lunedì 27 dicembre 2004

l'articolo di Adele Cambria su L'Unità
e un altro, "storico", del 1978 sul Giorno

SULLA PRIMA PAGINA
DELLA CRONACA DI ROMA
DELL'UNITÀ DEL 21.12


è apparso un articolo
di Adele Cambria:

"I SEGUACI DI FAGIOLI,
DAL DRAMMA DEL 1977
ALLA SCELTA NON VIOLENTA"



L'Unità Roma 21.12.04
I SEGUACI DI FAGIOLI, DAL DRAMMA DEL 1977 ALLA SCELTA NON VIOLENTA
di Adele Cambria

Fu quel giorno che Gisella Burinato, allora moglie di Marco Bellocchio, si alzò in piedi nel gruppo che costituiva uno dei quattro seminari di Massimo Fagioli, e con la sua vocetta graziosa, proprio da bambina che vuole far vedere al Maestro quanto è stata brava, raccontò: "Massimo, l'altro giorno avevo un provino a Cinecittà. Sono uscita da casa che il bambino piangeva. Mi sono fermata a metà strada, per telefonare da un bar (ndr, all'epoca non esistevano ancora i cellulari): la baby sitter mi ha detto che mio figlio continuava a piangere. Allora ho girato la macchina e sono tornata indietro. Ho fatto bene o ho fatto male?". Tutto il gruppo - centocinquanta, duecento persone - trattenne il fiato aspettando la risposta di Massimo.
Dopo tanti anni - circa tre decenni - non posso ricordarla testualmente, ma basterebbe andare a riprendersi uno dei suoi libri, "Bambino, donna e trasformazione dell'uomo", o "Psicoanalisi della nascita e castrazione umana", per ritornare a sapere che "l'inconscio mare calmo", come lo chiama Fagioli, ovvero il liquido amniotico in cui nuota il bambino nel grembo materno, è la materia prima che garantisce ad ogni essere umano di nascere "psichicamente sano e fornito di una fantiasia-ricordo, quella dell'esperienza di profondissima corrispondenza armonica, tra se stesso e la realtà esterna". Bellissime poetiche immagini, (confermate fra l'altro dai ricordi che Pasolini asseriva di conservare del tempo in cui stava nella pancia della madre).
Ma, mi chiedevo io, "realtà esterna" non è anche quella della donna, nel caso l'attrice, (Gisella, ne "Il gabbiano" di Cecov-Bellocchio era meravigliosa), che pur essendo diventata madre continua ad aver voglia di esprimersi come persona nel mondo?
Quel giorno uscii dal gruppo di via di Villa Massimo: una sede distaccata dell'Istituto di Psichiatria dell'Università "La Sapienza", dove Massimo Fagioli era stato invitato a tenere un seminario di supervisione di casi clinici, riservato a psichiatri, psicoanalisti e psicoterapisti. Ma in pochi mesi il seminario si era aperto a chiunque volesse parteciparvi e si era moltiplicato per quattro: ricordo le file sotto il sole pomeridiano di maggio, in mezzo a una quantità di ragazzi dei movimenti extraparlamentari: nel 1976 s'era sciolta Lotta Continua, prima ancora Potere Operaio era sceso in clandestinità, il '77 fu poi l'anno dei cortei, e sono persuasa - e non sono la sola a crederlo - che molti furono sottratti proprio da quei seminari alla lotta armata, come s'usava dire, e/o come minimo alla droga.
Non ho mai perso i contatti con "i fagiolini": così erano chiamati, all'epoca, con ironia sprezzante e come minimo "corporativa", nel circuito degli "addetti ai lavori" (cattedratici, psicoanalisti freudiani, e persiuno qualche junghiano) i seguaci più fedeli dello psichiatra "rivoluzionario": tra i quali però si annoveravano artisti famosi come Marco Bellocchio e, per un certo periodo, mi sembra, anche Bernardo Bertolucci....
Cura, formazione, ricerca. Sono queste le tre parole che costituiscono i pilastri della Scuola Romana di Scienza della Psiche ed Analisi Collettiva aperta da Massimo Fagioli in un locale di sua proprietà a Trastevere nel 1981. La Scuola è improvvisamente tornata a fare notizia per l'esplosiva appassionata contaminazione con la politica, nell'assemblea organizzata a Villa Piccolomini dalla libreria "Amore e Psiche", ospiti d'onore Pietro Ingrao e Fausto Bertinotti. Tema dell'incontro la non-violenza per la prima volta assunta come impegno politico da due leaders che hanno alle spalle una parte della storia della sinistra italiana.
"Sia la non-violenza l'inizio di questa costruzione di un sogno", conclude tra gli applausi Fausto Bertinotti. Ma non ci sono soltanto applausi... Mi hanno appena consegnato il libro dove sono registrate le fasi salienti dell'assemblea. Ad una prima scorsa delle 157 pagine, direi che entrambi i leaders hanno fatto, davanti a quella platea che Bertinotti ha definito "competente e attenta", una gran professione di umiltà.
Ficcanti, tra le altre, le domande di Giulia Ingrao: che chiede di "andare oltre", e di superare, anche nella politica, la scissione sempre proposta tra realtà materiale e realtà psichica". Ma già nel lontanissimo 1924, Antonio Gramsci, scrivendo a Giulia Schucht, di cui si era innamorato, rifletteva: "Quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si è mai voluto bene a nessuno.... Se era possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole creature umane... Non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale la mia qualità di rivoluzionario?"

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Adele Cambria, il 20 gennaio del 1978, aveva pubblicato sul Giorno di Milano un articolo intervista su Massimo Fagioli e l'Analisi collettiva.
Lo ri-pubblichiamo qui di seguito, per chiunque avesse la curiosità di leggerlo (o di ri-leggerlo):

IL GIORNO - Venerdì 20 gennaio 1978
La psicoanalisi da privilegio per pochi ad attività terapeutica di gruppo
Freud non è più lusso
di Adele Cambria
I giovani della nuova sinistra, in rottura con la psichiatria tradizionale, si riuniscono sempre più numerosi a Roma intorno a un transfuga della Società Psicoanalitica Italiana, il professor Massimo Fagioli - L'analisi non si fa più individualmente, è una ricerca collettiva degli equilibri perduti - Terapia scientifica o psicodramma? - Parla il promotore del nuovo movimento
"Si potrebbe dire - scriveva Gramsci nei "Quaderni del carcere" - che l'inconscio incomincia solo dopo tante decine di migliaia di lire di rendita". Insomma, per Gramsci l'inconscio ce l'avevano i ricchi, i poveri no. Problemi di lusso, quindi, i problemi dell'inconscio, e già Lenin del resto nelle sue conversazioni con Clara Zetkin (1921), s'era riferito alla psicoanalisi come a qualcosa che "fiorisce con esuberanza sul terriccio della società borghese".
Dopo sessant'anni, oggi nessuno potrebbe sostenere quelle tesi. Il bisogno di investigazione di sé, si conoscenza e di aiuto è diventato, se non bisogno di massa, certo una domanda che avanza e si fa drammatica, specie tra i giovani e le donne; le risposte istituzionali sono largamente inadeguate: da una parte, e nei casi più gravi, la psichiatrizzazione (manicomio o clinica per malattie mentali) e dall'altra psicofarmaci più o meno rimborsati dalle mutue, qualche CIM (Centro di Igiene Mentale) assediato da richieste cui non può rispondere, e le sedute di analisi individuale, inabbordabili da chi, pur proletario o proletarizzato (operai, disoccupati, studenti, donne), l'inconscio che l'ha, ma non ha i soldi per occuparsene. Nel silenzio delle istituzioni nascono allora i gruppi, più o meno spontanei, più o meno "selvaggi", in cui la gente si aggrega e parla di sé.
Come esempio e campione, traverso il quale svolgere questo primo tema, mi pare cronisticamente corretto scegliere una realtà terapeutica che emerge, nel paesaggio a volte confuso della "analisi di gruppo", con caratteristiche non ordinarie. Alcune di esse sono percettibili, per così dire, ad occhio nudo: la gratuità assoluta e il numero dei partecipanti, complessivamente valutabile a circa seicento persone, divise in tre gruppi, che si riuniscono in tre giorni diversi della settimana, con lo stesso analista. La qualità dei partecipanti pur non essendo esclusiva di questa situazione è, qui, sottolineata da una forte omogeneità; è quello che, a partire dal febbraio scorso, si definisce come il "Movimento", a formare la popolazione di base in questa sede (una piccola aula dell'Istituto di Psichiatria dell'Università di Roma, diretto dal professor Giancarlo Reda). È dunque la folla giovanile - maschi e femmine - diventata protagonista, anche drammaticamente, della scena politica italiana negli ultimi dieci mesi.
Su questo strato di fondo si innestano poi iscritti al PCI (ma sempre giovani), molte donne, alcuni medici (non soltanto psichiatri o psicoanalisti) qualche "nome" del mondo dello spettacolo, ovviamente più politicizzato (il regista Marco Bellocchio, la sua compagna, l'attrice Gisella Burinato).
Fin qui gli elementi esteriori che pure distinguono questo gruppo dagli altri. Gli elementi invece più profondi di diversità sono da rintracciare nella persona dell'analista, Massimo Fagioli, e nel fatto che in questa sede si sperimenta una teoria che Fagioli rivendica come originale. Qui non si fa analisi secondo Freud, Jung, Lacan, ecc.. o attraverso una miscellanea di teorie e pratiche diverse: si fa analisi secondo quanto è scritto nei testi di Massimo Fagioli, che sono tre: "Istinto di morte e conoscenza", "Psicanalisi della nascita e castrazione", "La marionetta e il burattino".
Per capire serve intanto sapere chi è Massimo Fagioli. Buon rieducatore o guru?
Professionalmente ha tutte le carte in regola, Medico psichiatra, prime esperienze "manicomiali" a Venezia e quindi a Padova, primi tentativi (metà degli anni Sessanta) di gestione diversa del manicomio, poi trasferimento in Svizzera, nella clinica dell'antropsichiatra Ludwig Binswanger, dove vive per un anno in una comunità terapeutica (malati di mente, medici, infermieri).
Tornato in Italia costituisce egli stesso una comunità di questo tipo, ed incomincia a fare analisi didattica con il freudiano Nicola Perrotti. Ammesso nella Società Psicoanalitica Italiana (Spi), esercita la professione privata, e comincia ad elaborare le teorie oggi contenute nei suoi testi, attraverso le quali si pone come "eretico" rispetto a tutt'intera la tradizione e la prassi psicoanalitica (con l'esclusione parziale di Wilhelm Reich, come l'unico che abbia tentato la saldatura tra psicoanalisi e politica).
Scrive "Istinto di morte e conoscenza" e nel cerchio chiuso dei freudiani ortodossi viene allora considerato un talento; Franco Fornari, tra gli altri, parla di "scoperta" nella psicoanalisi (Congresso di Vietri 1971). Dal momento in cui il libro è pubblicato sopravviene l'ostracismo: nel febbraio del 1976 lo si costringe ad uscire dalla Spi. Già alla fine del '75, però, erano incominciati i suoi seminari.
Sentiamo, adesso, ciò che dice Massimo Fagioli.
Si può essere psicoanalisti e non freudiani (né junghiano, né lacaniani)?
«Non è nuova la psicoanalisi, è nuovo Freud. Così come non era nuova l'America, era nuovo Colombo". Questo lo scriveva il romanziere Arthur Schnitzler, nel primo decennio del secolo. Oggi, a quarant'anni dalla morte di Freud, si può e si deve dire la verità: non era nuovo neanche Freud. La psicoanalisi è sempre esistita: è esistita in Shakespeare, nella tragedia greca. Si tratta di tradurre in scienza, utilizzabile da tutti, ciò che per gli artisti è intuizione».
Ci sono alcuni concetti-chiave della teoria che tu hai formulata, e che pratichi nei gruppi di analisi collettiva. Essi sono, mi pare, quelli di "Istinto di morte, fantasia di sparizione, inconscio mare calmo, investimento sessuale", tutto un meccanismo, se ho capito bene, che si mette in moto nell'istante della nascita e poi, ancora, "invidia e bramosia". Puoi spiegare di che si tratta?
«Dell'istinto di morte Freud ha parlato tardi, nel 1920: ma, oltre ad essere stato preceduto, su questo argomento, almeno da due dei suoi allievi, Adler e Steckel (il "furto", in Freud, è sempre presente), c'è da dire che, ancora una volta, non si inventava nulla: l'istinto di morte appartiene al nichilismo russo, si profila già nell'Ottocento. Per me istinto di morte, non è necessariamente, tendenza negativa, distruttività: è piuttosto la prima pulsione del neonato a tornare da dove è venuto, nell'utero materno...»
Ma perchè, nascendo, si dovrebbe avere voglia di tornare indietro? Perchè dare per scontata questa situazione di "pessimismo esistenziale"?
«È una questione di pura e semplice sopravvivenza: Il contatto con la realtà esterna, la realtà inanimata (luce, freddo, ecc.) è ostile al bambino, che finallora se n'è rimasto immerso beatamente nel liquido amniotico.
Il contatto sessuale, stabilito attraverso la cute, con il corpo della madre, produce nel bambino appena nato, il ricordo di ciò che io chiamo inconscio mare calmo. Il meccanismo della nascita è il seguente: il bambino nasce e in lui opera immediatamente l'istinto di morte, come pulsione a ritornare nel ventre della madre: per sopravvivere, egli ha bisogno di annullare la realtà esterna, ostile, che lo circonda (fantasia di sparizione): però, nello stesso momento, si forma in lui il ricordo dell'inconscio mare calmo, e il bambino, esprimendo la propria libido, cerca un investimento sessuale nel rapporto umano: cerca la madre, il seno materno.
Se questo primo rapporto fallisce, fallisce anche l'uomo come essere sociale (secondo la definizione di Marx). Quindi depressione, schizofrenia, ecc.
Ma con questa teoria non ti pare di rafforzare la pressione che l'intera cultura dominante (maschile) ha fatto fino ad oggi sopra la donna, responsabilizzando soltanto lei dell'eventuale infelicità del figlio? L'inconscio mare-calmo, il seno materno ... Tutto dipende da noi, l'aborto - come del resto aveva scritto Pasolini - è un'aggressione all'Eden pre-natale, al tuo, quindi, "inconscio mare calmo..." O no?
L'aborto è comunque un fallimento, ma il rapporto col corpo della madre è qualcosa che si stabilisce gradualmente - non prima, senza dubbio, del 180esimo giorno dal concepimento - e, ci tengo a sottolinearlo, ha importanza soltanto dopo la nascita del bambino. In questo, davvero, siamo tutti uguali, e tutti, quindi, potenzialmente felici , al contrario di ciò che diceva Freud, perchè tutti disponiamo di un identico inconscio-mare-calmo, al sicuro da qualsiasi aggressione, anche dalle eventuali nevrosi delle madri incinte...»
E il rapporto col seno materno, come primo rapporto da cui dipenderanno tutti gli altri?
«Non è importante che la madre allatti, è importante l'investimento sessuale della madre nei confronti del figlio: perciò una maternità felice è soltanto quella della donna realizzata sessualmente, che conosce il piacere del proprio corpo, che gioca col proprio corpo e con quello del bambino».
"Invidia, bramosia, frustrazione positiva" sono altre nozioni portanti della tua teoria. Che significano?
«L'invidia non ha niente a che fare col desiderio, come diceva Freud. Ha a che fare con l'odio: la bramosia è il voler introiettare l'altro, mangiarlo, divorarlo: amore come possesso e distruzione, e quindi non-amore. La frustrazione positiva è invece un atteggiamento da assumere da parte di chiunque voglia, o debba, "fare l'analista" nei confronti di un altro: e significa saper dire no all'altro, nel suo stesso interesse. Esempio: quando il bambino infila le dita nella presa di corrente, tu lo strappi via dal pericolo; lo fai nel suo interesse, e gli dimostri, così, di avere interesse per lui».
Tu infatti l'adoperi nei tuoi gruppi di analisi collettiva; qual è l'obiettivo di questa attività?
«L'analisi ha sempre come obiettivo la cura della psiche; è la trasformazione della psiche, che sottintende, nella maggior parte dei casi, la cura di essa. L'analisi è: interpretazione (strumento) - trasformazione (obiettivo) - cura (effetto)».
Che significa per te "interpretazione"?
«Significa che io, analista, debbo interpretare, cioè rendere esplicito il significato di ciò che tu mi porti in analisi: sogni, associazioni di idee, fatti tuoi, ecc.»
Ma questo rigore - interpretare e basta, non dar consigli, non intervenire - non è in contraddizione con la tua polemica contro gli analisti che ascoltano, tacciono e intascano l'onorario del paziente?
«Ma quelli non ascoltano neppure. Ricevono telefonate, pensano ai fatti proprio. Fanno, insomma, fantasie di sparizione sulla persona che hanno davanti. E questo succede perchè l'analista, spesso, è più malato del paziente: malato di invidia, di bramosia, di istinto di morte/annullamento. L'analisi buona è quella che realizza interamente il rapporto umano, per incominciare, tra analista ed analizzando...»
Un altro dogma freudiano che tu stai abbattendo è quello del pagamento. I tuoi gruppi sono gratuiti. Allora non è vero quello che diceva Freud che, se non si paga, l'analisi non funziona, non riesce?
«Il fatto del pagamento ha attinenza con la cura soltanto quando il rifiuto di pagare - se se ne hanno i mezzi - esprime la bramosia del paziente nei riguardi dell'analista. Se tu guadagni tre milioni al mese, e mi vuoi dare mille lire a seduta, questa tua bramosia va frustata, e me ne devi dare venti. Nella società di domani, comunque, l'analista dovrebbe essere retribuito dalla collettività e quindi, gradatamente, scomparire».
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