martedì 14 dicembre 2004

"iperattività"

Yahoo! Salute martedì 14 dicembre 2004 - Il Pensiero Scientifico Editore
Pediatria
Iperattività: le guerre ideologiche non giovano
di Antonella Sagone

Le scuole americane non potranno più imporre agli studenti “difficili” terapie farmacologiche come condizione per essere ammessi alle lezioni: lo dice una recente disposizione legislativa. Questo emendamento ha segnato un punto a favore della guerra in corso fra fautori del Ritalin e nemici della psichiatria. Fra queste due trincee, le famiglie dei bambini con disturbi dell’attenzione e iperattività attendono ancora risposte ai loro problemi.
Il disturbo dell’attenzione e iperattività, noto con la sigla ADHD, è una patologia comportamentale infantile caratterizzata da difficoltà di concentrazione, irrequietezza, irritabilità e continua agitazione motoria. Molto si è detto, a volte a sproposito, sulle cause di questo disturbo, che negli anni è stato alternativamente imputato a cause congenite, patologie relazionali, allergie, disfunzioni del rapporto madre-figlio, anomalie neurologiche. Spesso madri e padri si sono sentiti colpevolizzare per il comportamento dei loro bambini, a volte letto con superficialità come semplicemente da bambino “viziato”, e la componente morale e giudicante di chi conosce questo problema solo dall’esterno è pesata sulle vite e l’autostima dei genitori. Ma come sa chi ha questo problema in famiglia ma ha più di un figlio, esiste una differenza che rende questi bambini agitati anche a prescindere dal modo in cui vengono educati o trattati.
L’accumularsi di osservazioni e studi ha permesso di cominciare a inserire qualche tessera del puzzle che compone l’enigma ADHD; questi bambini non solo hanno una reattività elevata, ma reagiscono in modo paradossale e caratteristico a determinate sostanze psicoattive (stimolanti e psicofarmaci). Insomma c’è una base organica che spiega il loro comportamento; e anche se questo non significa ancora aver chiarito le cause primarie, dà spazio alle ipotesi di terapia che negli anni sono state sperimentate, fra entusiasmi e polemiche, su questi bambini. L’approccio attuale consiste nell’affiancare a una terapia farmacologica il sostegno psicologico per il bambino e la famiglia, per aiutare entrambi a gestire le specifiche difficoltà create dalla loro condizione.
La parabola della vicenda americana, che inizia la sua fase discendente, offre importanti spunti per valutare quella italiana, che invece è nella fase ascendente della curva. Mentre da noi è recentemente stato riammesso il farmaco d’elezione per questo disturbo, negli Stati Uniti infatti dopo un periodo di uso e anche di abuso tanto della diagnosi di ADHD quanto degli psicofarmaci somministrati ai bambini si sta generando un’ovvia reazione contraria, con polemiche infuocate e, da parte di diverse associazioni di cittadini, posizioni estreme di rifiuto di ogni terapia farmacologica per i disturbi psichici infantili. La legge che vieta alle scuole di porre, come condizione per la riammissione in aula, il trattamento farmacologico obbligatorio per i bambini con disturbi comportamentali si inserisce in questo quadro conflittuale, nel quale le posizioni sfumate e ragionate hanno poco spazio.
Il fronte anti-Ritalin è quanto mai eterogeneo, raccogliendo sette potenti come Scientology, che ne fanno il loro cavallo di battaglia per una loro personale guerra incondizionata alla psichiatria, accanto a movimenti di opinione e associazioni di genitori grandi e piccole e di diversa estrazione. Le argomentazioni del fronte anti-farmaci sollevano problemi autentici e basilari, quali la valutazione di costi e benefici conseguente al trattamento precoce e prolungato con psicofarmaci di soggetti il cui organismo è in pieno sviluppo fisico, cognitivo ed affettivo; l’opportunità e la liceità di effettuare o meno screening generalizzati della popolazione infantile per individuare e trattare i casi a rischio; l’obbligatorietà o meno dei trattamenti e a chi debba essere attribuita la competenza e il diritto di diagnosticare e decidere se e come affrontare le difficoltà di un bambino con disturbi del comportamento.
La radicalizzazione del dibattito in corso non fa tuttavia che passare sopra le teste delle famiglie in difficoltà e ostacolare la ricerca delle soluzioni. I singoli casi di abusi, il contenimento farmacologico dei bambini “difficili” tramite una a volte superficiale e troppo facile etichettatura psichiatrica, il bisogno di “normalizzazione” orwelliana che in certe situazioni e contesti ha contaminato un problema (che dovrebbe essere solo medico) con aspetti legati alla società e alla cultura, e infine gli enormi interessi commerciali che possono essere mossi dall’una o l’altra scelta di politica sanitaria: tutto questo non deve essere utilizzato in modo strumentale per alimentare un rifiuto e una diffidenza generalizzata contro ogni pratica diagnostica e terapeutica della psichiatria infantile. Le famiglie di questi bambini hanno un problema reale e necessità di sostegno, e anche lo stesso bambino affetto da iperattività vive un disagio oggettivo causato dalla sua condizione. Occorre discriminare attentamente i casi realmente a rischio e, mentre vanno arginate sul nascere le tendenze al ricorso alla soluzione “facile”, la cultura della pasticca per risolvere ogni difficoltà e superare ogni incompetenza a gestire i problemi, dall’altro lato non bisogna temere di continuare la ricerca di ogni mezzo, compresi quelli farmacologici, per comprendere e superare le disfunzioni create da questa patologia.