Il Messaggero Lunedì 13 Dicembre 2004
Il regista-attore al “Courmayeur noir”, tra trionfi e cadute e i gemelli dopo il successo di Barcellona
Il Castellitto che verrà
Con Bellocchio in Sicilia, con Amelio in Cina e poi Zorro
dal nostro inviato FABIO FERZETTI
COURMAYEUR - Alle montagne russe Sergio Castellitto ha fatto il callo. Anzi si diverte un mondo. Ieri alle stelle per il successo di Non ti muovere. Oggi nella polvere per il fiasco del Maigret televisivo (che al Noir in Festival ha illustrato e difeso con onestà). Domani di nuovo sugli scudi per due film importanti: Il regista di matrimoni di Marco Bellocchio e La dismissione di Gianni Amelio.
«Che dire? Sono un uomo fortunato. Due volte Bellocchio in due anni, e ora l’incontro con Amelio. In Italia non si può chiedere di meglio: ma non è sempre così facile. Ho detto no anche a ruoli bellissimi che però non rientravano nella mia linea di “autore” di me stesso. E temo che rifiuterò, ma solo per ragione di date, il nuovo Fantasma dell’opera che Schlondorff girerà con Jeremy Irons nel ruolo del titolo».
Parliamo delle certezze. Chi è questo “regista di matrimoni”?
«Un uomo in fuga. Un regista in crisi, ma non certo un fallito, che lascia un set a Roma per scappare su un altro set in Sicilia. Di più non posso dire, ma sarà sicuramente un evento sul piano tragicomico. Bellocchio è uno dei registi più divertenti con cui abbia mai lavorato».
Bellocchio divertente?
«Assolutamente. Una sorpresa continua. Anche perché avendo vera autorità non teme la creatività degli attori e lascia il massimo spazio. Con lui il film si inventa momento per momento. Già leggere il copione è un’esperienza. Fra una battuta e l’altra scrive: “verificheremo in montaggio”. Oppure: “ne parlerò con lo scenografo”. Insomma lascia tutte le porte aperte. E lavorare con lui diventa molto giocoso».
Come si chiama il suo personaggio?
«Franco Elica. Già dal nome si indovina una parentela con l’Ernesto Picciafuoco dell’Ora di religione. Come se quel pittore, con tutti i suoi dubbi, diventasse regista. Niente di autobiografico, nessuno è meno in crisi del Bellocchio di questi anni! Però ha orrore di tutto ciò che è finito, concluso. Infatti non teme le sue fragilità ma le usa. Le butta nel carburatore del film, per così dire. In questo siamo simili».
A prima vista sembrereste molto diversi.
«Ah, senza dubbio! Lui per esempio è ateo, io non lo ero nemmeno quando credevo di esserlo per farmi accogliere da un mondo che predicava il rifiuto della fede. Ma Bellocchio è anche una delle persone più spirituali e integre che conosca. Come Amelio, del resto. Spero solo di avere due settimane di pausa fra un film e l’altro».
Con Bellocchio va in Sicilia. Con Amelio fino in Cina per dare un seguito a ”La dismissione” di Ermanno Rea.
«Sono un quadro dell’Italsider che affronta un viaggio estenuante per seguire il riassemblaggio degli impianti smontati in Campania, senza che nessuno glielo abbia chiesto, per una sua ossessione personale. L’ossessione del lavoro ben fatto. Sarà una vera avventura. Tre mesi filati tra Pechino, Shanghai, Wuhan, e non torni certo a casa per il week-end. Amelio mi ha già mostrato ore di sopralluoghi. Montagne, biciclette, fiumi, grattacieli, acciaierie... Sembra l’arrivo su un altro pianeta, il primo passo di Armstrong sulla luna. Ma l’idea di prolungare La dismissione in Cina è anche profetica, visto quanto sta accadendo. È come se i cinesi avessero trasferito la loro aggressività dal piano bellico a quello economico. Le conseguenze di questa scelta cominciamo appena oggi a intravederle... Curiosamente, il romanzo di Rea era in finale al Premio Strega quando vinse Non ti muovere, di mia moglie Margaret Mazzantini. Per una curiosa ironia interpreto entr ambi»
Già: e il Castellitto regista? Come si passa dal fiasco bruciante e immeritato di Libero Burro ai superincassi di Non ti muovere?
«Vent’anni fa avrei avuto paura. Oggi ho i muscoli per difendermi da successi e insuccessi. La prossima regia è ancora tutta da inventare. Forse sarà lo Zorro di mia moglie, forse una commedia. Per anni mi sono lamentato che in Italia le commedie le fanno i comici e non gli attori. È ora di provarci. Modelli? Tanti. Ma su tutti il lavoro di Agnès Jaoui e Jean Pierre Bacrì».
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