Viaggio esclusivo nella biblioteca del dittatore
Dimenticata da 50 anni
I SEGRETI DELLA STALINKA
di Armando Torno
Stalin morì alle 21,50 del 5 marzo 1953 nella dacia di Kunzevo, dove dormiva ogni notte dopo la scomparsa della moglie, a una ventina di chilometri da Mosca; luogo che oggi è diventato un quartiere della città. L'ictus, l'agonia di alcuni giorni, l'isolamento. Questa, almeno, è la versione ufficiale con le inevitabili varianti sui tempi. Non cercheremo di scoprire la verità sulle cause, che si fanno sempre più misteriose, ci accontenteremo semplicemente di osservare che nella ricordata dacia - una delle sei di cui il «piccolo padre» poteva disporre - vi era la parte più consistente della sua biblioteca. O meglio, lì Stalin raccolse circa 25 mila volumi, molti dei quali avevano sue note, sottolineature, dediche, segni di appartenenza. Anche se il dittatore possedeva opere rarissime - persino manoscritti tardomedievali - non era un bibliofilo. Marx soleva ripetere: «I libri sono i miei schiavi»; Stalin applicò la battuta alla lettera e li lesse sempre con la matita in mano.
La nostra storia comincia con una inevitabile domanda: che fine ha fatto questa biblioteca? Il professor Boris Ilizarov, docente di archivistica nella capitale russa e membro dell'Accademia, autore del saggio La vita segreta di Stalin (Mosca 2004), ha accettato di accompagnare chi scrive tra i misteri di quel che è rimasto della raccolta, o meglio della Stalinka: di essa sono sopravvissuti circa 5 mila volumi. Diremo innanzitutto che ogni dacia aveva una sua biblioteca, ma non ci è pervenuto alcun catalogo e tutto fa supporre che ci fossero anche opere doppie, triple o quadrupie. Di certo, il corpus più ricco e significativo era, secondo le ricerche di Ilizarov, a Kunzevo; nello studio al Cremlino vi erano enciclopedie, dizionari, manuali e un grande mappamondo, anche se sul tavolo Stalin teneva dal 1949 un libro italiano (di questo parleremo più avanti).
Alla morte del dittatore la dacia rimase chiusa e inviolata. Quella raccolta di libri l'avevano vista in pochi, e l'unico capo diStato che la poté compulsare con calma fu Mao, ospite a Kunzevo dopo il 1949.
Con il XX Congresso del Partito comunista, nel 1956, è noto che cominciò - con calma - la destalinizzazione. Nel 1960 Kruscev decise di trasferire la biblioteca del predecessore a Mosca, destinandola a una stanza dell'attuale «Biblioteca di Stato russa per le scienze politiche e sociali», ex Comintern. Durante il trasloco non fu negato un «ricordo» a chi lo avesse desiderato: così, tra i tanti, lo storico Mikhail Gefter si servì con le opere complete di Bismarck, fatte tradurre in russo nel 1940 in onore agli alleati tedeschi (per l'Italia, invece, toccò a La scienza nuova di Vico). Una curiosità prima di riprendere il nostro racconto: a margine dell'introduzione agli scritti del cancelliere tedesco, dove si cita il famoso testamento in cui si raccomanda alla Germania di non fare la guerra contemporaneamente a Russia e Occidente, Stalin scrive con matita blu: «Mai fare paura a Hitler» (la traduzione di questa e delle altre notazioni è di Viktor Gajduk, professore di storia all'Università di Mosca, membro dell'Accademia).
Non è errato supporre che tra il 1960 e il collasso dell'Urss altri volumi sparirono dalla Stalinka, ma il vero problema arriva con l'avvento di Eltsin. Nell'euforia della privatizzazione dei primi Anni '90 si chiese al presidente di collocare all'ex Comintern una «Fondazione russo-ellenica», richiesta che fu esaudita in pochi giorni. E negli stessi riappare a Mosca tale Boris Gorelov, 37 anni, senza titolo di studio, condannato per spaccio di droga pesante, disoccupato. Costui, su suggerimento di amici o clienti, prende in subaffitto una stanza nel palazzo della costituenda Fondazione e comincia a frugare.
Sono sue parole: «Lunghi corridoi con porte verniciate di bianco, ognuna con una targa storica: Georgij Dimitrov, Maurice Thorez, Palmiro Togliatti... Tutte chiuse a chiave. Finalmente trovo una porta senza targa e con una serratura primitiva; l'apro facilmente con un temperino, rimango allibito. Di fronte a me un enorme deposito di libri, alcuni rilegati in cuoio prezioso...». Gorelov era nella Stalinka. Prende e cerca di vendere. Con sua sorpresa, si accorge che per un edizione de Il capitale di Marx ricava 5 mila dollari, per il manoscritto Trattato di Alì re dei santi, emiro dei fedeli anche di più. Chissa cosa riuscì a trafugare. Sappiamo che quando la polizia lo arresta, l'8 febbraio1996, è incriminato per il furto di 1.614 libri; tuttavia Boris si pente e aiuta gli agenti a recuperarne 1.997. Olga, la sua fidanzata, teneva l'edizione del 1585 de Les secrets des finance de France come centro tavola per appoggiarvi il samovar.
Colpo di scena, il professor Georgij Trapeznikov, ex custode della biblioteca di Stalin e del Comnintern, rivela in un'intervista all'Izvestia del 25 giugno 1996 che in realtà il ladro Corelov ha salvato la biblioteca. Perhé? Un piano ordito da personaggi vicini a llltsin, con la scusa dei restauri, aveva progettato di vendere tutti i libri in Occidente. Il grassatore, anche se aveva sottratto migliaia di volumi, salvò quelli che rimanevano. Si poteva perdonare quindi, tra le tante cose, anche il suo viaggio a Parigi, dove riuscirà a piazzare due prime edizioni di Fourié autografate. Gli ex-libris di Stalin li cancellava con l'essenza di aceto. Oggi del patrimonio restano, appunto, i ricordati 5 mila volumi, in cui si aggira guardingo il professor Ilizarov. Altri 391 li abbiamo trovati all'«Archivio di Stato russo» e sono quasi tutti autografati. C'è anche un Petrarca in 32°, rilegato in pelle e carta india, spedito nel 1949 a Stalin dal «compagno» torinese Ernesto Giordanino per il settantesimo del dittatore: è in italiano ed era sul tavolo del Cremlino. Perché lo tenesse lì, visto che non conosceva la nostra lingua, è spiegabile ricordando che il «piccolo padre» esordì con delle poesie romantiche sul quotidiano Iveria, allora il più importante della Georgia. Erano gli anni seguenti il suo debutto come cantore nella chiesa della natia Gori, dove la gente accorreva per la sua bella voce. Ma all'Archivio c'è anche altro. Il direttore, Kirill Anderson, mostra una busta con l'edizione de Il nuovo corso di Trotzkij del 1924. Ha una dedica dell'autore a Stalin e le note dello stesso: a pagina 24, dopo aver sottolineato una frase sulla burocrazia del partito, scrive: «vzdor», ovvero: «stronzata».
Poi si è presi dalla febbre. Con Ilizarov corriamo di nuovo ai resti della Stalinka. Ecco I miserabili di Hugo, ecco i classici del socialismo, ecco I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Di questo romanzo Stalin salta completamente le pagine con la leggenda del Grande Inquisitore, ma si moltiplicano le sottolineature quando si parla dei rapporti tra Chiesa e Stato, dei miracoli, dei tormenti dell'omicida. Di più: sottolinea sempre le parole del monaco e le parti su Dio. Si può continuare con i saggi di Anatole France I dialoghi sotto la rosa (edizione 1925). Qui, altre sottolineature forti con quattro righe verticali al passo: «Credere o non credere in Dio, fa poca differenza: quelli che credono in Dio non riescono a capirlo, dicendo che Dio è tutto. Ma essere tutto equivale a essere nulla». E infine Stalin, che conosceva greco e latino, traduce in parte il titolo e sul dorso scrive: «sub rosa».
Già, le lingue. Non era arrivato all'ebraico, il tedesco non lo parlava ma lo leggeva. La prima lingua straniera che apprese, essendo georgiano, fu il russo; poi conosceva armeno, azerbaigiano, osseto, parsi. Aveva messo a punto un sistema di lettura veloce, tanto che riusciva a prendere atto di 400-600 pagine al giorno. Divorava tutto, anche i manoscritti che gli inviavano, romanzi, libri per ragazzi, soggetti di film. Anderson ha un manuale di economia politica di Vasili Leontiev con il capitolo sulla società schiavistica riscritto da Stalin, perché non l'aveva gradito. Tra i resti della biblioteca ci sono saggi di architettura e sulla nascita del fascismo, nonché dattiloscritti su argomenti di spionaggio, le sue letture preferite. Sono opere tirate in due o tre esemplari, uno dei quali era sempre per Stalin. Infine, non va dimenticato per l'ipotetico inventario che egli chiedeva altri titoli alla «Spedizionedei libri», istituto chiuso del Cremlino che pubblicava un mensile con le novità per la nomenclatura: si poteva averle in prestito o acquistarle.
L'incredibile Ilizarov mostra quindi un faldone con 500 disegni: sono fatti dai membri del Politburo durante le riunioni. Ce ne sono di Stalin, anzi l'unico a sfondo sessuale con il povero ministro delle finanze Briukhanov appeso per i genitali, è di sua mano. «E' degli inizi Anni '30», certifica il professore; di certo non va oltre il '37 perché in quell'anno le purghe staliniane finiscono il lavoro della caricatura. Nel verso del foglio c'è una scritta firmata dal dittatore. Dice: «Ai membri dell'ufficio politico per tutti i peccati presenti e futuri: sospendere Briukanov per i coglioni. Se i suoi coglioni resistono, allora considerarlo discolpato per vie legali. Se invece i coglioni cedono, allora farlo annegare nel fiume».
Scusate la terminologia, ma è d'autore. Ilizarov è anche l'unico al mondo che abbia visto la cartella clinica originale del «piccolo padre». Sostiene che dopo la battaglia di Stalingrado abbia avuto un ictus e sia stato ricoverato per un mese. Poi tutto passò. Ma questa è un'altra storia. Chissà, magari un giorno riusciremo a raccontarvela.
In rete - Cremlino: http://president.kremlin.ru/ (in inglese e russo)
Archivio di Stato russo: http://www.rgaspi.ru/ (in russo)
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