autore ha nei suoi strali, con Ipazia, scienziata alessandrina.
A dispetto del titolo, che si limita al nome della protagonista, la prima donna scienziata dell'umanità, colpevole due volte, per credere alla scienza invece che ai dogmi della Chiesa e per essere donna, il libro non è una biografia, ma, come quelli che l'hanno preceduto, un romanzo. Anche se il personaggio è rimasto nella storia del pensiero per le sue idee e invenzioni (a lei si devono, tra l'altro l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro), anche se tutti i libri o quasi che ha scritto sono stati bruciati, anche se di lei restano solo poche testimonianze da parte di chi l'ha conosciuta, Ipazia, proprio per questo, non può che ispirare un romanzo.
Ed eccolo, dunque. Petta l'ha firmato insieme ad Antonino Colavito, i cui interventi, proiettati a far capire il pensiero della donna, si alternano ai capitoli strettamente narrativi del primo, che questa volta si è messo nei panni dell'amato allievo egiziano Shalim, che diventa così, secondo un metodo che è tipico di Petta, l'io narrante della vicenda. La quale ci porta dritti alla grande Alessandria del 400 d. C., sede di quella Biblioteca, per antonomasia, che rappresentava tutto il sapere dell'epoca.
La situazione però, al momento in cui comincia il romanzo, 1 luglio 391, non è più quella florida di un tempo. Manca la carta di papiro che viene requisita dagli intellettuali del potere temporale della Chiesa che si sta estendendo nel vuoto lasciato dal declino dell'impero romano, ormai agonizzante. Il piano che si sta attuando è terribile: distruzione della Biblioteca, soppressione della scienza e degli scienziati, cancellazione del paganesimo e del libero pensiero, così come era inteso allora. Mentre viene interdetto ai vescovi di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Tolomeo, Pitagora, prendono posto i grandi teorici del pensiero cristiano, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Agostino, Cirillo, diventati poi santi. Epoca quest'ultima pressoché rimossa dalla coscienza del mondo occidentale.
In questo contesto si inserisce la figura, per molti versi tragica, di Ipazia che pagherà tutte le conseguenze dei cambiamenti epocali, fino a quando, l'8 marzo (evidentemente data fatale per le donne) del 415, il suo corpo sarà orribilmente straziato. Pagine quest'ultime di grande commozione, segnate anche, nel romanzo, dalla testimonianza dell'amore che ha unito alla donna Shalim, che le sopravviverà giusto il tempo per raccontare la sua storia, come un'apocrifa testimonianza postuma.
Il ritmo che Petta ha impresso alla narrazione permette una lettura generosa, quasi vorace. Perché ciò che si racconta sono scoperte, fughe, violenze che annichiliscono e riempiono il lettore della stessa passione e rabbia con la quale l'autore deve aver scritto il libro. C'è da domandarsi a riguardo quanto abbiano giovato, alla dinamica narrativa, gli innesti più di carattere saggistico che narrativo del Colavito. E' come se il primo autore, Petta, fatto il suo racconto, avesse sentito il bisogno di inserire la trama romanzesca in un quadro di riferimento scientifico e filosofico che rendesse la figura e il pensiero di Ipazia più aderente alla verità storica. Evidentemente gli premeva più il discorso «politico» in senso ampio, rispetto a quello più strettamente narrativo e commercialmente appetibile del romanzo storico tout-court. D'altra parte o si è scrittori antagonisti fino in fondo o no. E ciò vale nei confronti dei lettori, siano essi dal palato facile o meno, così come delle leggi del mercato editoriale per il quale il consumo, l'omologazione in genere, del prodotto culturale vale più di un'idea di lotta e del sapere.
«Ipazia, scienziata alessandrina» di Adriano Petta e Antonino Colavito (Lampi di Stampa ed., pp. 285, euro 15,00).
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