mercoledì 29 dicembre 2004

tsunami
tutti i "preti" scagionano dio
(forse hanno paura?)

Corriere della Sera 29.12.04
Teologia
«Non ha colpito il Dio castigatore ma una natura non ancora perfetta»
di Paolo Conti

ROMA - «Come può un Dio creduto buono e giusto permettere non solo il male naturale, la morte, ma persino un’arbitraria, casuale distruzione di alcuni lasciando intatti altri, senza meriti né spiegazioni?». La domanda risale alla scoperta della divinità da parte dell’uomo. Ma oggi ha un senso attualissimo, quindi ben più atroce: Dio può «volere» una tragedia cieca come quella dell’Asia? Se l’è chiesto ieri su L’Avvenire Francesco Tomatis, docente di Filosofia teoretica a Salerno. Passati in rassegna Lucrezio, Voltaire, Schelling, Tomatis approda al Nuovo Testamento. Cita il san Paolo della Lettera ai Romani e conclude: «Attraverso la caduta dell’uomo originario la natura stessa, non solo l’uomo, s’è staccata da Dio, divenendo violenta, feroce, mortale, anziché una presenza di Dio stesso in ogni creatura come nello stato paradisiaco». Ora il futuro, dice Tomatis, è nelle mani dell’uomo che con la sua libertà «può riconciliarsi con Dio, introducendo con sé in Dio anche tutta la natura».
Il tema, è ovvio, non riguarda solo la cristianità. Ma in un Paese di radicata cultura cattolica come l’Italia è un quesito comunissimo. Dice Brunetto Salvarani, docente di Pedagogia interculturale a Milano Bicocca, ma da anni impegnato in un’opera editoriale di «teologia narrativa»: «Come insegna il pensiero ebraico riferito alla tragedia dell’Olocausto, anche Dio si può "ritirare", contrarsi, lasciare spazio alla scelta dell’uomo. Lo ha fatto anche Cristo abbassandosi sul mondo e prendendo su di sé il male e il dolore. Ed eccoci a san Paolo: la creazione "soffre" con l’uomo. Viviamo nella limitazione, in una terra che sarà rinnovata. Per i cattolici la promessa è contenuta nell’Apocalisse, che promette cieli e terra nuovi: sono i nostri, trasformati alla fine dei tempo». Tutta colpa del peccato dell’uomo? «Attenzione al determinismo, non c’è un "determinato" peccato o cattivi da punire». Conferma Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose: «Certamente non esiste un Dio castigatore della cattiveria dell’uomo, sarebbe una autentica perversione. Invece la creazione, quindi questo universo, non sono perfetti ma in continuo divenire. Quindi possono provocare il male. È un autentico enigma, lo so bene, ma noi cristiani pensiamo che il travaglio si concluderà con la trasfigurazione alla fine dei tempi. Ovvero con la salvezza».
Cambiando fede, le risposte sono diverse. Si interroga Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche italiane: «Mi viene in mente Caino quando grida di non essere il custode del fratello Abele. Di fatto chiede a Dio perché gli abbia permesso di ucciderlo e non chiede a se stesso perché lo abbia fatto». Arrivando alla tragedia dell’Asia? «Perché ci poniamo il dilemma solo di fronte alle catastrofi naturali e non quando l’uomo può intervenire? La natura ha le sue leggi e le sue regole. Tocca a noi conoscerle per vivere meglio. Chiediamoci, e qui torniamo a Caino, come mai nell’oceano Pacifico tra Giappone e Stati Uniti esistano sistemi di rilevazione che avrebbero permesso di limitare i danni e invece la povertà in Asia sia così grande da rendere impensabili gli investimenti in quel campo. E adesso non domandiamoci perché mai Dio permetta la povertà. La nostra posizione sarebbe troppo comoda».
Sostiene invece l’imam della moschea di Roma, Mahmoud Ibrahim Sheweita: «Il maremoto è un problema da scienziati. Ma è comunque visibile la mano di Dio che vuole mostrare al mondo la sua forza, la sua capacità divina e onnipotente. C’è scritto nel Corano a proposito della distruzione di Sodoma: è stato messo sopra ciò che stava sotto e sotto ciò che stava sopra». Quale è il segnale? «È l’aiuto reciproco tra gli uomini. Ora molte epidemie supereranno i confini delle zone colpite. Dio chiede collaborazione fraterna tra le genti. In molti paesi come la Thailandia o lo Sri Lanka esistono contrapposizioni interne: ora sono messe da parte. Anche questo è un segno di Dio».
La parola infine a Emanuele Severino, filosofo non laico e non religioso ma che affronta il piano in cui i due atteggiamenti si contrappongono: «L’esistenza stessa dell’uomo appare come follia e violenza non perché dominata dalla malvagità ma proprio dalla volontà. Ovvero: è la volontà in quanto tale a essere follia, errore, violenza. È l’orizzonte nel quale si trova a vivere da subito l’essere mortale». E le catastrofi? «Ci dimentichiamo che il cataclisma radicale è avvenuto all’inizio, cioè quando la volontà ha inteso trasformare il mondo, ottenendo un risultato per cui le cose sono altre da ciò che erano in origine». Quindi, sostiene Severino, siamo di fronte «alle manifestazioni di una catastrofe originaria della volontà. Penso al cataclisma asiatico così come al conflitto atomico».
Eppure, assicura il filosofo, siamo destinati alla gioia: «Non come il prodotto di un dio, di un salvatore, di un popolo. Ma è la necessità stessa delle cose che ci conduce nella follia così come ce ne fa uscire e ci porta alla gioia».