martedì 7 dicembre 2004

Hans Georg Gadamer
nazista anche lui come il suo maestro

Il Sole 24 Ore 5.12.04
Apolitico o compromesso col nazismo? Grondin elude la questione, concentrandosi sulla biografia intellettuale
GADAMER TRA I DUE TOTALITARISMI
Dopo i primi discorsi filosovietici si adattò al Terzo Reich
La longevità gli regalò una nuova felice stagione filosofica
Di Maria Bettetini

"Sono un anacronismo vivente, perché non appartengo più autenticamente all'oggi e tuttavia sono ancora qui". Nato nel 1900, morto nel 2002, Gadamer è riuscito a essere allievo di Heidegger, protettore di Habermas, in dialogo con Derrida: qualunque sua biografia diventa di necessità un volume di storia della filosofia e di storia della cultura del Novecento, e naturalmente anche delle polemiche che sorgono da ogni rilettura storica. E' appena uscita la traduzione italiana di Gadamer. Eine Biographie, monumentale lavoro di Jean Grondin, canadese allievo di Gadamer. L'edizione tedesca è del 1999 (recensita su queste pagine da Maurizio Ferraris il 18 aprile 1999), bonariamente approvata dallo stesso Gadamer. Quella che abbiamo a disposizione ora è una versione che comprende anche l'epilogo, con i diversi aggiornamenti del 2003, ancora inedita in Germania, ma uscita l'anno scorso negli Stati Uniti, dove è stata accusata di eccessi agiografici, soprattutto, come è ovvio, a proposito dell'atteggiamento di Gadamer nel periodo del Terzo Reich, durante il quale non smise un solo giorno di essere un docente universitario.
Dal libro non escono elementi nuovi: si sapeva della prudente non compromissione dell'autore di Verità e metodo, dell'ininterrotta ascesa accademica che lo portò a diventare rettore dell'università di Lipsia, all'indomani del termine della guerra, nel 1946, e del suo rapido "rientro" nella Germania occidentale dopo soli tre anni. Forse non era noto che avesse accettato di essere supplente di amici come Karl Löwith ed Erich Frank, sospesi dall'insegnamento in quanto ebrei, ma è nota la continuità con quelle amicizie, mentre negli anni Trenta e fino al 1944 quella che viene tenuta per così dire in sospeso è la deferente amicizia con Martin Heidegger, palesemente compromesso col nazismo (fino al '34, poi autosospesosi dalla carica di rettore e ritirato) e iscritto al partito.
Gadamer non entrò nel partito, si iscrisse a circoli sportivi e culturali dipendenti da questo, e non evitò di frequentare addirittura, nel 1936, per ottenere l'ordinariato, una scuola di rieducazione nazista. A ben vedere nemmeno questa è una novità, e ricorda vicissitudini accademite di tutti i tempi.
Meno noti erano i primi discorsi di Gadamer a Lipsia, in una Germania in via di sovietizzazione, entusiasticamente accoglienti verso gli studenti lavoratori, o i lavoratori studenti, nucleo dirigente del futuro in vista della dittatura del proletariato. Grondin tenta di mostrare e dimostrare: mostrare impietosi documenti e insieme dimostrare l'ineluttabilità del comportamento di un docente universitario che doveva soprattutto pensare a mantenere la famiglia e in secondo luogo salvare la grande tradizione culturale e filosofica tedesca, continuando a lavorare in qualunque condizione storica e politica, anzi facendo della "apoliticità" un valore. Questo concetto di "emigrazione interiore" (che a noi potrebbe suonare come un Aventino interiore, o anche solo un Aventino) non soddisfa i virulenti critici statunitensi, Quel Richard Wolin che fa suoi gli animosi studi di Teresa Orozco per tacciare Gadamer non di apoliticità ma di connivenza col nazismo, non di opportunismo ma di complicità intellettuale e ideologica. Tanto scandalo, ora concentrato nell'ultimo lavoro The Sediction of Unreason: The Intellectual Romance with Fascism from Nietzsche to Postmodernism (Princeton University Press, 2004), non può essere prodotto solo da un giudizio etico a posteriori sempre facile, e infatti le accuse statunitensi non sono volte al signor Gadamer, ma all'autore di Verità e metodo, non alla vita di un uomo, con colpi di genio e meschinità comuni, ma all'ermeneutica. La filosofia dell'interpretare, dell'avere dalle cose le risposte che si sono cercate con le proprie pregiudizievoli domande, il pensiero che si astiene dal giudizio sulla storia perché se ne sente parte: questi sono i veri accusati dai nemici di Gadamer.
La minuziosa ricostruzione di Grondin, debitrice alla formazione del suo autori di uno stile non propriamente scorrevole, premia tuttavia il lettore che si trova a comporre i tassilli di un secolo e insieme di un ritratto terribilmente umano. Si tratta di una "biografia intellettuale" (accompagnata da accurate bibliografie di e su Gadamer), quindi una via di mezzo, ancora una volta, rispetto a un'analisi interna alle sole opere oppure a un racconto di fatti e amori del filosofo, che direbbero, come voleva la Arendt, solo che cosa Gadamer fu e non chi fu. Forse l'aspetto più entusiasmante della biografia, tra minuetti accademici e tragedie storiche, è proprio il fatto di poter seguire il faticoso sorgere del pensiero di Gadamer, dell'ermeneutica filosofica già presente nei corsi sull'arte degli anni Trenta, ma divenuta libro solo nel 1960. Che ogni ricerca nel campo della storia della filosofia sia essa stessa filosofia non è piaciuto e non piace a molti, che preferirebbero separare le due professioni come sono separati l'ornitologo e l'entomologo. Che questa unione abbia prodotto dei mostri, illegibili per arroganza e nebulosità, era noto allo stesso Gadamer, il primo a riprendere con ironia lo scherzo dei colleghi di Marburgo, che definivano "gad" l'unità di misura della complicazione inutile. Ma che si possa liquidare come un sostenitore di Hitler il centenario vecchietto che amava l'Italia e che timidamente si sforzò di "comprendere ciò che ci prende", sembra eccessivo. A settant'anni, libero dall'accademia, si era accorto di poter dire quello che prima aeva dovuto opportunamente e opportunisticamente gestire: ora poteva tornare a Platone, spiegare che nessuno si sarebbe atteso tali esiti dalla salita al potere di Hitler, giustificare quel che gli pareva. Il ritratto di un accademico che ha avuto la fortuna di sopravvivere al suo pensionamento, sfortunamente vissuto in un secolo in cui almeno un paio di volte si è stati costretti a prendere delle posizioni.

Jean Grondin, "Gadamer. Una biografia", a cura di G.B. Demarta, Bompiani, Milano 2004, pagg. XXXI + 737, € 26,00.

Il Sole 24 Ore 5.12.04
Il doppio Edipo di Hans Georg
di Maurizio Ferraris

Nel 1819 un sacerdote cattolico, Francesco Zamboni, scrisse un Saggio di una memoria sopra la necessità di prevenir gl'incauti contro gli artifici di alcuni professori d'Ermeneutica, cioè dei protestanti che rivendicavano la libera interpretazione delle scritture. Chissà come ci sarebbe rimasto se avesse potuto prevedere che, poco più di centocinquant'anni dopo, Gadamer sarebbe stato ricevuto col massimo degli onori da Karol Wojtila a Castelporziano. Mistero della fede? No. Il fatto è che Gadamer, di cui Franco Bianco ci propone oggi una presentazione che non ha equivalenti nel panorama internazionale (indubbiamente, è più chiaro e organico del Cambridge Companion to Gadamer del 2002, curato da Robert J. Dostal e con contributi di studiosi del valore di Richard J. Bernstein, Charles Taylor e Robert B. Pippin), è riuscito a fornire una versione dell'ermeneutica talmente ecumenica da prevenire proprio gli estremismi paventati dallo Zamboni.
Come è possibile? Di questo, si danno giustificazioni un po' vaghe, come, ad esempio, "l'innato senso dello stile" connaturato a Gadamer, il che, ammettiamolo, sembra poco. Tra i meriti di Franco Bianco c'è quello di fornire una motivazione biografica, che non è indulgente come quella di Jean Grondin e mette in chiaro il nocciolo psicologico della riflessione di Gadamer. Che è poi un edipo micidiale, una lotta che ha dovuto combattere contro il padre, professore di chimica, e contro il maestro accademico, Heidegger. Il padre, sul letto di morte, chiede a Heidegger se suo figlio sarebbe mai stato capace di combinare qualcosa nella vita (cosa che, lo si ammetterà) potrebbe compromettere la vita di chiunque); e Gadamer confesserà che sino a cinquant'anni suonati l'ombra di Heidegger gli incombeva dietro alle spalle tutte le volte che voleva incominciare a scrivere.
Gadamer, così, ha sempre giocato di rimessa (il suo sport preferito era il tennis), reagendo e mitigando. Il che spiega la genesi tardiva del libro che lo rese famoso, Verità e metodo, uscito quando Gadamer aveva sessant'anni, ma che gli regalò altri quarant'anni di vita felice e attiva, grazie a quella che sua moglie era solita chiamare "pillola applauso". Ma in quella genesi troviamo la risposta precisa ai due edipi della sua vita. Da una parte, la ripulsa nei confronti delle scienze naturali, ossia dell'immagine paterna e dispotica; dall'altra, il rifiuto dell'estremismo heideggeriano. E in tutto questo lavoro, per così dire, edipico, ma di un Edipo ben poco bellicoso, Gadamer ha trovato aiuto - come Bianco ha il merito di sottolineare - nella filologia classica, in un ideale di equilibrio, addolcito con un estetismo tutto moderno. Come dire che alla diade dei due padri terribili contrappose il filologo Paul Freidländer e il poeta Stefan George, il classicismo e l'estetismo.
Ci sono molti modi, per l'appunto biografici, di spiegare questo atteggiamento accomodante, quello di un convinto anticomunista che però, diversamente dagli aristocratici e proletari francesi della Divisione Charlemagne, non si sarebbe mai trovato a difendere il Bunker della Cancelleria nel 1945: anzi, come ricorda Maria Bettetini, l'anno dopo assunse il rettorato nella Lipsia occupata dai Russi. E sono sicuramente legittimi. Tuttavia, è doveroso avanzare un dubbio sulla teoria. L'idea di fondo dell'ermeneutica è quella di una mediazione infinita con le circostanze storiche. Non si è mai presentato, a Gadamer, un pensiero come quello di Wittgenstein, secondo cui a un certo punto il nostro lavorio interpretativo trova un limite, uno strato di roccia che non si lascia scalfire: l'interpretazione, almeno in questioni pratiche che ci toccano più da vicino, non può andare avanti all'infinito. Presto o tardi, si dovrà prendere una decisione, ma si può star certi che, se si lascia che a decidere sia la storia, questa decisione non sarà eroica.

Franco Bianco, "Introduzione a Gadamer", Laterza, Roma-Bari 2004, pagg. 218, € 10,00.