Liberazione 29.12.04
QUANDO L'EUROPA DEI FILOSOFI FU SCOSSA DAL SISMA DI LISBONA. ERA IL 1755
Voltaire, Rousseau, Kant: un libro appena pubblicato raccoglie i loro scritti su quel disastro
di Tonino Bucci
A un solo anno di distanza dal grande sisma che sconvolse la città di Lisbona, nel 1755, uscì a Erfurt, in Germania, un singolare volume dal titolo Le più memorabili storie di terremoti a nome di un certo J. H. Nonnens. Più che per il contenuto il libro colpiva per l'immagine stampata in primo piano: tre figure umane indicate come l'americano, il moro e l'europeo, compaiono accanto a una grande carta geografica. Il terzo mostra con l'indice della mano sinistra il disegno della mappa, come a voler rimarcare la vastità degli effetti provocati dal sisma della capitale portoghese.
Già da questa immagine si comprende quanto il terremoto del 1755 fosse avvertito nella coscienza del tempo come una catastrofe epocale che coinvolgeva l'intero mondo conosciuto e da cui non si poteva distogliere lo sguardo.
I più importanti esponenti della filosofia dell'epoca si trovano a dover quadrare i conti, stretti come sono tra irl progetto illuministrico di una società e una storia felici, da un lato, e l'imprevedibilità di una natura esterna a quel progetto, dall'altro. Persino tre pietremiliari della filosofia moderna come Voltaire, Rousseau e Kant rimangono talmente impressionati dal cataclisma che aveva colpito Lisbona da farne tema di riflessione. Quale fu il dibattito del tempo lo racconta un volume recentemente apparso nel quale sono raccolti gli scritti in questione dei tre pensatori: Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro (introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, edizioni Bruno Mondadori, pp. 152, euro 18,00).
Con il terremoto di Lisbona, per la prima volta un cataclisma di enorme portata colpiva un angolo d'Europa dove si trovava il centro di un immenso - sebbene già in via di decadenza - impero coloniale. I possedimenti della corona portoghese a metà del '700 si estendevano pur sempre su tre continenti, dal Brasile, in America del Sud, alla Guinea e all'Angola, in Africa, e attraverso il Mozambico fino a Macao e Timor, nell'estremo Oriente dell'Asia. Lisbona, capitale di questo sterminato regno, era con i suoi duecentosettantacinquemila abitanti la quarta città d'Europa per popolazione dopo Londra, Parigi e Napoli, e rappresentava il principale porto d'acccesso sul continente delle merci d'oltremare. La "percezione della vicinanza" - notava Benjamin nel 1931 in una trasmissione radiofonica - viene accentuata dallo sviluppo del sistema della stampa, oltre che dalla vasta area geografica scossa dal sisma, ben duemilioni e mezzo di chilometri quadrati e un violento spostamento delle acque dalla Finlandia all'Indonesia.
In questa cornice muta anche il significato del termine "catastrofe": se prima si riferiva al contesto della drammaturgia classica, nel senso di un cambiamento che giunge alla fine di un'azione e la porta a compimento, ora tende a coincidere con "l'annientamento". Ma "può essere vista anche come un brusco e repentino cambio di direzione, come quello sconvolgimento profondo che consente alla svolta di essere autenticamente radicale". Accanto al significato negativo si fa strada una chiave di lettura "politica", tipicamente moderna, che rompe con la concezione della storia come progresso lineare e la sostituisce con la coppia annientamento/trasformazione. Il terremoto di Lisbona è il luogo di nascita di questo sentimento d'instabilità, in altri termini della percezione della propria epoca come stato di crisi permanente. In quel "dramma archetipico" nasce "l'endiadi portentosa di progresso e catastrofe", poi lucidamente analizzata nel '900 da Benjamin nella sua lettura dell'Angelus Novus di Klee: "dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi".
E' da questa prospettiva, ad esempio, che Rousseau entra in polemica con Voltaire, autore - all'indomani del sisma - del Poema sul disastro di Lisbona, un vero e proprio manifesto del disincanto, della disperazione, del pessimismo. In maniera sorprendente il primo scende in difesa dell'ottimismo: "sembra voler dire a Voltaire - scrive Andrea Tagliapietra nell'introduzione - che i poveri non possono permettersi il pessimismo, che i deboli, i diseredati e gli infelici debbono già sopportare un carico di miseria e di privazioni fin troppo pensante per poter accogliere anche il fardello di una disperazione senza rimedio". L'autentica catastrofe non proviene dalla natura: non questa "aveva riunito in quel luogo - scrive Rousseau a Voltaire - ventimila case di sei o sette piani". Se "gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto". E' all'uomo, al particolare sviluppo storico della società, quindi che Rousseau imputa la radice della catastrofe. Con uno scarto politico il filosofo si distacca dal dibattito tradizionale della teodicea - tanto da coloro che con Leibniz giustificano il male come un dettaglio nell'armonia prestabilita del migliore dei mondi possibili, opera senz'altro di Dio, quanto da coloro che si abbandonano a un disincantato, amaro pessimismo verso l'incontrollabilità della natura. A loro contrappone la speranza nell'unica delle catastrofi a sfondo ottimistico, la rivoluzione.
In sintonia con le riflessioni rousseauiane si pongono anche i quattro scritti dedicati da Kant all'eco suscitata dal terremoto di Lisbona: l'ispirazione illuminista è palese quando il filosofo tedesco polemizza con l'uso superstizioso della catastrofe come spauracchio per indurre negli uomini una "cieca sottomissione". "Fra tutte le ragioni che muovono la pietà religiosa - scrive Kant - quelle che traggono spunto dai terremoti sono senza dubbio le più deboli". Anche qui il distacco dalle discussionsi teologiche è evidente: al loro posto già si intravede negli scritti kantiani un reticolo di spiegazioni scientifiche e dati empirici, accompagnate dall'accusa nei confronti delle responsabilità dell'uomo - città costruite in luoghi a rischio, soluzioni urbanistiche che amplificano gli effetti dei sismi. La traiettoria dell'Illuminismo è così tracciata tra due fuochi: la scienza da un lato e la politica dall'altro come chiavi d'interpretazione del mondo.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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