Liberazione 29.12.04
ADDIO ELISEO MILANI FONDATORE DEL MANIFESTO
di Rina Gagliardi
E così il vecchio leone, la roccia per anni indistruttibile, questa volta non ce l'ha fatta. E' morto la scorsa notte, Eliseo Milani, cedendo all'ultimo assalto di quel suo cuore malandatissimo, eppure così forte da esser riuscito cento volte ad aver ragione di ogni colpo. Soltanto pochissimi giorni fa, il 23 dicembre, era passato a salutare i compagni di «Aprile»: sempre in sella, nonostante tutto, nonostante gli anni, settantasette e passa. Poi, il giorno di Natale, un malore improvviso, l'ultima corsa al Policlinico. Con lui se ne va un pezzo della sinistra e, soprattutto, del Manifesto, che tanto aveva contribuito a far nascere e a far crescere - unico dirigente operaio del gruppo storico, l'unico davvero vocato alla pratica della costruzione organizzativa. Se ne va anche, ahimé, un pezzo della nostra giovinezza. Da Eliseo, abbiamo imparato molto, nel fuoco di quegli anni '70 in cui la società italiana si spingeva con forza a sinistra, ben al di là della sua rappresentazione politica. Noi, giovani "manifestini" quasi in toto di provenienza studentesca o intellettuale, con le nostre letture fresche dei classici e i nostri entusiasmi ideologici, ci scontrammo all'inizio con quel suo carattere all'apparenza "burbero", quella sua ostinazione pragmatica, quei suoi continui richiami alla necessità della concretezza e alla "dura scuola" della fabbrica; ma presto, molto presto, molti di noi riuscirono ad entrare in sintonia con la sua fierezza operaia (sempre proletaria e mai populista), con la singolare personalità di un dirigente che aveva una storia vera e un vissuto ricco. Eliseo era la smentita vivente - e lo sapeva - dei limiti intellealistici del Manifesto. E molti di noi hanno tratto dalla sua capacità comunicativa un'autentica lezione politica.
Da anni Eliseo aveva dovuto drasticamente ridurre la sua vita puhblica. Eppure, quelle poche volte che capitava di incontrarlo, si percepiva ancora la sua tempra vitale.
Da Bergamo a Roma
Era bergamasco, Eliseo Milani - per la precisione di Ponte San Pietro, dove era nato nel febbraio del 1927. Operaio della Dalmine, comunista, leader di mille battaglie e infaticabile organizzatore, negli anni '60 era diventato segretario delle Federazione bergamasca del Pci: un ruolo difficile, in una zona bianca (e clericale), dove la sinistra era da sempre minoritaria, ed esercitato con singolare apertura, su posizioni "naturalmente" di sinistra. Si vantava, Eliseo, di esser stato lui a reclutare nel Pci, nella seconda metà degli anni '50, due giovani intellettuali cattolici della città, usciti dalla Democrazia cristiana e passati attraverso l'originale esperienza di una rivista come "Dibattito politico": si chiamavano Lucio Magri e Giuseppe Chiarante. E si poteva vantare, soprattutto, di aver fatto crescere a Bergamo, uno straordinario gruppo di quadri e segnatamente di quadri operai - come Ravasio, Franco Petenzi, e tanti altri. Quando esplose l'autunno caldo, col suo epicentro (alla Fiat di lavoratori emigrati dal sud, dequaliticati e privi di memoria e pratica sindacale, dalle fabbriche lombarde - e bergamasche - arrivò una risposta diversa ma altrettanto significativa: un soggetto operaio piu professionalizzato e più legato alla storia del movimento operaio, ma pìu capace, anche per questo, di "connessioni" sociali e politiche, a partire dalla critica dell'organizzazione del lavoro.
C'entrava molto con tutto questo, Eliseo Milani, che nel frattempo era diventato anche deputato. C'entrava tanto che, quando nel 1969 nel Pci si discusse dovunque del "caso del Manifesto", Bergamo fu l'unica Federazione che si schierò a favore dei così detti "eretici". E l'onorevole Milani andò poi a costituire - insieme a Luigi Pintor, Aldo Natoli, Massimo Caprara e Liberato Bronzuto - la piccola pattuglia manifestista di Montecitorio.
Quella storica radiazione...
Chi non ha vissuto quegli anni, certo, non può ricordare l'emozione politica che fu il gruppo del Manifesto. Un gruppo sotto molti aspetti anomalo e inedito nella storia del comunismo italiano. Il primo che ha tentato l'audace impresa dell'uscita da sinistra dalla crisi del Pci, dallo stalinismo, dall'ortodossia marxista-leninista. Lo composero, all'inizio, persone tra di loro molto diverse, collegte da un'adesione all'ingraismo che era tutto, però, fuorché una milizia organizzativa.
C'erano una intellettuale di prima classe, come Rossana Rossanda, che aveva lavorato con Togliatti e diretto la sezione culturale del Partito. C'era un giornalisti politico eccezionale, come Luigi Pintor, che aveva diretto L'Unità scontrandosi quotidianamente con la "destra" (che certo oggi non chiameremmo tale) di Amendola, Pajetta, Alicata. C'era un leader popolare (che era anche un sofisticato intellettuale), come Aldo Natoli, che a Roma era un punto di riferimento del popolo comunista, e non solo. E c'era un giovane intellettuale, come dicevamo, di origine cattolica, Lucio Magri, capace come pochi di elaborazione politica organica - e c'erano due giornalisti di prima classe come Luciana Castellina e Valentino Parlato, che sapevano raccontare le lotte, l'economia, gli scenari internazionali. Tutti ingraiani, appunto, ovvero segnati dall'XI Congresso del Pci (quello in cui Ingrao aveva concluso il suo intervento con un'affermazione ai tempi eversiva: "Non mi avete persuaso"). Tutti poi coinvolti, positivamente, dal movimento del '68, quello studentesco e quello operaio. Tutti, ahimé, sconfitti nella battaglia del XII congresso nazionale (Bologna, 1969) che si era concluso con l'ascesa di Enrico Berlinguer, su una piattaforma sostanzialmente "continuista" - né si prendeva atto della crisi irreversibile del "socialismo" dell'est, né si assumeva il 68-69 come la leva di una svolta strategica. Fu in questo clima che nacque, nel maggio del 1969, la rivista «il manifesto»: diretta da Magri e Rossanda, si diffuse in profondità nel partito. In qualche federazione - come quella di Bergamo - addirittura si radicò. E a molti giovani reduci dal movimento apparve come il luogo dove la rottura sessantottina e il meglio della tradizione comunista potevano finalmente incontrarsi, parlare una lingua comune, elaborare una nuova idea della politica e della militanza.
Il vertice del Pci non accettò questa provocazione, che rompeva - allora radicalmente - le regole della disciplina interna: il gruppo fu accusato di "frazionismo" e richiesto perenoriamente di rientrare nei ranghi, cioè di sospendere la pubblicazione di un mensile "non autorizzato" (e che aveva il torto di essere anche un grande successo editoriale). E dopo un dibattito fervido e appassionato, nel dicembre del 1969 la conclusione fu quella canonica: la radiazione Toccò prima ai membri del Comitato centrale, poi via via, nelle città, a tutti coloro che intendevano continuare quell'esperienza all'interno delpartito.
Il gusto dell'autonomia
Ma ci si doveva o no adeguare? Si doveva abbandonare il Pci organizzando una vera e propria scissione? Era sensato progettare un nuovo partito? Questi furono gli interrogativi - abbastanza drammatici - che il gruppo del Manifesto, una volta cacciato, si trovò ad affrontare. Fu in questa fase che Eliseo Milani venne a Roma per diventare uno dei dirigenti della nuova formazione politica che,nei fatti, stava nascendo. E ne fu, per anni, il "motore operativo", il propulsore organizzativo, riuscendo anche e soprattutto a diventare il riferimento politico obbligato anche dei massimi leader nazionali. Quando alla metà dei '70 si tenne a Bologna il primo Congresso nazionale del Pdup (il Partito che tentò per qualche anno di unificare il Manifesto e la sinistra psiuppina che non era confluita nel Pci), fu grazie soprattutto a lui che le tematiche radicali dell'esperienza del Manifesto riuscirono a prevalere. Poi, certo, ne seguì una storia costellata di scissioni, lotte fratricide, tentativi sempre falliti di "riconciliazioni": uno come Eliseo, al varcar della soglia dei tremendi anni '80, non poteva che nutrire un profondo pessimismo politico. Ciò che non lo indusse mai, tuttavia, a scelte checonsiderava improbabili ritorni a Canossa: perciò si rifiuto di rientrare nel Pci, anche quando l'esperienza della nuova sinistra si era bruciata e consunta. Del resto, per tutta la sua vita, ha sperimentato fino in fondo il gusto dell'autonomia: alieno da ogni forma di "estremismo", non si rassegnò mai all'ineluttabilita del "moderatismo". Preferì, piuttosto, rischiare la solitudine politica, come quando divenne senatore della Sinistra Indipendente, o come quando si buttò a capofitto nel lavoro del "Centro per la riforma dello Stato" di Ingrao. Comunque, da un certo momento in poi, fece a meno di un Partito, di quadri da far crescere, di una battaglia organica da portare avanti (ci riprovò, e vero, con Rifondazione comunista, ma per breve tempo e senza mai agio).
Uno sconfitto? Ma no. Una persona che ha vissuto bene, con passioni, idee, forza vitale, generosità. Un uomo che ha seminato molto e saputo far politica come andrebbe fatta - con la testa e il cuore, da protagonisti e da militanti. Un uomo molto bello, dentro e fuori. In fin dei conti, un comunista.
MERCOLEDÌ, 29 DICEMBRE 2004
IL PERSONAGGIO
Deputato Pci, fu radiato nel 1969. Poi il Pdup. Lavorava con Ingrao al Centro per la riforma dello Stato
Addio a Milani, fondatore del Manifesto
Con Pintor, Rossanda, Magri e Natoli diede vita al gruppo "eretico"
ROMA - È morto ieri notte al Policlinico di Roma l'ex parlamentare comunista Eliseo Milani. La sala ardente sarà allestita giovedì prossimo, 30 dicembre, al Policlinico Umberto I dalle ore 11.
Milani, 77 anni (era nato il 16 febbraio del 1927 a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo), era stato ricoverato il giorno di Natale in seguito ad un grave malore. Operaio della Dalmine di Bergamo, arrivò a Montecitorio nel 1968, dove è stato poi rieletto per tre legislature. Eletto infine senatore, Milani è stato tra i fondatori del Manifesto, per cui venne radiato dal Pci nel 1969 con Rossana Rossanda, Lucio Magri, Luigi Pintor e Aldo Natoli. È stato poi dirigente di spicco del Pdup, il partito nato nel '74 con la confluenza del Manifesto e dell'area dello Psiup che non aveva accettato di entrare nel Pci.
Vissuta tutta la travagliata esperienza del Pdup, costellata da altre scissioni e anche da unificazioni con alcune delle sigle di quella che veniva chiamata la sinistra extraparlamentare (Avanguardia Operaia, Mls), nel 1984 Milani fu uno dei dirigenti della minoranza del partito che non accettò la confluenza nel Pci: restò senatore della Sinistra Indipendente, e di fatto concluse con la nona legislatura la sua attività politica a tempo pieno, anche per via del precario stato di salute che lo obbligò a mutare regime e stile di vita. Protagonista di numerose battaglie parlamentari, ha anche fatto parte della Commissione Moro.
Collaborò in seguito con il Centro per la Riforma dello Stato presieduto da Pietro Ingrao.
Con Eliseo Milani «se ne è andato un uomo appassionato e colto, un politico che ha dedicato gran parte della propria vita alla militanza e al confronto sulle sorti della sinistra italiana». È questo il ricordo del sindaco di Roma Walter Veltroni. «Dalla fondazione del Manifesto - sottolinea Veltroni - e poi del Pdup alla lunga esperienza parlamentare, conclusa come senatore della Sinistra Indipendente, alla partecipazione alla commissione Moro al suo impegno con il Centro per la Riforma dello Stato Eliseo Milani è stato negli anni un punto di riferimento per una parte importante della sinistra».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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